L’etrusco nella lingua italiana

Dell’Etrusco tutti sappiamo che è una lingua morta ed in gran parte ancora sconosciuta. Quanti di noi, invece, sono consapevoli dell’eredità dell’etrusco nella lingua italiana? Se sul tetto della tua nuova casa al mare hai finalmente installato l’antenna per il televisore, ti senti la persona più felice al mondo perché stasera potrai vedere la partita della Nazionale, uno spettacolo che piace a tutto il popolo e che con il satellite arriva in ogni casa. Ebbene sì, ogni giorno utilizziamo parole che per il tramite del latino sono arrivate a noi dall’etrusco. Vediamole insieme più da vicino.

Etruschi: cenni storici

Prima di addentrarci nell’argomento che ci siamo proposti del lascito dell’etrusco nella lingua italiana, vediamo rapidamente chi erano gli Etruschi.

Sull’origine degli Etruschi le tesi elaborate nel passato si possono raggruppare nei due filoni dell’origine orientale oppure autoctona. Oggi le evidenze prodotte dalle ricerche archeologiche, antropologiche, linguistiche e, addirittura, genetiche, portano a propendere per l’origine autoctona. Gli Etruschi chiamavano sé stessi RasnaRasenna.

La civiltà etrusca copre un arco temporale che va dall’inizio dell’VIII fino al III sec. a. C. (caduta di Veio nel 395 a. C.). Gli Etruschi arrivarono a controllare un’ampia zona della penisola italiana che si estendeva dalla Pianura padana fino alla Campania. La stessa Roma fu governata per un periodo da re etruschi. Con la cacciata della dinastia etrusca dei Tarquini termina la monarchia ed ha inizio la Repubblica (509 a. C.).

La lingua etrusca nel latino e nell’italiano

Entriamo ora nel nostro argomento, soffermandoci sull’origine di tre parole del nostro linguaggio quotidiano e scopriremo un’etimologia inaspettata, che ci riporta indietro di secoli fino alla lingua e alle tradizioni del popolo etrusco. Vedremo, dunque, come sorprendentemente l’etrusco vive nella lingua italiana.

  1. L’etrusco nella lingua italiana: La maschera e la persona

Etrusco nella lingua italiana
Tarquinia, Tomba degli Auguri: Phersu, condannato e mastino.

Sebbene oggetto di studio e di dibattito, secondo alcuni eminenti studiosi sarebbe etrusca l’etimologia di persona. Su una parete della Tomba degli Auguri di Tarquinia (seconda metà del VI sec. a. C.) il phersu (come recita l’iscrizione), una figura maschile munita di una maschera barbata, tiene con un laccio un uomo che ha la testa in un sacco ed è azzannato da un mastino, che egli tenta di colpire con una clava.

Si tratterebbe di un rito funebre e secondo alcuni studiosi l’uomo col capo coperto sarebbe un condannato a morte che, se fosse riuscito a sopravvivere alla lotta con il cane, avrebbe avuto salva la vita (Raymond Bloch ed altri vedono in questi giochi funebri un’anticipazione dei giochi gladiatori romani). Su un’altra parete lo stesso phersu è raffigurato nell’atto di danzare.

Alcuni studiosi ipotizzano che da phersu, passando per la forma phersuna con l’aggiunta del suffisso di appartenenza -na (“del phersu“, “che appartiene al phersu“) oppure con l’aggiunta del suffisso diminutivo (“piccolo phersu“) sarebbe derivato il latino persona. Persona inizialmente è la maschera lignea indossata dall’attore teatrale, successivamente è il personaggio ed infine acquista il significato, che ha ancora oggi, di individuo. La parola è passata dal latino all’italiano e alle altre lingue romanze e non solo (cf. francese personne, inglese person, ecc.).

2. L’etrusco nella lingua italiana: L’istrione

Restando nell’ambito teatrale in cui si sarebbe diffusa la parola “persona”, troviamo un altro esempio dell’etrusco nella lingua italiana nel termine istrione. Esso sarebbe giunto a noi attraverso il latino histrio, a sua volta derivato dall’etrusco hister, l’attore (Histria era la regione da cui provenivano i teatranti).

Sappiamo che gli spettacoli teatrali erano molto amati dagli Etruschi e che i primi attori arrivarono a Roma proprio dall’Etruria. Tito Livio, infatti, ci riferisce che nel 364 a. C. furono chiamati a Roma attori etruschi (“ludiones ex Etruria acciti“) che dovevano esibirsi nell’ambito di cerimonie organizzate per ingraziarsi il favore degli dei e debellare la pestilenza che aveva colpito la città.

3. L’etrusco nella lingua italiana: Dalla guardia al satellite

A Galileo Galilei dobbiamo l’ingresso nella lingua italiana di satellite con il significato che oggi vi attribuiamo e che egli usa per la prima volta nel “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” (1624-30). Galilei riprese il termine latino satelles cioè “guardia“, che a sua volta deriva dall’etrusco zatlath dove zatl è “ascia” e ath il morfema che indica chi compie l’azione, dunque zatlath è “colui che brandisce l’ascia” vale a dire l’uomo della scorta. Questa figura è assimilabile, probabilmente, al littore, il portatore del fascio littorio (fascio di verghe tenute insieme con un’ascia) che sarà ripresa dai Romani. Molti secoli più tardi, come sappiamo, il fascio diverrà il simbolo del Fascismo, cui darà anche il nome.

L’Etrusco nella lingua italiana: altre parole di origine etrusca

Abbiamo visto, dunque, che l’etrusco nella lingua italiana è presente in parole che non sono proprie di linguaggi settoriali ma fanno parte del quotidiano. La lista delle parole che dall’etrusco sono giunte nella lingua italiana include anche:

popolo che deriverebbe da puplupuple (popolo); atrio da athre cioè “ampio spazio” (pensiamo all’importanza di questo elemento nell’architettura romana abitativa, col famoso atrio tuscanico); raggio da rhadia cioè “bastone” e poi, per estensione, poiché si usava un bastone per tracciare una linea da e verso un punto, “raggio“; antenna da antithemna ossia “asta di legno“; vernacolo da verna cioè “schiavo domestico“;mondo da muth cioè “buco“.

E non possiamo dimenticare Roma, che potrebbe derivare da un gentilizio Ruma o, forse, da rumon cioè “fiume“. Sono di origine etrusca molti altri toponimi come Volterra, Tarquinia, Vulci.

L’eredità etrusca nella cultura e tradizione di Roma

Dagli Etruschi i Romani appresero molte nozioni in campi diversi. Vediamo quali. Anzitutto ereditarono la dottrina aruspicina e augurale, cioè l’arte di predire il futuro e trarre indizi sulla volontà degli dèi attraverso l’esame del fegato dell’animale oppure del volo dei volatili. Sappiamo, infatti, che i Romani studiavano in tal senso addirittura il modo in cui i volatili da cortile beccavano in terra, se accettavano oppure rifiutavano l’acqua, ecc. Sappiamo che tra Romolo, che sull’Aventino grande vide 12 avvoltoi provenire da sinistra e Remo, che sull’Aventino piccolo ne vide 6 da destra, fu prescelto per la fondazione di Roma il primo, per il maggior numero di uccelli visti e la provenienza da sinistra, considerata più fausta. I nostri “Augùri” formulati in occasioni di festa oppure la parola auspicio sono eredi di una tradizione che prima che romana fu degli Etruschi.

Dagli Etruschi i Romani appresero anche nozioni di architettura, prima fra tutte l’arco ossia la struttura di una curva di cunei, culminante in una chiave di volta, capace di reggere spinte enormi, senza la quale non avrebbero costruito opere di ingegneria come gli acquedotti ma neanche la cupola del Pantheon.

L’etrusco nella lingua italiana: Testimonianze scritte

Lamine di Pyrgi

Quella etrusca era una lingua morta già all’epoca di Cesare. L’imperatore Claudio ne fu un appassionato studioso.

Della lingua scritta dei Rasna non ci sono pervenuti che pochi testi, non di grande lunghezza, nei quali il 90% delle parole è costituito da nomi di persona e divinità, la restante parte è lessico sacro, liturgico e funerario. Oltre a questo, non è stato ancora possibile decifrarli tutti.

Il testo più lungo è il Liber linteus Zagrabiensis o Mummia di Zagabria, un telo di lino, recante un calendario rituale, utilizzato per avvolgere il corpo di una donna e conservato a Zagabria.

Prezioso in quanto bilingue, punico-etrusco, il testo inciso su oro delle tre Lamine di Pyrgi (509-508 a. C.).

L’etrusco rimane ancora parzialmente sconosciuto, dunque, sebbene se ne conoscano struttura e funzionamento, si sappia che è una lingua non indoeuropea e agglutinante, non flessiva come le lingue indoeuropee, ma l’impossibilità di comparazione etimologica, data dall’isolamento e unicità linguistica dell’etrusco, ostacola la piena comprensione dei testi pervenutici, che sono comunque pochi, un po’ come se volessimo decifrare la lingua italiana ma disponessimo solo di lastre tombali, di qualche brano rituale o di ex-voto. Tuttavia oggi sono ben 13.000 i lemmi del Thesaurum Linguae Etruscae, dagli iniziali 8.000 introdotti dal grande Massimo Pallottino nel 1978.

Conclusioni

Se gli studiosi in gran parte escludono che sia di origine etrusca la gorgia toscana, cioè la tipica pronuncia aspirata dell’occlusiva velare sorda intervocalica (come in “casa” che diventa “hasa”), d’altra parte l’etrusco sopravvive nella lingua italiana e le parole italiane figlie dell’etrusco non sono certamente marginali -come abbiamo visto- ma fanno parte del nostro linguaggio di ogni giorno: in esse continua a vivere lo spirito del popolo dei Rasna, che, poi, tanto misterioso non è.

Simona Sagnotti

Bibliografia

  • L’etrusco, da leggere e da parlare. Comunicato Stampa CNR 11/02/2010;
  • Treccani, Le parole dei Rasna (Silverio Novelli);
  • G. Devoto, L’etrusco come intermediario di parole greche in latino;
  • M. Pallottino, Origini e storia primitiva di Roma;
  • A. D’Aversa, L’eredità della lingua etrusca;
  • O. Sacchi, Phersu/Persona? Contributo per un’etimologia di prosopon;
  • Tito Livio, Ab Urbe Condita, VII, 2, 4.

Nota: Per la scena del combattimento tra incappucciato e mastino, cf. gli affreschi delle Tomba delle Olimpiadi, Tomba del Pulcinella, Tomba del Gallo, Tomba della Scimmia.