Il mito delle sirene: ibridismo e significato nei secoli

Il mito delle sirene da secoli affascina il genere umano, ma sono ancora tante le domande che non hanno trovato risposta, nonostante la grande quantità di studi che indagano la genesi letteraria e mitica di queste creature.

Il corpo delle sirene

Partiamo da un dato di fatto interessante: sapevate che le sirene di cui si parla nell’Odissea, il celebre poema omerico del VIII secolo a. C. circa, avevano il volto di donna e il corpo di uccello? Avete letto bene, nessun errore di battitura: il corpo delle sirene preistoriche era quello di animali alati. Il mito delle sirene con la coda di pesce, come siamo abituati a figurarcele noi, si diffonderà solo in seguito.

L’origine di queste creature leggendarie è incerta, a tal punto che sembra ormai impossibile stabilire se nell’immaginario delle genti antiche siano nate prima le sirene con ali e corpo di uccello o quelle che invece dalla vita in giù hanno la forma di un animale marino.

Ulisse e le Sirene

Procediamo però per gradi e per tematiche. Le sirene più famose della storia fino a qualche secolo fa appartenevano appunto alla creazione di Omero.

Nella sua Odissea il poeta le rende protagoniste di un episodio cardine del poema, che diventerà uno dei più famosi e dei più rappresentati: Ulisse, messo in guardia dalla maga Circe, attraversa in nave il luogo in cui risiedono le sirene, che con le loro voci seducono gli uomini per poi ucciderli.

L’eroe, che voleva proteggere i propri compagni di viaggio ma voleva anche ascoltare personalmente le voci delle sirene, attua così uno stratagemma: mette della cera nelle loro orecchie affinché non possano ascoltare il loro canto, e si fa legare saldamente all’albero maestro della propria imbarcazione. In questo modo non potrà buttarsi in mare per raggiungerle, stregato dal loro canto.

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Vaso raffigurante il suicidio delle sirene dopo il passaggio di Ulisse, 480-470 a.C., Vulci, Londra, British Museum

Le Sirene omeriche

Partendo da questo episodio si possono ricavare molti spunti di riflessione interessanti. Innanzitutto è bene notare che Omero non si preoccupa di descrivere le sembianze delle sirene, di conseguenza il loro mito doveva già essere molto conosciuto nel Mediterraneo.

Un altro aspetto peculiare e probabilmente ambiguo riguarda il loro potere seduttivo: è stato ipotizzato da vari studiosi che probabilmente queste sirene di cui si narra nell’Odissea fossero addirittura invisibili allo sguardo umano e che quindi il loro potere di seduzione risiedesse esclusivamente nella voce. Suoni melodiosi, incantevoli, certo, ma c’è qualcosa di più: le sirene promettono conoscenza, nel loro canto risiede la verità ed è per questo che l’eroe greco vuole ascoltare. In fin dei conti Ulisse è il curioso per eccellenza e non si sarebbe mai fatto sfuggire una tale opportunità. Non è quindi semplicemente la seduzione che proviene dal corpo ma piuttosto quella che proviene dalla conoscenza[1].

La morte per acqua

In ogni caso anche stavolta l’eroe la fa franca e scampa il pericolo, vincendo sulle leggendarie creature. Secondo la mitologia greca, chi resiste alle sirene ne determina la “morte per acqua” e cioè il suicidio, anche detto katapontismós.

Così, partendo da questa credenza, il mitografo Licofrone nel IV secolo a.C. immagina cosa sia successo alle sirene sconfitte da Ulisse e ne racconta la storia nel suo poema Alessandra.

Partenope, Leucosia e Lighea

Licofrone ci parla di tre sirene – mentre Omero ne cita solo due -: queste sono le tre sorelle Partenope, Leucosia e Lighea, che dopo il passaggio di Ulisse si gettano in acqua da una rupe. In seguito le correnti marine condurranno i loro corpi in luoghi diversi, dove saranno fondate delle città.

Partenope arriverà nell’attuale Napoli, dove gli abitanti seppelliranno i suoi resti sull’isolotto di Megaride: sorgerà così un grande culto per questa mitica sirena, riconosciuto fino ai nostri giorni. Leucosia sarà trasportata verso la città di Poseidonia, ad oggi Paestum, fino ad arrivare ad un promontorio che tutt’oggi porta il suo nome: Punta Licosa. La terza e ultima sirena, Lighea, invece farà un viaggio più lungo: le sue spoglie si fermeranno sulle coste della Calabria, nei pressi di Vibo Valentia.

Il mito delle sirene: dalle penne alle pinne

Bisogna ora capire come e perché queste creature, nell’immaginario collettivo, abbiano mutato forma e con essa il significato che gli viene attribuito. Dalle ali della conoscenza alle pinne della seduzione[2] il viaggio è intricato e particolarmente sfaccettato. Riprendendo le parole della studiosa Elisabetta Moro:

“Il corpo delle sirene ha cambiato forma gradualmente e più volte. Non sappiamo esattamente come sia accaduto, ma sappiamo che è successo. Il loro polimorfismo le ha rese compatibili e adattabili a molti contesti e significati diversi, passando da una connotazione negativa, legata al pericolo, a quella attuale, che le ritrae come esseri affascinanti, niente affatto temuti. Passando per una fase intermedia dominata dal tema del corpo seduttivo. Come se per continuare il mito dell’attrazione fatale la voce non fosse più sufficiente e necessitasse di nuove ragioni di plausibilità. Si giunge così all’idea di una sirena più seduttiva anche nel corpo, probabilmente ispirata alla dea Syria[3].

La Dea Syria

Questa dea Syria di cui si parla ha origini molto antiche ed è la prova che la figura della sirena-pesce non è un fenomeno iniziato nel Medioevo, nei paesi del Nord Europa, come si è soliti ipotizzare. La dea Syria è nata in Oriente e, tramite la cultura orale, ha viaggiato fino in Occidente diffondendo e, forse, fortificando il mito della sirena caudata, più vicina all’immaginario attuale.

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La dea Syria è la grande divinità femminile della Siria[4], conosciuta anche come Atargatis e raffigurata spesso con le sembianze di donna-pesce; i siriani, per questa ragione, inseriranno nei propri tabù alimentari il consumo di pesce. Questa dea era particolarmente venerata nella città di Hierapolis, importante centro culturale e sacro delle genti siriane che si trovava nei pressi dell’attuale Aleppo.

La storia della dea si intreccia con i miti di fondazione di quest’importante città. Ecco il primo punto in comune tra questa sirena orientale e le sue lontane parenti occidentali che spesso si ricollegano alla nascita di nuove città. Ma un’ulteriore similitudine viene sottolineata dalla ricostruzione etimologica del filosofo Giambattista Vico, che nella radice semitica sir, che vuol dire “canto” e “canzone”, vedeva il collegamento tra la sirena Partenope e la Siria.

Dal II secolo a.C. il culto della dea Syria cominciò ad attecchire nel mondo latino grazie agli schiavi siriani. Questi giungevano nei territori romani per lavorare le terre e spesso si mescolavano alle genti del posto. I contatti tra i nuovi arrivati e le classi autoctone più povere comportarono una diffusione del mito della dea Syria e una conseguente rivisitazione.

Un attributo importante di questa dea è l’estraneità: Syria è il simbolo del diverso, per i Greci è per antonomasia la dea straniera, l’orientale[5]. Molte altre caratteristiche comunque l’avvicinano all’ormai conosciuto mito delle sirene: entrambe queste creature sono infatti accomunate dal rapporto con il mare, dal fatto che si contrappongano all’idea standard delle donne come semplici strumenti per la generazione di una prole, dal conseguente scontro con Afrodite, dal loro statuto di fondatrici di città e dalla grande potenza seduttiva su qualunque uomo.

Dal canto al corpo: sirene cristiane

È quindi “possibile pensare che sia stato proprio il passaggio da uccelli a pesci a provocare uno slittamento del senso del mito (da vocaliche a sensuali). Sempre più umane, meno animali. Fintanto che le sirene erano degli uccelli era difficile considerarle visivamente attraenti[6].

A questo punto, durante il Medioevo, entra in gioco la Chiesa cristiana che si impegna a demonizzare e a screditare le sirene: esse sono viste come tentatrici che conducono al peccato della carne. Così il mito viene rivisitato: queste creature non seducono più i naviganti con il canto, bensì con il corpo. La Chiesa pone l’accento sull’aspetto visivo della seduzione erotizzando il mito e rendendolo per certi versi funzionale alla cultura cristiana, che diventa di conseguenza acerrima nemica delle seduttrici[7]. È il passaggio fatale dal canto al corpo e quindi dalla conoscenza alla seduzione.

Il mito delle sirene nella modernità: Andersen

Questa visione negativa delle sirene si è protratta per molti secoli fino a quando, nel 1837, lo scrittore Hans Christian Andersen, con la sua fiaba La sirenetta, non attuò una vera e propria rivoluzione scrivendo di queste creature dalla loro prospettiva. Il mito viene così sovvertito ed il lettore è spinto per la prima volta ad immedesimarsi con le sirene.

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Gli elementi di base della storia sono ormai famosi: una sirenetta – di cui non si conosce il nome – si innamora di un umano, di un principe per la precisione. Ovviamente c’è un primo grande ostacolo da superare: ha bisogno di gambe umane per essere come lui, per vivere sulla terra e per conquistarlo. A questo punto la giovane si rivolge alla strega del mare che le concede delle gambe in cambio della sua voce: la sirenetta può finalmente raggiungere l’amato. Sfortunatamente un paio di gambe non le bastano, il principe non solo non si innamora di lei ma decide di sposare un’altra donna. Per l’eroina a questo punto non c’è più speranza: è destinata alla morte, secondo quanto prevede il patto con Ursula.

Il mito delle sirene tra romanticismo e religione

La piccola sirena si presenta così come un’eroina borghese che ama il principe azzurro più di sé stessa e desidera il suo amore sopra ogni cosa[8]. C’è quindi una grande differenza con il mito delle sirene antiche: la sirenetta di Andersen non è impassibile, enigmatica, seducente, ma è essa stessa guidata dalle emozioni e dalle circostanze. La seduttrice per eccellenza viene sedotta e per lei può esistere solo un finale tragico il cui intento pedagogico è evidente. La Sirenetta, dopo il matrimonio del principe, si uccide gettandosi in mare: anche lei compie l’antichissimo tragico gesto, il katapotismòs, il suicidio per acqua.

In realtà però prima di toccare l’acqua la Sirenetta si trasforma in una Figlia dell’aria: avrà quindi la possibilità di conquistarsi un’anima e di vivere in eterno dopo la morte terrena – privilegio solitamente riservato agli umani.

È chiara l’impronta religiosa che lo scrittore riserva al racconto. Le sirene sono molto longeve, vivono 300 anni, ma non posseggono un’anima, a differenza degli umani. L’immortalità celeste è l’unica via di scampo per la Sirenetta perché per il lieto fine del suo sogno romantico non c’è nessuna speranza.

Nella logica de La Sirenetta c’è chi ha visto riflettersi un importante aspetto della vita di Andersen: la sua omosessualità[9]. Anche lui aveva subito una delusione amorosa simile a quella della protagonista del racconto. La fiaba sembra proprio affermare che nella società di quel tempo non c’era spazio per la diversità, l’unica speranza di redenzione risiedeva nel seguire le prescrizioni della Chiesa.

Il mito delle sirene nella modernità: Walt Disney

Il finale di Andersen è però molto diverso da quello immaginato dai creatori di Walt Disney, che hanno rivisitato la vecchia fiaba, attualizzandola e facendola diventare un cult cinematografico. Nell’epoca repressiva di Andersen il lieto fine romantico per un essere così diverso non poteva essere contemplato; nel cartone Disney, al contrario, l’amore trionfa e l’ultima scena del film si chiude con un immancabile “E vissero tutti felici e contenti”. È nel 1989 che lo scrittore, poeta e regista Howard Ashman riadatta il racconto di Andersen per il cinema di animazione, scrivendo anche le celeberrime canzoni del cartone.

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Innanzitutto la genialità di Ashman comincia con il nome della sua sirenetta: Ariel. Non solo la protagonista non è più una figura anonima ma si ricollega direttamente alle Figlie dell’aria, proprio quelle che avevano salvato la sirena di Andersen. Ariel diviene il simbolo della diversità ma anche della determinazione che serve ad abbattere gli ostacoli per raggiungere i propri sogni.

Si passa così dalla versione borghese e pessimista, che la dipingeva come una creatura condannata dalla sua diversità, alla versione che ha affidato ad Ariel un messaggio universale di rispetto delle differenze culturali, di genere e di pensiero[10]. Probabilmente questa rivisitazione non sarebbe stata il capolavoro che è oggi se Ashman non fosse stato un omosessuale raffinato e imbevuto di cultura classica, che viveva in prima persona lo stigma della diversità[11]. Se per Andersen non poteva esserci un lieto fine, ora in Walt Disney esiste un barlume di speranza.

Le sirene: un significante con tanti significati

Il mito delle sirene è in perenne metamorfosi, sia per quanto riguarda il loro aspetto fisico sia per quello simbolico: le abbiamo viste come donne-uccello, come donne-pesce ma esistono anche altre mescolanze. Le sirene sono l’ibrido per eccellenza. Le abbiamo viste rappresentare la conoscenza, poi il pericolo, la seduzione ma in seguito anche la vulnerabilità e la diversità.

Le sirene sono un significante che ingloba tantissimi significati diversi, si adattano alle esigenze del tempo, del contesto, ed è per questa ragione che sono immortali. Il mito delle sirene cambia sempre, è aperto continuamente a nuove reinterpretazioni ma è anche sempre disponibile e costante, con le sue caratteristiche di base, e si mette ogni volta al servizio delle circostanze e delle narrazioni. Queste sensazionali creature hanno affascinato, affascinano e affascineranno per sempre gli esseri umani, che spesso osservano il mare nella speranza di cogliere all’orizzonte una creatura splendida, mezza donna e mezza pesce, che in lontananza saluti con dolcezza e che poi scompaia tra le increspature delle acque marine per suggellare un sogno senza tempo.

Daniela Diodato

Bibliografia:

  • BASCHIROTTO, Maddalena, “La Sirenetta”, il racconto di Andersen che affascina il mondo da 181 anni, 2019, www.artspecialday.com.
  • FELLETTI MAJ, Bianca Maria, Enciclopedia dell’ Arte Antica (1960), in Enciclopedia Treccani.it.
  • MORO, Elisabetta, Sirene, La seduzione dall’antichità ad oggi, il Mulino, 2019.

[10] E. Moro, Sirene, cit., p. 141

[11] Ibid.


[8] E. Moro, Sirene, cit., p. 130-131

[9] M. Baschirotto, “La Sirenetta”, il racconto di Andersen che affascina il mondo da 181 anni, 2019, www.artspecialday.com


[6] E. Moro, Sirene, cit., p. 76

[7] E. Moro, Sirene, cit., p. 56


[5] E. Moro, Sirene, cit., p. 90


[4] B. M. Felletti Maj, Enciclopedia dell’ Arte Antica (1960), in Enciclopedia Treccani.it



[2] E. Moro, Sirene, cit., p. 54

[3] E. Moro, Sirene, cit., p. 82-83


[1] E. Moro, Sirene, La seduzione dall’antichità ad oggi, il Mulino, 2019, p. 13