Le mani sulla città di Francesco Rosi: l’analisi del film

L’analisi del film Le mani sulla città di Francesco Rosi, spietata denuncia della speculazione edilizia che ha colpito la Napoli degli anni ’60

Le mani sulla città: film del 1963, siamo a Napoli, la colonna sonora di Piero Piccioni ci suggerisce che forse ci sarà qualcosa da scoprire. No, ci sarà qualcosa da far scoprire e questo sarà proprio il compito che si assegnerà il consigliere De Vita.

«Quello è l’oro oggi. E chi te lo dà? Il commercio? L’industria? L’avvenire industriale del Mezzogiorno, sì! Investili i tuoi soldi in una fabbrica: sindacati, rivendicazioni, scioperi, cassa malattia. Ti fanno venire l’infarto cu sti’ cose.»

Edoardo Nottola (consigliere comunale), nella scena iniziale, fa intendere subito ai suoi collaboratori che bisogna concentrarsi solo su una cosa: arricchirsi speculando sul territorio napoletano.

A causa dei lavori dell’impresa di Nottola ci sarà il crollo di un vecchio palazzo in un quartiere popolare. La scena del crollo è reale, viene fatta ricostruire la parte di un edificio già parzialmente crollato e poi il crollo è stato organizzato in fasi progressive e il tutto è stato ripreso da sette telecamere diverse (fino ad allora non era consueto utilizzarne così tante, sarà poi Antonioni ad approfondire la tecnica per realizzare il finale di Zabriskie Point). Vengono anche riprese delle reazioni vere, reali, di gente inconsapevole di trovarsi in un set cinematografico (anche se la cosa fu abbastanza difficile perché alcune persone erano riuscite a vedere e a riconoscere Rosi).

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Francesco Rosi asseconda la realtà e ne riprende diversi elementi, tra cui la scena delle mani pulite (fortemente ispirata anche dal titolo dello stesso film). La stessa formazione del consiglio comunale era composta da persone che effettivamente appartenevano a fazioni contrastanti, che davvero si odiavano.

«[…] poiché il mio metodo è sempre stato quello di assecondare la realtà. Prendere dalla realtà tutto quello che mi offre, senza alterarla.»1

Il volere del popolo è ormai fortemente influenzato e condizionato dai bisogni primari, poco importa che la speculazione edilizia stia pian piano risucchiando e distruggendo Napoli e le sue risorse.

«Avete visto come si fa la democrazia?2

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Quello che è importante è assicurarsi il pasto. Far mangiare i figli.

«Mio figlio deve mangiare, poi dio ci pensa!» – dirà infatti una donna al consigliere De Vita, quando quest’ultimo cercherà di farla ragionare sul fatto che accettare una cauzione ora in cambio della propria casa è un qualcosa di assolutamente sbagliato, oltre che svantaggioso. Ciò ricorda molto il dialogo finale del successivo film di Rosi (C’era una volta…) nella quale viene chiesto a un suddito cosa avrebbe desiderato e lui non chiede altro che di farsi un’altra mangiata, nulla di più durevole\concreto.

La scena iniziale e quella finale del film si somigliano (sembrano esattamente speculari; nella scena iniziale vi è una panoramica verso destra e in quella finale vi è una panoramica verso sinistra) e ciò non può far altro che indurci a pensare che tutto è immutato nonostante il fatto che l’ingegnere De Vita si sia sforzato di credere e di far credere che qualcosa stia cambiando, che i cittadini hanno una maggior consapevolezza. Nulla è mutato e con il benestare del parroco i politici continuano ad approfittarsi di Napoli e dei napoletani.

«L’opinione pubblica la facciamo noi.» – esattamente, tutto viene appiattito e morfologicamente adeguato per il bene dei politici di turno che, proprio come la macchina inquadrata nella scena finale, abbattono la coscienza del cittadino.

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Cira Pinto

1Cit. da ”Io lo chiamo cinematografo, conversazione con Giuseppe Tornatore”, Milano, 2014, pag 218-219.

2Il sindaco uscente al consigliere De Vita, mentre distribuisce del denaro a delle donne che hanno fatto irruzione dopo una riunione.