Parmenide di Platone: dialogo sulle idee

Il Parmenide di Platone descrive un confronto tra un giovane Socrate e due filosofi già affermati, Parmenide e Zenone. Infatti, in questo dialogo i tre discutono sulla natura dell’Essere e delle idee. Nel seguente articolo analizziamo questo importante dialogo filosofico.

Collocazione del Parmenide di Platone tra i dialoghi

Gli studiosi ritengono Il Parmenide di Platone una delle opere più complesse di questo filosofo. In effetti, è un dialogo cruciale in quanto chiarisce la posizione di Socrate, secondo Platone, rispetto a una delle scuole filosofiche più importanti tra quelle che lo hanno preceduto. Perciò, sorprende poco che gli eventi qui descritti sono citati anche in altri dialoghi.

Parmenide di Platone
Ricostruzione del volto di Socrate sulla base delle sue statue di marmo. Fonte: Wikimedia Commons

Innanzitutto, esso funge da premessa del Teeteto. Infatti, quest’ultimo tenta il completamento della ricerca filosofica che Socrate inizia da giovane con Parmenide e che, ormai anziano, riapre col giovane Teeteto. Ma tale ricerca trova conclusione solo più in là e passa per altri due dialoghi. Cioè, Il Sofista, nel quale partecipa alla discussione anche “lo straniero di Elea”. Infine, Il Politico, nel quale troviamo un personaggio di nome “Socrate il giovane”, quasi a chiusura del cerchio iniziato col giovane Socrate del Parmenide.

Tuttavia, questi tre dialoghi fanno parte della seconda tetralogia. Infatti, il filosofo Trasillo divide i vari dialoghi in gruppi da quattro. Però, pone a inizio della seconda tetralogia Il Cratilo. Invece, Il Parmenide è il primo della terza tetralogia, cioè quella successiva. In effetti, tale scelta risulta contraria a una logica narrativa. Inoltre, come sottolinea Giovanni Reale, è probabile che l’ordine di composizione dei dialoghi da parte di Platone segue la trama in essi presente più che l’ordine di Trasillo.

Il Parmenide storico e il Parmenide di Platone

Innanzitutto, i tre personaggi che interloquiscono in questo dialogo sono Zenone, Parmenide e Socrate, tutti e tre filosofi. Tuttavia, è quasi certo che tale incontro è un’invenzione di Platone. Infatti, ci sono incongruenze cronologiche di difficile superamento. In effetti, qui Platone è vago anche sull’età di Socrate e afferma solo che egli è giovane, espediente che confonde le idee anche ai lettori suoi contemporanei. Perciò, questo dialogo più che come un resoconto va inteso come un confronto tra posizioni concettuali.

Ma riguardo a Parmenide, fin dall’antichità egli appare come il fondatore dell’ontologia. Infatti è lui, secondo la tradizione, che apre la ricerca sul concetto di Essere. Così, Parmenide fonda una scuola ad Elea, nota come scuola eleatica. Inoltre, a questa aderisce Zenone, celebre per i suoi paradossi, come quello di Achille e la tartaruga. Ma questi paradossi hanno la funzione di supportare le idee della scuola eleatica piuttosto che aprire un discorso nuovo o contrario. Insomma, Zenone risulta un discepolo di Parmenide fedele al maestro, proprio come Platone mostra se stesso nei confronti di Socrate.

In sintesi, la domanda è se le dottrine sull’Essere e sulle idee descritte del Parmenide di Platone corrispondono davvero alla dottrina eleatica oppure no. Cioè, se il Parmenide storico combacia o meno col Parmenide di Platone. In effetti, sembra più esatta la prima ipotesi. Cioè, Platone mostra in questo dialogo una continuità tra il pensiero eleatico e quello socratico. Ma ciò avviene con alcune forzature sul pensiero parmenideo. Insomma, questo legame è perlopiù una ricostruzione di Platone.

La circostanza descritta nel Parmenide di Platone

Apre il dialogo Cefalo, il quale inizia la narrazione di un evento passato che costituisce l’intera trama. Infatti, Cefalo racconta che nella piazza di Atene incontra Adimanto e Glaucone, i quali vogliono il resoconto dell’incontro tra Socrate, Parmenide e Zenone. Così, Cefalo li conduce da Antifonte, il quale conosce la storia di quell’incontro grazie a Pitodoro, il quale a sua volta l’ha sentita da Zenone. Dunque, Socrate e altri amici giungono fuori le mura di Atene, dove alloggiano Parmenide e Zenone, in visita in occasione di una festa della città. Così, Zenone legge loro un suo componimento nel quale presenta le sue idee filosofiche. Tuttavia, Socrate è poco convinto.

Innanzitutto, Zenone afferma che se la realtà è molteplice, i molti sono insieme simili e dissimili. Ma ciò è impossibile. Dunque, ciò mostra l’impossibilità del molteplice. Quindi, ciò che afferma Zenone è in realtà la stessa teoria parmenidea dell’Uno. Ma Socrate avanza la possibilità che esiste un’Idea della somiglianza e una della dissomiglianza, e che tutti gli enti partecipano a entrambe. Infatti, ciò spiega il molteplice e ne conferma l’esistenza. Inoltre, nessuno può per davvero dimostrare l’esistenza dell’Uno. Infatti, chi parla degli enti mostra che vi sono in essi unità e molteplicità. Ma non dimostra che ciò deriva da un Uno. Invece, chi dimostra che vi sono delle Idee e tra di esse quelle di unità e molteplicità, allora è degno di ammirazione.

Così i due filosofi con tono gentile danno spiegazioni a Socrate, dato che lo ritengono ancora giovane e inesperto nella filosofia.

L’Idea è una o molte?

Innanzitutto, Socrate afferma che l’Idea è una. Tuttavia, partecipa lo stesso al molteplice, come una giornata che è unica ma è tale in più parti del mondo. Così, Parmenide paragona l’Idea di Socrate a un velo che copre più cose, e non le copre tutte in tutta la sua interezza ma solo con una porzione. Dunque, l’Idea non partecipa nelle cose in tutta la sua interezza ma solo in parte. Tuttavia, ciò è assurdo. Infatti, prendiamo come esempio l‘Idea di “piccolezza”. Ognuno in questo modo ne possiede una parte, che è più “piccola” in quanto idea della piccolezza. Ora, se si aggiunge la piccolezza a qualcosa, questo qualcosa diviene più piccolo e non più grande, cioè diviene più piccolo dell’idea stessa di piccolezza separata dalla realtà.

Questo stesso paradosso avviene con l’Idea di grandezza. Infatti, tale Idea deve abbracciare tutto ciò che esiste. Ma è possibile immaginare un’altra Idea di grandezza più grande che ingloba tutte le cose più la prima Idea di grandezza, e questa operazione può proseguire all’infinito.

Ma Socrate ha ancora qualche dubbio e suggerisce che le Idee sono modelli per la realtà. Dunque, Parmenide afferma che le cose che hanno un modello possono differire dal modello. Ma tra queste loro differenze dal modello le cose ne possiedono alcune comuni che le rendono simili. Quindi, da queste somiglianze sgorga un secondo modello. Cioè, una seconda Idea comune tra loro, e anche in questo caso l’operazione prosegue all’infinito.

Inconoscibilità delle Idee

Dunque, l’uomo può conoscere le Idee? Secondo Parmenide, ogni scienza ha un proprio oggetto di studio. Quindi, non una qualsiasi scienza conosce le Idee, perchè questo studio richiede una scienza apposita che raccoglie tutte le Idee. Ma una scienza che raccoglie tutte le Idee è essa stessa Idea. Cioè, è l’Idea di Scienza. Ma una tale scienza risulta inconoscibile all’uomo. Dunque, le Idee risultano inconoscibili. Inoltre, a sua volta Dio non conosce nulla del nostro mondo, dato che le Idee non hanno potere sulla nostra realtà, né la realtà sulle idee. Dunque, l’uomo ignora il mondo delle Idee e delle divinità, e le divinità conoscono le Idee e la Scienza delle Idee ma non l’uomo e il suo mondo.

Così, a questo punto del dialogo, Parmenide ammonisce Socrate sul modo con cui finora ha fatto filosofia. Infatti, come può parlare di giustizia, bellezza, e altro in modo filosofico, se non ha prima riflettuto su questo punto? Cioè, se la filosofia permette o meno la conoscenza di queste cose. Dunque, egli deve esercitarsi nella filosofia. Cioè, fare ipotesi su scenari in cui le stesse cose esistono oppure no. Quindi, ad esempio, è corretta l’analisi di Zenone che esamina sia se i molteplici esistono sia se non esistono. Così, Socrate chiede a Parmenide qualche esempio, e Parmenide inizia un esame dell’Uno.

Parmenide tratta dell’Uno

Innanzitutto, l’Uno non ha parti. Infatti, se ha parti, allora non è Uno. Però non è neanche un tutto. Infatti, una parte è parte di un tutto. Ma abbiamo detto che l’Uno non ha parti. Dunque, l’Uno non è tale né se possiede parti né se è un tutto. Perciò, l’Uno non ha forma, siccome non ha parti. Quindi, è infinito. Ma, siccome non è né in sè né in altro da sè, allora non è in nessun posto e non si muove in e verso nessun posto. Infatti, se si muove in circolo si appoggia su una sua parte. Ma l’Uno non ha parti. Invece, se si muove verso una direzione è dentro un luogo, cioè una parte è dentro e una parte fuori, ma l’Uno non ha parti.

Inoltre, l’Uno non è né identico né diverso rispetto a sé stesso o qualsiasi altra cosa. Infatti, se è diverso da sé, allora è diverso dall’Uno e allora non è più Uno. Però se è identico ad Altro allora è quell’Altro e allora non è più sé stesso, cioè Uno. Ma finché è Uno, non è diverso da Altro, dato che la diversità appartiene a ciò che è diverso rispetto ad Altro. Ma l’Uno a nulla è diverso, dato che non ha forma o parti. Perciò, l’Uno non è diverso nemmeno a sé stesso.

Quindi, l’Uno manca di misura sia rispetto a sé stesso sia rispetto ad Altro. Infatti, se possiede misure maggiori o minori, allora possiede più o meno parti rispetto al metro di misura. Ma l’Uno non ha parti. Invece, se è uguale, ha le stesse dimensioni di ciò a cui è uguale. Ma l’Uno non ha forma e dimensione.

Il tempo, l’Essere, la Diversità

Così, lo stesso discorso della misura si applica al tempo. Perciò, l’Uno non è più o meno giovane o vecchio. Ma se l’Uno non partecipa al tempo, allora non è nemmeno in divenire, quindi non è divenuto e non diverrà.

Ma cosa si intende dire allora con “l’Uno è”? In effetti, che l’Uno partecipa all’Essere. Ma Essere e Uno non coincidono. Infatti, se coincidono, l’Uno non partecipa all’Essere, in quanto lo è già. Dunque, se una cosa è l’Essere e una l’Uno, l’Uno non è diverso dall’Essere non perché corrisponde all’Uno bensì per la Diversità e Alterità. Perciò, ne deriva che la Diversità è altra cosa rispetto sia all’Uno sia all’Essere.

Ma ci sono altri modi di partecipare all’Essere oltre a quello di far parte del divenire? Per Parmenide no. Dunque, l’Uno non è in alcun modo. Quindi, non ha nome, definizione, possibilità di conoscenza o sensazione.

L’Uno e il non-Uno

Così, giunti a questa conclusione, Socrate e Parmenide riesaminano tutta l’analisi compiuta, aggiungono altre considerazioni ma confermano l’iter argomentativo del dialogo. Infatti, se l’argomentazione si fermasse qui, bisognerebbe solo ammettere che l’Uno è inconoscibile. Ma Parmenide aggiunge che l’Uno partecipa e non partecipa all’Essere, cioè a ciò che è Alterità rispetto all’Uno stesso. Dunque, gli Altri, che non sono l’Uno, partecipano in qualche modo all’Uno. Quindi, non ne sono del tutto privi. Perciò, questa “parte” che partecipa all’Uno e che è presente negli Altri riguarda tanto il loro intero tanto le loro parti. Dunque, l’Uno partecipa sia all’intero sia alle parti. Ma è chiaro che l’Uno non si trova negli altri né del tutto né in parte, dato che è separato e non ha parti.

Quindi, Parmenide afferma che in qualche modo si può avere scienza dell’Uno, altrimenti non si potrebbe neanche dire cosa esso non è. Dunque, stavolta Parmenide parte non dall’asserzione “l’Uno è”, ma da quella “il Non Uno non è”. Infatti, dire “l’Uno non è” non equivale a dire “Gli Altri”, ma qualcosa che possiamo conoscere ma che non sappiamo ancora se è Essere o non Essere. Invece, “l’Uno che non è” partecipa in qualche modo all’Essere, infatti a un legame col non-Essere. Cioè, partecipa all’essere dell’Essere che non è. Dunque, l’Uno ha sia l’Essere sia il non-Essere ed è così in movimento e soggetto a mutamento.

Conclusioni

Parmenide di Platone
Parmenide nella Scuola di Atene di Raffaello. Fonte immagine: Wikipedia.org.

Dunque, se l’Uno non è, affermiamo che non ha contatto con l’Essere. Ora, una cosa che nasce e perisce è una cosa che in un certo momento ha contatto con l’Essere e poi non più. Invece, l’Uno risulta qualcosa che non partecipa mai all’Essere. Al contrario, gli Altri, così raggruppati in un unico insieme, possono essere suddivisi in gruppi più piccoli, che sono Altri gli uni rispetto agli altri. Inoltre, questi gruppi sono incommensurabili, perché possono essere insieme limitati e illimitati, dato che a essi non appartiene né l’Uno né il non-Uno. Perciò, gli Altri non sono né molti né Uno. Dunque, dato che ciò che non è non ha rapporto con ciò che è, infatti ciò che non è non possiede parti, risulta che gli Altri non possono avere neanche opinione sull’Uno. Ma senza l’Uno è impossibile anche un’opinione sui molti, cioè gli Altri.

Luigi D’Anto’

Bibliografia

Platone, Tutti gli scritti, a cura di G. Reale, Bompiani 2000.

Sitografia

Lezione di M. Biscuso sul Parmenide di Platone sul canale Youtube dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici: https://www.youtube.com/watch?v=hc1UcJRVMHE.

Nota: l’immagine di copertina è da Flickr.com.