Donne e poesia: le amanti di Salvatore Di Giacomo

Prima di essere ricordate e riconosciute come autrici di talento al pari degli uomini, le donne hanno subito la sorte (a volte triste, a volte privilegiata) di essere elevate al rango di “muse”, osservate e scrutate dagli occhi di poeti che, con molta probabilità, poco avevano a che fare con l’intricato universo femminile.

donneDai provenzali, che esaltano la figura femminile ponendola al di sopra di se stessi, secondo un sentimento di irraggiungibilità e di eterna contemplazione; agli stilnovisti, nei cui versi l’evoluzione delle donne è legata ad un fatto morale, sublimandole ad angeli venuti «da cielo in terra a miracol mostrare». Quanto alla presenza attiva della donna nella vita letteraria e culturale dell’epoca, essa risulta piuttosto irrilevante, se si fa eccezione per l’enigmatica Compiuta Donzella, annoverata tra le voci dei rimatori toscani prima dello sviluppo della scuola stilnovista. Dobbiamo attendere il Settecento e l’arrivo di scrittici come Jane Austen, Mary Shelley, le sorelle Brönte, Emily Dickinson. Tuttavia, le “donne cantante” continuano ad essere tante, spesso portatrici di sofferenze per i poeti che le contemplano: Leopardi soffre per l’amore non corrisposto di Teresa, mentre Montale ha a che fare quotidianamente con un “tu” femminile inafferrabile, lontano da una realtà nella quale ogni donna rappresenta una dimensione o un istinto diverso. Potremmo dilungarci in esempi infiniti.

Anche la poesia di Salvatore Di Giacomo si inserisce in questo turbinio di molteplicità femminile. Nei suoi versi le donne hanno mille volti, immerse nel colore, nella melodia e nell’azione scenica, che caratterizzano le liriche dell’autore.

Una, nessuna, centomila donne: ritratti di fantasia

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Salvatore Di Giacomo e la moglie Elisa

Salvatore di Giacomo non dovette godere di una fama da Don Giovanni. L’amore bussa alla sua porta all’età di quarantacinque anni, quando entra come bibliotecario all’università e conosce, nel 1905, Elisa Avigliano, una studentessa di quasi vent’anni più giovane. Elisa Avigliano sta preparando la sua tesi di laurea proprio sulla poesia del poeta napoletano. Una storia d’amore romantica e tortuosa, che si corona con le nozze nel 1916, soltanto dopo la morte della madre del poeta. Eppure, l’arte narrativa e drammatica che coinvolge molta parte dei versi di Di Giacomo pullula di storie di donne: dalle vittime della malavita, agli intrecci di amore e gelosia, alla patetica ninna nanna della donna abbandonata; racconti in versetti, in cui la passione è una scura tempesta che spinge a gesti disperati. Donne reali, fatte di carne e sentimenti, con una propria vicenda da raccontare.

Tuttavia, le numerose amanti di Di Giacomo sono un veicolo attraverso il quale il poeta offre i suoi sentimenti al mondo: l’amore è “una figurazione di amor popolare”, rappresentato nei suoi molteplici aspetti umani. Come le sue donne, anche il poeta è molti uomini: ora è il girovago che a comprando i capelli, ora è Don Enrico, che impazzisce d’amore, abbandonato e tradito; lo scorgiamo, poi, nei panni di un venditore di ciliegie mentre si rivolge ad una donna, un’altra tra le tante della sua storia d’amore e di poesia.

Il realismo di Salvatore Di Giacomo filtra attraverso la fantasia dei volti che affollano i suoi versi: è un canto fiabesco quello di Donn’Amalia ’a Speranzella, nel quale la donna è colta nell’atto di friggere le frittelle e l’osservatore la ammira desideroso della sua bellezza. Le donne amate scivolano nella memoria del poeta in Suonno ’e na notte ’e vierno, le quali fuggono come ombre in un incubo che, a poco a poco, trasforma le donne terrestri nella Morte: Nunziatella, Rosa, Teresina, Adela, Margarita, Carulina, Giulia, Briggeta, Rafela, fino all’ultimo volto di donna coperto da un velo:

Nun te saccio!… – Te saccio io!

Fatte ccà!… Strigneme forte!…

Nnammurato bello mio!

Viene! Viene! Io songo ’a Morte!

donneLa sensibilità del poeta e la sua paura del mondo si esprimono in queste immagini di donne e morte, ad indicare come questa sia presente nei suoi sentimenti al pari dell’amore. La molteplicità delle donne fittizie presenti nella poesia di Di Giacomo riflette il suo carattere mite e fragile, capace di soffrire e far soffrire. Zì munacella, è una storia conventuale di sospiri amorosi, nella quale la trepidazione della vita al di fuori prende il sopravvento. Il poeta ci offre il ritratto di una donna vitale, che subisce l’inganno dell’amore: la ragazza per salvare il suo innamorato, condannato a morte per aver commesso un delitto passionale, si fa monaca senza sapere che quel delitto non è stato per lei, ma per un’altra donna. In Palomma e notte, Di Giacomo ci presenta la figura di una donna-farfalla, che vuole esercitare la propria libertà. Carolina è come una farfalla che gira e rigira intorno a una candela che la tenta come fosse un fiore, nonostante il poeta la metta in guardia dal bruciarsi. È metafora della donna affrancata e indipendente, che vuole volare verso orizzonti inesplorati e pericolosi, pur di assecondare i propri desideri. Nell’arietta ‘E ttrezze e Carulina, il poeta con gaio, simulato dispetto esorta il pettine della donna desiderata a strapparle tutti i capelli, lo specchio nel quale ella si mira ad appannarsi, le lenzuola ad infuocarsi e pungere le sue carni, le piante sul tetto della casa a farsi trovare seccate; ma poi è felice di constatare che nella realtà avviene tutto il contrario, riscattando le parole trite ad una gentilezza fiabesca.

Donna e maggio diventano un binomio perfetto nei versi del poeta in Na tavernella: la visione avviene in una trattoria campestre napoletana, e gli innamorati vengono colti in gesti che esprimono armonia e memoria. Ha la figura di donna anche Marzo: il poeta ci presenta il ritratto di una donna, Catarì, e del suo essere volubile attraverso la metafora del mese di marzo, mese della pioggia ma anche del sole, un mese nel quale c’è il profumo della primavera ma anche un po’ di inverno. Aurora ’int’ ’o specchio instaura un rapporto tra la donna e la primavera, viste entro uno specchio che ha mutato le immagini in sentimenti primitivi. Nannina è il ritratto di una donna appassionata, nei cui versi il desiderio del poeta si manifesta attraverso l’immagine degli occhi «de suonno, nire, appassiunate» che lo hanno fatto soffrire. Donne che provocano dolore e turbamento, come Carmela, ormai sposata, che sembra aver dimenticato il primo amore, raccontato in un crescendo di ricordi e gesti:

Ma da me primma Carmela ha sentuto

Lu primmo trascurzetto nzuccarato:

primm’ a me, primm’ a me mpietto ha strignuto!

Amore e gelosia hanno la voce di una donna in Tarantella scura, nella quale i versi cantano sottovoce una vicenda di vita e di sangue:

Chi sa qua’ vota fenarrà stu fatto

Ca i’ cado nsanguinata nnanz’ a te!…

Di Giacomo in Femmene, Femmene non addolcisce la pillola nel delineare un ritratto di donne perdute, che come gatte ammaliano e poi graffiano e fanno disperare:

Femmene? Tutte pèsseme!

Femmene? Tutte nfame!

E chesta nun è chiacchiera,

ma è pura verità.

La varietà delle donne di Di Giacomo riflette l’umanità del sentimento amoroso, che si rivela inquieto, instabile, a tratti doloroso. L’amore è intenso, melanconico, perduto nei suoi mille aspetti della quotidianità; questo amore di Salvatore per Carmela, Emilia, Carolina, è l’amore umano umile e sublime. Queste donne non sono che l’oggettivazione incosciente di un più complesso ed elevato desiderio. Il poeta concentra nella moltitudine delle figure femminili l’essenza dell’umanità, il bisogno di trovare conforto nell’altro e di non sentirsi solo. Accanto alla donna Di Giacomo si apre a riflessioni filosofiche sul mondo, in quanto insieme alle sue donne egli si sente voce del mondo.

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Giovannina Molaro

Bibliografia:

S. Di Giacomo, Le poesie e le novelle, a cura di F. Flora e M. Vinciguerra, Arnoldo Mondadori Editore, 1971