Le Metamorfosi di Apuleio, un romanzo greco-latino

Le Metamorfosi di Apuleio sono comunemente definite un “romanzo”. All’interno della classificazione dei generi letterari latini, il genere “romanzo” è attribuito a sole due opere: il Satyricon di Petronio e, appunto, Le Metamorfosi di Apuleio. Il termine è ancora molto discusso: il genere “romanzo”, infatti, è assolutamente moderno, e nasce in Europa attorno al ‘600. Come mai, allora, tale terminologia è stata prestata (per alcuni impropriamente) a due opere latine? Per capirne i motivi, è opportuno soffermarsi sull’origine e le caratteristiche dell’opera di Apuleio.

La trama

In breve, Le Metamorfosi raccontano, come suggerisce il nome, una storia di “trasformazione”. Un ragazzo di nome Lucio raggiunge in viaggio la Tessaglia (terra da sempre di magia) e si imbatte in Panfila, una maga. Nel tentativo di conquistarsi i favori della schiava Fotide, Lucio rimane vittima di un sortilegio: a causa di una pozione male usata da Fotide, il ragazzo si trasforma in asino! Disperato, Lucio scopre che riuscirà a riconquistare la forma umana solo mangiando delle rose: da lì una serie di peripezie fino alla conclusione, su cui ritorneremo.

Il modello greco

Un primo indizio sull’origine dell’opera ci viene da Agostino, nel suo De Civitate Dei: il santo, infatti, chiama l’opera non Metamorphoseon libri, bensì Asinus aureus, dove “aureus” potrebbe indicare la qualità del testo oppure il colore dell’animale.

Tale titolo riecheggia un’altra opera, questa volta greca, pervenutaci da un’epoca vicina a quella di Apuleio: è il romanzo Lucio o l’asino, attribuito a Luciano ma sicuramente spurio. Il romanzo greco, a differenza dell’opera di Apuleio, è molto più conciso, nonostante le linee guida siano le stesse: c’è sempre un ragazzo di nome Lucio che si trasforma in asino ed è costretto a superare numerose prove per tornare uomo.

Un terzo romanzo?

Un’altra testimonianza ci giunge, invece, dal patriarca Fozio, vissuto a Costantinopoli nel IX sec. d.C. Fozio scrisse una Bibliotheca, una testimonianza per noi imprescindibile dal momento che l’autore riusciva ancora a leggere opere greche che si perderanno nei secoli successivi.

Una di queste è un romanzo non molto ben noto che Fozio attribuisce ad un tale Lucio di Patre. Il patriarca, a conoscenza anche del romanzo Lucio o l’asino (creduto da lui di Luciano), discute su chi abbia copiato chi: è Luciano ad essersi ispirato a Lucio di Patre o viceversa? Fozio propende per la prima opzione, ma oggi la discussione è stata abbandonata sulla base di un semplice ragionamento: questo Lucio di Patre potrebbe non essere mai esistito, e il suo nome ricalcherebbe semplicemente quello del protagonista, appunto Lucio.

L’originalità de Le Metamorfosi

MetamorfosiCom’è stato possibile riscontrare, la trama alla base de Le Metamorfosi di Apuleio apparteneva ad una lunga tradizione greca, ed è in nome di questo rapporto che l’opera latina può essere definita “romanzo” proprio come i romanzi greci. Non bisogna, tuttavia, sottovalutare per questo l’originalità dell’autore latino pensando che egli si sia completamente ispirato al/ai romanzo/i su Lucio. Le differenze tra la versione greca e quella latina sono, infatti, abissali.

L’opera di Apuleio, innanzitutto, è molto più lunga e complessa del romanzo dello Pseudo-Luciano. Apuleio, infatti, oltre ad ispirarsi al romanzo greco, fece sua la tradizione, anche latina, delle fabulae milesiae, un genere smaliziato e di sfondo erotico.

Inoltre, al di là della ben nota favola di Amore e Psiche, totalmente assente nei romanzi greci, Apuleio introdusse rispetto al modello greco molte parti in più: probabilmente l’introduzione con tutte le peripezie di Lucio-ragazzo e senza alcun dubbio il finale. È sulla conclusione de Le Metamorfosi, infatti, che i nostri occhi di lettori devono soffermarsi.

La conclusione tra modello e innovazione

Il finale di Lucio o l’asino è totalmente in linea con lo spirito burlesco e smaliziato di tutta l’opera. Lucio è in procinto di affrontare una delle ultime prove: giacere, da asino, con una detenuta in un anfiteatro. Dopo l’unione, Lucio scova le agognate rose e riacquista la forma umana; corso dall’amata per rivelarle la notizia, viene respinto da lei, disgustata dal suo aspetto umano. La conclusione, dunque, è perfettamente coerente col genere milesio che caratterizza tutta l’opera.

Le Metamorfosi di Apuleio, invece, presentano un finale sorprendente, che ribalta del tutto l’idea che il lettore aveva dell’opera. L’autore, infatti, abbandona lo spirito giocoso e propone una conclusione dal sapore mistico. Anche nell’opera latina Lucio è costretto a giacere con una condannata, ma ne è molto meno contento rispetto al gemello greco. Magicamente, al centro dell’anfiteatro, Lucio si addormenta, e fa uno strano sogno: sogna la dea Iside, la quale gli comunica che il giorno dopo riacquisterà la forma umana, non prima di aver svolto dei riti.

Il significato dell’opera

I riti al chiaro di luna preparano al religioso atto finale: Lucio vede delle rose portate in processione da un sacerdote di Iside, e comprende il messaggio della dea. Cibatosi dei fiori, ritorna uomo, ma ormai rinnovato e segnato dall’esperienza che ha avuto: dopo aver vissuto l’esperienza animalesca, non tornerà più il ragazzo scapestrato di un tempo. Al contrario, decide di iniziarsi al culto di Iside e Osiride e, per volere delle due divinità, di diventare avvocato a Roma.

È a questo punto che il significato dell’opera diventa palese: Lucio, definitosi in conclusione Madaurensis, cioè di Madaura, città nativa dell’autore, è proprio Apuleio, che così quasi ci confessa i suoi rapporti con la magia e col mondo religioso.

Un romanzo di II sec. d.C.

Il messaggio de Le Metamorfosi di Apuleio, dunque, è completamente diverso rispetto al significato del modello greco. Il romanzo dello Pseudo-Luciano è un’opera di intrattenimento, smaliziata e giocosa. Le Metamorfosi, al contrario, ingannano inizialmente il lettore, ma poi svelano il loro significato profondo: un ragazzo, sperimentata la condizione animalesca e guardato il mondo dagli occhi di un essere abietto, rivaluta l’esperienza umana, e si apre, proprio come Apuleio, all’esperienza del divino.

L’opera, dunque, è una storia di rigenerazione, perfettamente in linea con l’atmosfera misticheggiante della Roma del II sec. d.C., che contribuì alla diffusione in tutto l’Impero dei culti orientali, non di meno il Cristianesimo.

Alessia Amante