Il Vangelo di Giovanni: in principio era il Logos

Il Vangelo di Giovanni non ha mai smesso di affascinare. Scritto intorno al 100 d. C., la tradizione ecclesiastica oscilla nell’attribuzione del testo ad un autore certo. Il quarto vangelo, infatti, si distingue dai vangeli sinottici i vangeli di Marco, Matteo e Luca – per numerosi aspetti linguistici, strutturali, contenutistici. Inoltre, è la portata filosofica e spirituale emergente già dal Prologo a configurare questo testo come un vero e proprio vangelo teologico.

Una profonda intelligenza del mistero di Cristo guida l’autore nella sua composizione.
La tradizione identifica costui con Giovanni, figlio di Zebedeo, un personaggio misterioso di cui poco sappiamo. Altri studiosi attribuiscono la stesura ad una scuola giovannea, riunita attorno alla figura storica del ”discepolo prediletto” di Gesù, cui si accenna nei Vangeli. Dunque è probabile che il vangelo sia stato elaborato in Asia Minore, forse ad Efeso o in Siria, regione di confluenza di una plurarità di correnti filosofiche e gnostistiche.

Il Prologo del Vangelo di Giovanni

È proprio sulle coste ioniche dell’Asia Minore che nasce, nel V secolo a. C., la filosofia. Non è un caso che l’incipit del più filosofico dei vangeli sia dato da un’espressione assai diffusa fra i frammenti dei filosofi asiatici:

En archè en o lògos
(In principio era il lògos)

Tutti i filosofi presocratici hanno orientato la propria ricerca all’archè, il principio di tutte le cose. Se Talete lo riconosceva nell’acqua, Anassimene nell’aria, Anassimandro nell’apeiron, lo pseudo-Giovanni del quarto vangelo pone questo principio nel lògos.

Anche lògos è parola antica, a tal punto che si può considerare l’intera storia della filosofia come storia del lògos. Ma cosa significa lògos?
All’inizio del Prologo [1, 1-3], leggiamo:

In principio era il Lògos, e il Lògos era presso Dio e il Lògos era Dio.
Egli era in principio presso Dio.
Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.

L’inizio memorabile di questo passo fa del Prologo di Giovanni un vero e proprio Inno al Logos. L’autore stabilisce un’identità fra lògos e principio, fra Dio e lògos. Tuttavia, segna anche una linea di demarcazione fra Dio e lògos, cosicché le due entità, pur unificandosi nello stesso principio, siano tra loro in un rapporto di coappartenenza (il Lògos era presso Dio). Questa dialettica fra Dio e lògos ha permesso di intendere quest’ultimo come il Cristo.

Cristo è per la tradizione cristiana colui in cui il principio-Dio si rivela nel mondo. Il Cristo, però, non è che l’incarnazione – mortale – di questo lògos immortale, che gli antichi cristiani chiamavano anche Verbum. La nascita di Gesù è una logofania, la venuta al mondo della Parola. La Parola è la verità vivente, quella sapienza eterna che vive in ogni cosa e di cui Gesù è manifestazione sensibile.

Il Commento al Vangelo di Giovanni di Agostino

Nel suo Commento al Vangelo di Giovanni, Agostino scrive in merito al Prologo:

A quale scopo sono risuonate le parole: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio? Anche noi, quando parliamo, diciamo delle parole. Forse che a tali parole è simile il Verbo che è presso Dio? Le parole che noi pronunciamo percuotono l’aria, e poi si disperdono. Vuol dire che anche il Verbo di Dio ha cessato di esistere non appena è stato pronunciato? In che senso allora tutto è stato fatto per mezzo di lui e niente senza di lui? Come può essere da lui governato ciò che per mezzo di lui fu creato, se il Verbo non è che un suono che passa? Qual Verbo è, allora, questo che viene pronunciato e non passa?

Vangelo di Giovanni
Agostino in un dipinto di Antonello da Messina

Agostino propone un’interpretazione sorprendente del passo. Il Verbum è descritto dal filosofo non come qualcosa di metafisico, ma come quella parola che resta anche dopo essere stata pronunciata. La Parola è la parola di ognuno di noi, quando questa sgorga dallo spirito di chi la pronuncia. È la parola profondamente pensata, carica di vita interiore e che intimamente all’altro si dirige. Ancora, Agostino:

La vostra Carità presti attenzione: si tratta di una cosa sublime. A forza di parlare, le parole perdono valore: risuonano, passano, e non sembrano altro che parole.
C’è però anche nell’uomo una parola che rimane dentro: il suono solo infatti esce dalla bocca. È la parola che viene pronunciata autenticamente nello spirito, quella che tu percepisci attraverso il suono, ma che non si identifica col suono.

L’invito, posto attraverso Agostino, è proprio quello di rileggere il Vangelo del Natale con occhi profondamente umani ed è anche l’invito a farsi creatori e portatori di parole sempre vere, che siano anch’esse, come il Prologo di Giovanni, un inno alla vita.

Martina Dell’Annunziata

Bibliografia

Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, Citta Nuova, 2012.