Unberto Saba e l’amore per Trieste

SabaUmberto Saba nacque a Trieste nel 1883 da madre ebrea e il padre abbandonò la famiglia prima della nascita del poeta. Per questo motivo il poeta assunse il cognome Saba, che in ebraico significa “pane”. Nel 1918 apre una libreria antiquaria a Trieste e riesce quindi a dedicarsi completamente alla poesia. Nella città friulana Saba trascorrerà quasi tutta la sua vita, allontanandosene solo durante la Seconda Guerra Mondiale per sfuggire alle persecuzioni razziali. La sua acutissima sensibilità era minata da crisi di angoscia e si vide costretto a rifugiarsi, negli ultimi anni, in diverse cliniche per curare la nevrosi di cui soffriva da tempo. Saba morirà a Gorizia nel 1957.

Tutta l’opera poetica di Umberto Saba fu raccolta nel “Canzoniere” che tra 1921 e 1961 ebbe cinque edizioni. Tra i temi che caratterizzano la sua poesia troviamo il mare come simbolo di fuga e di avventure spirituali, gli affetti personali e familiari, la moglie Lina e Linuccia, la figlia, le memorie dell’infanzia, il rapporto con la natura, le riflessioni sull’attualità e, più attenuate ma sempre presenti, la tematica ebraica ed omosessuale. Non semplice sfondo ma tematica peculiare della poetica di Saba è stata la città di Trieste non solo in quanto città natia ma anche perché in essa si riflette l’anima del poeta: la “scontrosa grazia” di Trieste è accostata all’essere del poeta “vivo, schivo” e allo stesso tempo “scontroso”. Questo messaggio è racchiuso nella poesia “Trieste”, in cui il poeta si manifesta legato alla città da un sentimento sincero ma non privo di contraddizioni. La poesia tende all’ “idillio” del “cantuccio” solitario da dove il poeta contempla la città, metaforizzata in un ragazzaccio aspro e vorace; al suo interno però il componimento contiene un movimento di fuga, che spinge il protagonista ai margini della città.

“Ho attraversato tutta la città.
Poi ho salita un’erta,
popolosa in principio, in là deserta,
chiusa da un muricciolo:
un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove esso termina
termini la città.

Trieste ha una scontro
grazia. Se piace,

è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore
con gelosia.
Da quest’erta ogni chiesa, ogni sua via
scopro, se mena all’ingombrata spiaggia,
o alla collina cui, sulla sassosa
cima, una casa, l’ultima, s’aggrappa.
Intorno
circola ad ogni cosa
un’aria strana, un’aria tormentosa,
l’aria natia.

La mia città che in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.”

 

Trieste è per Saba il luogo privilegiato per il suo carattere contraddittorio; in questa contraddizione Saba ritrova la contraddittorietà della propria anima, tesa a immergersi nel flusso della calda vita della folla, e assieme bisognosa di isolamento, orgogliosa della propria solitudine. La poesia di Saba è semplice e chiara, si caratterizza per le parole di uso quotidiano e quotidiani sono gli aspetti dei suoi temi poetici: luoghi, persone, paesaggi, animali, avvenimenti. Spesso le poesie di Saba tratteggiano la città di Trieste nella quotidianità delle strade e dei caffè e ne descrive i personaggi più umili. Inoltre, la città è fondamentale per il rapporto con la moglie Lina: le poesie a riguardo sono contenute nella raccolta di scritti tra il 1910 e il 1912 dall’emblematico titolo “Trieste e una donna”. Saba, in una lettera che scrisse a Lina da Firenze nel 1905, riconosce che il suo amore per Trieste è legato anche alla presenza della donna in città:

“Tu hai dato, Lina, uno scopo a quelle poche settimane che mi sono fermato a Trieste”

Saba tra Trieste e “realismo”

In tutto il “Canzoniere” di Saba, Trieste è uno dei personaggi principali: il poeta dipinge quadri di vita cittadina che hanno fatto parlare di realismo e vena narrativa del poeta. Il realismo è solo apparente e i versi della poesia “La solitudine” suggeriscono la matrice interiore delle figure e delle immagini che popolano i quadri di Saba: i personaggi sono “parvenze”, creazioni di un piccolo teatro privato, spettatori silenziosi di un dialogo che avviene altrove.

“La diversa stagione, il sole e l’ombra,

variano il mondo, che in ridente aspetto

ne conforta, e di sue nubi c’ingombra.

Ed io che a tante sue parvenze e ai miei

Occhi recavo un infinito affetto,

non so se rattristarmi oggi dovrei,

se lieto andar quasi di vinta prova […]”

Il motivo della solitudine è caro a Saba che ha sempre sofferto del proprio isolamento di uomo e di poeta. Egli cerca di immergersi nella realtà per capirla più a fondo, proponendosi, con la semplicità e il rigore delle sue scelte poetiche, come cantore del quotidiano. La poesia “Città vecchia” è un omaggio, una testimonianza d’amore per Trieste. Al poeta la città riserva un “cantuccio” in cui isolarsi dalla folla e restare solo a contemplare, con sguardo d’innamorato, la città che si affaccia sul mare, e la stravaganza dell’aria, familiare e diversa. Proprio da questo Saba è attratto, e non può vivere lontano da Trieste: la città è la presenza umana che consola la solitudine del poeta. Essa rappresenta per lui rifugio in cui trovare equilibrio, un luogo di incontri in cui sentirsi uomo e vivere la vita di tutti i giorni, legata ad avvenimenti minimi e regolata dal fluire di ritmi semplici.

“Spesso, per ritornare alla mia casa
prendo un’oscura via di città vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera si specchia
qualche fanale, e affollata è la strada.

Qui tra la gente che viene che va
dall’osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io ritrovo, passando, l’infinito
nell’umiltà.

Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d’amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore;
s’agita in esse, come in me, il Signore.

Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via.”

La poesia è caratterizzata da un lessico che da una parte presenta immagini negative e realistiche e dall’altra rimanda a significati positivi e spiritualistici. Saba descrive lo squallido quartiere del porto, facendone intendere con pochi accenni il degrado che fa da naturale sfondo alle miserie umane. Ma, con ritmo via via crescente, la poesia consegna le povere azioni di tutti i giorni e i sinceri sentimenti delle persone più semplici all’infinito e, quindi, a Dio. Saba si sente parte integrante della città e si mescola con i suoi abitanti nei quali vede le sue stesse aspirazioni: il pensiero del poeta si fa più “puro” quanto più degradante è l’emarginazione che colpisce quell’umanità non inquadrabile negli scontati schemi sociali, presupposto indispensabile per la tranquillità dei “benpensanti”. Quel che potrebbe sembrare smarrimento è invece un sentimento di vitalità e di partecipazione a un’umanità semplice e unita da valori basilari. La città è connotata da scene quotidiane intensamente vitali. La poesia di Saba è lo strumento di ricerca per capire la vita nella sua essenza e molteplicità, e di auto-conoscenza per fermare i momenti decisivi della propria vita, perciò tutta la sua lirica ha una matrice autobiografica. In Saba il piano oggettivo e il piano soggettivo si fondono: è evidente nelle scelte dei personaggi, dei luoghi precisi e nella rappresentazione della vita quotidiana, il suo realismo che non è di tipo oggettivo, non riproduce gli aspetti esteriori della realtà, ma ne coglie gli effetti più profondi e reconditi. Il mondo esteriore è lo specchio in cui si riflette il mondo interiore del poeta che con linguaggio semplice obbedisce alla concezione di una poesia “che vada dritta al cuore”.

Maurizio Marchese

Fonti:

Umberto Saba, Il canzoniere, Einaudi, 2004