Elezioni a Pompei: candidati e propaganda

Capita spesso di chiedersi, camminando tra le vie di uno dei più famosi siti archeologici al mondo, come funzionassero le elezioni in una realtà come quella di Pompei. Quanto il sistema romano poteva dirsi democratico? Chi poteva candidarsi e da chi era supportato?

In quest’articolo cercheremo di far chiarezza sui meccanismi della “democrazia” romana, prendendo come esempio la colonia di Pompei. Analizzeremo alcuni aspetti della propaganda elettorale e valuteremo il livello di partecipazione della popolazione ai processi decisionali.

La nascita della colonia

Prima di iniziare sarà utile spendere qualche parola sulla nascita della colonia di Pompei, e le trasformazioni sociali e politiche che ne derivarono.

Come buona parte delle città campane gravitanti nell’orbita romana sin dall’epoca delle Guerre sannitiche (IV sec. a.C.), Pompei, prima di diventare colonia, godeva di relativa autonomia. I legami con la capitale erano saldi, la popolazione residente era in gran parte di origine osca e non godeva di cittadinanza romana.

Circostanza questa che, man mano che il potere di Roma cresceva, ad un certo punto dovette apparire troppo limitante. Gli alleati (socii) dei romani in Italia reclamavano cittadinanza e diritti: era l’inizio della Guerra sociale (91-88 a.C.).

Fu Silla ad espugnare la città (89-88 a.C.), dopo un lungo assedio di cui ancor oggi rimane traccia lungo il perimetro murario del sito archeologico. Ma la punizione per aver imbracciato le armi contro Roma non fu pesante come ci si sarebbe aspettati (altre città ribelli avevano subito ben più tragiche sorti), almeno all’inizio. Per quasi 10 anni nulla cambiò per gli sconfitti. Poi la decisione presa nell’80 a.C. : Pompei sarebbe diventata ufficialmente una colonia romana.

Elezioni a Pompei: candidarsi a cosa?

Silla decise di impiantare 200 veterani di guerra, con le rispettive famiglie, nel tessuto sociale della città, modificandone in modo traumatico gli assetti. Anche se tutti cittadini avevano acquisito piena cittadinanza romana, e in teoria potevano partecipare alla gestione della cosa pubblica, per alcuni decenni il potere fu saldamente nelle mani dei nuovi arrivati. L’integrazione completa avvenne grossomodo in epoca augustea.

Per avere un quadro più completo degli assetti amministrativi vigenti a Pompei, dopo la trasformazione in colonia, rimando al relativo articolo. In questa sede mi limiterò a ricordare le cariche a cui era possibile accedere tramite elezioni, cioè quelle di duoviri e edili.

Entrambe le magistrature avevano durata annuale ed erano rinnovate tramite i comizi. Per poter accedere al duovirato era necessario aver svolto un mandato da edile, essendo la prima carica più importante. Di norma le elezioni a Pompei avvenivano nel mese di marzo, anche se per l’effettivo insediamento occorreva attendere i primi di luglio.

Identikit del candidato alle elezioni a Pompei

Com’è noto la parola “candidato” è di derivazione latina; buona parte del vocabolario politico, come vedremo, la dobbiamo ai Romani. Candidatus era colui che si lanciava nell’agone politico, e nel farlo bisognava fosse facilmente riconoscibile. A tal fine indossava la tradizionale veste di colore bianco, la toga candida. Ma chi erano questi candidati?

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Di base chiunque fosse in possesso dei requisiti minimi poteva candidarsi alle elezioni a Pompei. Imprescindibile ovviamente era il possesso di cittadinanza romana e dei pieni diritti civili. Bisognava essere nati liberi da genitori uniti in giuste nozze, e non avere acquisito la cittadinanza in seguito alla liberazione dalla schiavitù. I liberti infatti potevano prender parte esclusivamente all’elettorato passivo, potevano cioè votare ma non candidarsi.

Era richiesta residenza in città o nelle immediate vicinanze (entro 1,5 km), anche se in teoria il territorio di Pompei si estendeva ben oltre. Bisognava che il candidato esercitasse una professione onorevole e avesse una condotta moralmente irreprensibile. Ciò si traduceva in assenza di condanne infamanti e distanza da professioni come quella del lenone (padrone di bordelli) o del susceptor (biscazziere).

Vi erano poi requisiti anagrafici per potersi candidare alle elezioni a Pompei. In epoca augustea l’età minima richiesta venne portata da 30 a 25 anni, ma esistevano eccezioni, per meriti militari ad esempio.

Patrimonio e mobilità sociale

Il compito di effettuare tali controlli era di competenza dei censori a Roma e dei duoviri quinquennali nelle realtà periferiche. Costoro dovevano anche assicurarsi che i candidati fossero in possesso dei minimi requisiti patrimoniali richiesti.

Sin dall’epoca monarchica infatti la popolazione di Roma era stata rigidamente inquadrata in base al censo, che ne determinava privilegi e doveri. La politica nelle colonie romane non faceva differenza. Per poter essere candidati all’edilità, e di conseguenza compiere i primi passi del cursus honorum, bisognava possedere un patrimonio di almeno 100000 sesterzi.

Era davvero una democrazia?

Ciò ha spinto nel tempo molti storici a ridimensionare l’intero concetto di democrazia applicato ai tempi di Roma antica. Se infatti il controllo delle strutture amministrative aveva tali requisiti, è pacifico supporre che il potere politico fosse saldamente nelle mani di un numero molto ristretto di famiglie. Le quali possiamo ipotizzare che concordassero tra loro le opportune candidature di anno in anno. Gli spazi di manovra per i parvenu appaiono limitati.

Di recente però la tendenza è quella di mettere in discussione un tale modello statico di politica, a favore di un più marcato dinamismo. Gli studi condotti a Pompei infatti mostrano un discreto livello di mobilità sociale. Analizzando i nomi dei candidati è stato possibile calcolare che ogni 25 anni si assisteva ad un rinnovamento pressoché totale dell’élite coloniale, incarnata nel senato locale.

Se poi si fanno i conti con la sovrabbondanza di manifesti elettorali rinvenuti sulle pareti della città, un modello sterile di politica non trova troppe basi di appoggio. La competizione esisteva ed era tutt’altro che infrequente vedere nuove famiglie al potere. Persino famiglie di ex-schiavi, a distanza di una o due generazioni dalla liberazione, negli ultimi decenni di vita della città ebbero accesso alla cosa pubblica.

I primi passi della campagna elettorale

La campagna elettorale iniziava dopo l’accettazione ufficiale delle candidature. Gli aspiranti politici dovevano presentare un’esplicita dichiarazione (professio nominis) qualche tempo prima delle elezioni di marzo.

Talvolta capitava che vi fossero meno candidati rispetto alle cariche a disposizione. Ciò non deve sorprendere considerati i costi elevati della politica, che gravavano interamente sui diretti interessati. In questi casi il duumvir più anziano in carica procedeva ad indicare le persone che riteneva più adatte. Queste ultime potevano rifiutare la nomina (nominatio) a patto di indicare un sostituto.

Una volta approvati i candidati si procedeva alla pubblicazione della lista (proscriptio). Questa veniva in genere affissa sulle pareti della piazza principale (forum), in modo che tutti i cittadini potessero visionarla. La campagna elettorale poteva iniziare.

I margini di azione dei candidati

Il nostro candidato era a questo punto pronto a entrare in azione. L’intera faccenda assumeva tinte molto familiari, a tratti patetiche. Cicerone sosteneva che i politici non badassero alla propria dignità quando si trattava di procacciare voti. Alcuni candidati facevano di tutto per tener lontana la propria famiglia dal foro durante la campagna elettorale, onde evitare di essere visti elemosinare consensi.

Certo è che la legge, al fine di arginare fenomeni di corruzione, imponeva il divieto di organizzare manifestazioni pubbliche agli aspiranti politici, durante l’anno antecedente la candidatura. A costoro era inoltre proibito fare regali, concessioni di sorta, persino invitare a cena più di nove persone alla volta. Non c’era spazio per improvvisazioni, vincere la campagna elettorale significava aver pianificato la propria ascesa politica da anni.

I manifesti per le elezioni a Pompei

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Gruppo di manifesti elettorali lungo Via dell’Abbondanza a Pompei

Ciò non vuol dire però che non ci fosse competizione una volta depositata la lista. Genera spesso molta sorpresa scoprire che, disseminate sulle pareti di tutta la città di Pompei, negli anni siano state rinvenute circa 2600 iscrizioni che potremmo definire manifesti elettorali. I Romani li chiamavano programmata, e si presentano ai nostri occhi in colore rosso o nero.

La maggior parte si riferiscono, come è ovvio, alle campagne elettorali degli anni immediatamente precedenti all’eruzione del Vesuvio. Ma ne sono stati trovati anche di più antichi, a volte coperti da nuove iscrizioni, altre volte, per motivi non ben noti, lasciati in bella vista sulle pareti.

Non pare vi fosse alcuna legge atta a circoscrivere le aree dove era possibile imbrattare i muri. Basti pensare che sono stati rinvenuti manifesti elettorali sulle pareti di case private, all’esterno di esercizi commerciali e persino su monumenti funebri. Ovviamente si cercava di piazzarli nei luoghi più frequentati. Non è un caso che tra le aree a più alta densità di manifesti figuri la strada principale della città, la cosiddetta Via dell’Abbondanza.

Di base chiunque poteva vergare il proprio manifesto. Siamo però a conoscenza di una categoria di professionisti del settore chiamati programmatum scriptores. Costoro si occupavano in generale di iscrivere manifesti di ogni tipo sulle pareti della città. Dagli avvisi di spettacoli a quelli di locazione o vendita immobiliare. Durante il periodo elettorale erano affiancati da colleghi occasionali e si trasformavano nello strumento per eccellenza dei candidati.

Il lavoro degli scriptores si svolgeva normalmente di notte, onde evitare di recare disturbo. Erano organizzati in squadre e ognuno aveva il proprio ruolo specifico. Oltre allo scriptor, il team era composto da un dealbator, imbianchino incaricato di stendere la mano di calce bianca su cui piazzare l’iscrizione. Uno scalarius, col compito di mantenere la scala, utile a raggiungere le parti più alte delle pareti. Il lanternarius era incaricato invece dell’illuminazione, mentre l’adstans era colui che definiremmo il “palo” del gruppo.

Vota per…

Ma cosa contenevano questi messaggi? In linea di massima si trattava di brevi testi conformi a un formulario specifico, nei quali figurava il nome del candidato e l’indicazione della carica da egli ambita. A ciò faceva seguito l’esortazione al voto, espressa sottoforma di preghiera attraverso la sigla OVF, oro vos faciatis, o per meglio dire, vi prego di fare (eleggere).

In molti casi anche le parole indicanti la posizione ambita erano abbreviate. E’ possibile trovare sigle come IIvir per duumvir, e aed per edile ad esempio. Non era raro poi l’inserimento di altre sigle nella frase, come DRP. Questa stava per dignum rei publicae, in altre parole, meritevole della pubblica amministrazione.

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Una delle ultime iscrizioni elettorali rinvenute a Pompei

Proviamo dunque ad analizzare un manifesto elettorale tipo. Stando a quanto detto, il testo dell’iscrizione di cui sopra sarebbe:

Helvium Sabinum aedilem

D(ignum) R(ei) P(ublicae)

V(irum) B(onum)

O(ro) V(os) F(aciatis)

Vi prego di eleggere Elvio Sabino come edile, degno dello stato, una persona per bene“.

Accanto ai manifesti elettorali semplici, ve ne sono di più elaborati. Programmata in cui si fa riferimento alle capacità del candidato, o a suoi meriti specifici. Altri in cui figurano le promesse elettorali tanto care alla classe politica di ogni tempo. O ancora vere e proprie dichiarazioni di voto firmate da sostenitori singoli o intere categorie.

In questi ultimi casi il formulario può lievemente cambiare. Assistiamo alla sostituzione della consueta sigla OVF con abbreviazioni di verbi quali rogare, cupere o velle (pregare, desiderare, volere), anticipate da nomi di singoli o di gruppi di supporters (come ad esempio i lavandai o i vicini di casa).

Il giorno delle elezioni a Pompei

A questo punto non restava altro che votare. Un po’ come oggi, il corpo degli elettori era suddiviso in sezioni, grossomodo corrispondenti ai quartieri in cui era divisa la città di Pompei. Esistono solamente ipotesi circa i nomi e il numero di queste circoscrizioni ma dovevano essere più di quattro. Con tutta probabilità si faceva riferimento al quartiere di nascita per definire l’appartenenza ad una determinata sezione.

Nel giorno stabilito per la convocazione dei comizi elettorali, i cittadini si recavano al foro per esprimere le proprie preferenze, scaglionati in base alle loro circoscrizioni. Esisteva un edificio destinato alle elezioni a Pompei, il comitium, già suddiviso in un numero di settori corrispondenti alle sezioni.

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Edificio identificato come il comitium di Pompei

Il voto (suffragium) veniva espresso per iscritto (per tabellam), mediante una tavoletta cerata sulla quale l’elettore incideva i nomi dei candidati con uno stilo. Questa scheda veniva poi inserita in un’urna (arca) piazzata all’interno della propria sezione. La vigilanza sul corretto svolgimento dell’operazione era a carico dei rappresentanti di altre sezioni. A sovrintendere il tutto era il duumvir più anziano in carica.

Prima del voto venivano effettuati i controlli sui singoli votanti da un funzionario addetto (rogator). Egli, aiutato dai responsabili di ogni circoscrizione (curatores tribuum), verificava che i cittadini fossero regolarmente iscritti al registro degli aventi diritto al voto. Tale prerogativa accomunava tutti i maschi adulti, di condizione libera, residenti a Pompei. Ad avvenuta verifica era poi consegnato loro un gettone (tesserula), che andava esibito al momento del voto.

Lo spoglio delle schede veniva fatto immediatamente dopo il voto di ogni sezione dagli scrutatori (diribitores). A far fede non contava il numero assoluto delle preferenze, bensì la maggioranza delle sezioni. Capitava spesso così che le operazioni di spoglio fossero sospese prima del conteggio totale dei voti, non appena si raggiungeva la maggioranza.

I quattro nomi (due per il duovirato e due per l’edilità) che risultavano vincitori nel maggior numero delle sezioni venivano alla fine designati ufficialmente. Il popolo aveva scelto, poteva iniziare così la scalata al potere.

Massimo Marino

Bibliografia:

  • R. A. Staccioli, Manifesti elettorali nell’antica Pompei, Milano 1992.
  • M. Beard, Pompei, Milano 2017.
  • R. Biundo, Struttura della classe dirigente a Pompei e mobilità sociale, in Les élites municipales de l’Italie péninsulaire de la mort de Césare à la mort de Domitien, Roma 2000.
  • A. Varone, Pompei. I misteri di una città sepolta, Roma 2005.