Donna e pubblicità: un rapporto difficile

Le strategie di marketing si servono della donna nella pubblicità come un oggetto per sponsorizzare prodotti di vario genere, dai capi di abbigliamento agli elettrodomestici.

È cosa fatta: sta entrando in vigore, a Roma, la delibera che vieta “d’ora in poi nel comune di Roma, nella capitale d’Italia, utilizzare il corpo della donna, nelle affissioni pubblicitarie, associandolo all’idea di oggetto o di commercio”.

La donna vista come un oggetto

Ad annunciarlo è il sindaco Ignazio Marino durante la cerimonia di consegna del premio immagini amiche svoltasi all’auditorium dell’Ara Pacis; all’evento era presente anche Laura Boldrini, Presidente della Camera. Proprio la Boldrini, nel 2013, in ambito della Festa dell’Europa affermò a Venezia: “Serve porre dei limiti all’uso del corpo della donna nella comunicazione. Dall’oggettivazione alla violenza il passo è breve. Serve più civiltà ponendo delle regole. Basta all’oggettivazione dei corpi delle donne perchè passa il messaggio che con un oggetto puoi farci quello che vuoi”.

Donna pubblicità
Il controverso cartellone di Via Marina (NA)

Ma l’opinione pubblica non è unanime – e quando mai? – come si potrebbe pensare: per alcuni, infatti, “non c’è nulla di male a usare il linguaggio della seduzione e a mostrare un bel corpo di donna”; altri, al contrario, si indignano in quanto “non se ne può più dell’umiliazione dell’immagine della donna”. C’è poi chi colpevolizza le donne affermando che sono esse stesse le prime a rendersi oggetto prestandosi e prestando il proprio corpo per pubblicità che lo espongono nella sua nudità in modo volgare e poco consono. E dire, però, che da quest’ultima affermazione alla legittimazione della violenza sulle donne per una gonna troppo corta il passo è veramente troppo breve.

La pubblicità e le donne

In tal senso ha fatto molto discutere l’enorme cartellone pubblicitario affisso a Napoli, in Via Marina – poi rimosso: suddetto cartellone, sei metri per nove, ritraeva una modella con in testa la cornetta, il tipico copricapo indossato dalle suore, le mani giunte, in segno di preghiera, con un rosario intrecciato a coprire il seno nudo ed un jeans a completare il tutto. Al di là delle ovvie e scontate polemiche di tipo religioso – anche perché il cartellone è stato affisso a dieci giorni dalla visita di Papa Francesco nel capoluogo campano – siamo davanti ad un altro esempio di mercificazione del corpo della donna. È davvero necessario mostrare con tanta disinvoltura una donna seminuda al fine di pubblicizzare capi di abbigliamento che, tra l’altro, proprio in questo caso non sono per nulla connessi al seno femminile?

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“Vuoi dire che una donna può aprirlo?” L’immagine, insieme al termine “woman”, donna, sottolineato diverse volte, si commenta da sé.

Tutto parte delle grandi strategie di marketing che, però, si servono delle donne come di un oggetto per sponsorizzare prodotti di vario genere; sempre durante la cerimonia a Roma, la Boldrini ha detto “certe pubblicità che noi consideriamo normali, con le donne che stanno ai fornelli e tutti gli altri sul divano, danno un’immagine della donna che invece non è normale e che non corrisponde alla realtà delle famiglie”. Pur non trattandosi, nel caso citato, di sfruttamento del corpo femminile, resta impossibile non notare come la pubblicità si faccia portavoce di uno stereotipo femminile umiliante che pone la donna in uno stato di inferiorità rispetto all’uomo legandola indissolubilmente alla cucina come propria collocazione naturale.

Una problematica antica

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Altra immagine che non ha bisogno di commenti

Il discorso del cattivo uso della figura femminile nelle pubblicità è molto complesso ma una cosa può essere affermata con certezza: c’è sempre stato. È l’attenzione a tale problematica – perché di problematica si tratta – che va aumentando; basti pensare che la delibera a Roma è stata la prima, dopo 22 anni, a riguardare gli impianti pubblicitari nella Capitale. Delibera, tra l’altro, fortemente voluta da Marino in quanto risale in realtà all’estate 2014: finalmente saranno regolati, oltre ai prezzi e agli spazi acquistabili, anche i contenuti di tali spazi.

Il cambiamento che deve avvenire, quello vero, è però culturale: siano in primis gli uomini a disprezzare determinati tipi di pubblicità poiché l’indignazione silenziosa unilaterale serve a ben poco. A tal proposito, è emblematica questa pubblicità progresso della campagna Punto su di Te.

Luigi Santoro

Fonti

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