Il Bellum Iugurthinum di Sallustio: una guerra lunga e corrotta

La seconda monografia di Sallustio, il Bellum Iugurthinum, relativa alla guerra contro Giugurta di Numidia, riguarda un avvenimento della fine del II secolo a.C.: la guerra lunga, umiliante e corrotta, condotta dai Romani contro un re africano di grandi capacità e pari spregiudicatezza.

La guerra di Giugurta, ed è per questo che Sallustio le dedica una monografia, è la più chiara manifestazione della capitolazione della classe “dirigente” romana. Corruzione, interessi particolari prevalenti su quelli generali, codardia, arroganza.

Un miscuglio che ebbe l’effetto di distaccare completamente, e per sempre, la plebe dal Senato e dalla classe politica dirigente.

I fatti raccontati nel Bellum Iugurthinum

Il Bellum Iugurthinum, monografia suddivisa in 114 capitoli (dunque più lunga del De Catilinae coniuratione), comprende gli avvenimenti verificatisi tra la morte del Re Micipsa, alleato fedele dei Romani, nel 118 a.C., e la cattura e il tradimento di suo nipote Giugurta, nel 105, che corrompendo i senatori romani aveva esautorato Iempsale e Aderbale, correggenti con lui del regno di Numidia.

Dopo un proemio inteso a giustificare sia l’opzione di Sallustio in favore della storiografia sia la scelta del tema specifico, la monografia si apre con una breve archeologia, necessaria prima di trattare di campagne che avevano avuto luogo in Africa. Una sintetica storia della dinastia Numida e la descrizione geografica e storica di popolamento dell’Africa del Nord.

Il ritratto nobile di Giugurta

Segue la presentazione di Giugurta: il suo carattere e la sua carriera. Il suo ritratto è precedente al racconto della guerra (come per Catilina nel De Catilinae coniuratione è precedente a quello della congiura).

Bellum Iugurthinum
Il re di Numidia Giugurta nel recto di una moneta (I sec. a.C.)

Giugurta si muove alla corte del re Micipisa, suo zio, e là si distingue per forza fisica, capacità militare e abilità venatoria, attirando l’attenzione e la preoccupazione del re che aveva due figli più giovani di Giugurta.

Il ritratto è nobile. Sallustio non dimentica, infatti, di illustrare anche le doti d’ingegno e le qualità morali di Giugurta, caratteristiche tutte quante che non gettavano cattivi presagi sul futuro.

É col passare del tempo che il giovane Giugurta fa emergere tutta la sua crudeltà, la sua ambizione smisurata, l’astuzia senza scrupoli, che sicuramente avrebbero potuto avere la meglio su Roma se lui stesso non fosse stato vinto da un subdolo inganno.

Sallustio crea un ritratto ad hoc in una climax ascendente di negatività: Giugurta è un eccesso continuo di crudeltà, audacia bellica, attivismo indomito.

Narrazione e cronologia

La narrazione prosegue articolandosi in maniera cronologica. All’esame del problema della successione di Micipsa, padre di Aderbale e Iempsale, suoi figli naturali, e di Giugurta, suo figlio adottivo, e dell’inganno di Giugurta stesso, antefatti del conflitto, fa seguito il racconto della guerra in senso stretto.

In chiusura il racconto si incentra sugli avvenimenti successivi e riguarda teatri di operazioni diversi dove risolutiva si sarebbe rivelata l’azione di Gaio Mario, trionfatore su Giugurta.

Come nel De Catilinae Coniuratione il centro della narrazione é costituito da un singolo personaggio, non per questo però lo scritto assume un carattere biografico.

Dalla guerra in suolo africano alla bancarotta della nobilitas romana

La narrazione si apre a una dimensione articolata: l’attenzione del lettore viene sapientemente spostata dal lontano territorio africano a Roma. Interesse di Sallustio è dare al lettore un assaggio della depravazione romana e dei livelli che ormai aveva raggiunto.

Cupiditas

Giugurta nel 117 aveva fondato tutta la sua politica sulla cupiditas, ovvero sulla bramosia di ricchezze della nobiltà romana, che sarebbe stata la premessa alle guerre civili che avrebbero insanguinato l’Italia.

La guerra giugurtina assume, dunque, per lo storico, un interesse che va oltre la politica estera e oltre il territorio africano. Il Bellum Iugurthinum diventa presagio della politica interna romana, palesando l’incapacità della nobilitas, garante dello Stato, di difendere lo Stato stesso. La corruzione e la degenerazione avevano preso il sopravvento.

Intendo narrare la guerra combattuta dal popolo romano contro il re dei Numidi Giugurta; in primo luogo perché essa fu lunga, sanguinosa e dall’esito incerto; in secondo luogo perché allora per la prima volta si fece fronte all’arroganza dei nobili. Questo conflitto, che sconvolse leggi umane e divine, giunse a tale follia, che soltanto la guerra e la devastazione dell’Italia posero fine alle discordie civili.  (Sallustio, Bell. Iugurth., 5, 1-2)

La volontà di affiancare a una descrizione degli eventi in Africa una riflessione dettagliata circa la degenerazione della nobiltà a Roma si esprime nell’approfondimento di tre episodi di politica interna romana.

Discorsi del tribuno Gaio Memmio

Sallustio riferisce dei discorsi infiammati che Gaio Memmio, tribuno della plebe, rivolge al popolo. Egli ricorda alla plebe come da anni, ormai, sia diventata lo zimbello di pochi superbi, di come si sia indignata nel vedere pochi nobili impossessarsi dei tributi e delle finanze pubbliche ma che, al dunque, non abbia protestato.

Questi superbi sono quelli che hanno ucciso i Gracchi e fatto strage tra il popolo: è giunto il momento di fermare, non con la violenza, queste ingiustizie.

Si propone quindi di convocare a Roma Giugurta, perché, dietro promessa di incolumità, si giustifichi davanti al popolo e faccia i nomi di coloro che ha corrotto.

La proposta del tribuno Gaio Mamilio Limitano

Il popolo di Roma questa volta decide che si è passato ogni limite di decenza. Sallustio presenta la proposta del tribuno della plebe Gaio Mamilio Limitano.

Egli propone una commissione di inchiesta per processare i responsabili del disastro giugurtino e, nonostante le opposizioni del Senato che temeva di trovarsi in stato d’accusa, riesce a farla approvare.

La spedizione di Cecilio Metello

Bellum Iugurthinum
Un cavaliere mauritano o numida ed un cavaliere romano in combattimento

Finalmente, dopo quasi 10 anni di crisi, nel culmine dell’indignazione popolare contro il Senato, viene presa l’unica decisione che doveva essere presa. Viene eletto console Cecilio Metello, che riceve il comando della Numidia. Egli è un nobile di antichissima e nobilissima famiglia, superbo e arrogante, appartenente a pieno diritto all’oligarchia, di cui ne è il miglior esponente. Metello è incorruttibile, buon generale, un conservatore tutto d’un pezzo.

Cecilio Metello organizza con estrema cura la spedizione e parte alla volta dell’Africa portandosi come secondo in capo Gaio Mario, un eccellente militare proveniente da una famiglia equestre del territorio di Arpino.

L’ingresso in scena di Gaio Mario

Gaio Mario, poco avvezzo alle lettere, sin da ragazzo si era dedicato alla carriera militare, distinguendosi molto presto. Qualche anno prima era stato tribuno della plebe e aveva dato prova di moderazione e correttezza.

Bellum Iugurthinum
Busto di Gaio Mario

In Bell. Iugurt. 63, 2 si legge:

At illum iam antea consulatus ingens cupido exagitabat, ad quem capiendum praeter vetustatem familiae alia omnia abunde erant: industria, probitas, militiae magna scientia, animus belli ingens domi modicus, libidinis et divitiarum victor, tantummodo gloriae avidus.

Da tempo un’ambizione divorava Mario, quella di diventare console. Possedeva largamente tutte le doti necessarie all’infuori di una, l’antico lignaggio; aveva solerzia, rettitudine, grande preparazione militare, spirito indomito in guerra, moderato in pace; dominava le tentazioni dei sensi e della ricchezza, ed era avido di una sola cosa: la gloria.

La lettura di questo frammento ci pone di fronte ad una significativa e specifica scelta lessicale: il sostantivo cupido (ambizione, ma anche bramosia) e l’aggettivo avidus (avido, desideroso ma anche bramoso), ambedue riferiti a Mario.

Qui Sallustio dimostra come una brama sfrenata di potere politico e di gloria ad essa legata possano comportare due esiti di cui lui è testimone: o quello catilinario (ambitio sine lege) o quello di Mario, che tuttavia non sarà risparmiato dalla sconfitta.

La virtus andava anteposta ai natali se si voleva salvare Roma. Gaio Mario ne è l’esempio.

Mario rientra a Roma

L’opera continua con Mario che vorrebbe rientrare a Roma per la sua candidatura, ma ciò provoca un forte deterioramento tra Metello e Mario stesso. Giugurta, dal canto suo, non si fa attendere e risponde stringendo una alleanza con un altro re africano, Bocco.

Intanto il senato affida l’intero compito della guerra a Mario. Le vittorie di quest’ultimo spingono il re della Mauritania Bocco a staccarsi da Giugurta. Intanto arrivano i rinforzi da Roma, guidati da Silla.

Il ritratto di Silla

Ancora un ritratto significativo, quello di Silla, dove sempre troviamo le solite parole chiave, come cupidus, bramoso.

Bellum Iugurthinum
Lucio Cornelio Silla

Ma anche in questo caso, come per Catilina, ad essere colpevolizzati, più che Silla, sono i nobili romani, veri responsabili, egoisticamente chiusi nel loro privilegio. Un frutto che discendeva da quell’albero non poteva, secondo Sallustio, cadere troppo lontano.

Infatti ricomincia qui una certa ambiguità descrittiva: Silla è doctissimusprodigus, ma anche luxuriosissimus e non honestus de uxorem: sono difetti che minano in profondità il mos maiorum da cui è cominciata la decadenza della repubblica.

Il Bellum Iugurthinum si conclude…

Il Bellum Iugurthinum si conclude con Giugurta che, accordatosi segretamente con Bocco, attacca all’improvviso, ma viene respinto.

Sarà l’atteggiamento assolutamente opportunistico dell’alleato di Giugurta a consegnare, infine quest’ultimo, ai Romani.

Una monografia più complessa della precedente

Questa monografia è più complessa e strutturata se la si paragona con il De Catilinae coniuratione.

Se, pur con differenze anche notevoli, equanime poteva essere il giudizio negativo su Catilina, diverso è il discorso quando tale giudizio si scaglia contro una parte della società romana.

Per meglio dire il suo giudizio politico, pur essendo l’episodio databile una cinquantina d’anni successivo, ancora risente del clima politico all’indomani dell’uccisione di Cesare.

A torto Sallustio non nomina, infatti, quella parte di nobilitas che corrotta non era e lo stesso dicasi per i populares.

I personaggi che Sallustio presenta e descrive in modo esemplare e attento sono le sue alternative ai personaggi che la storia di quegli anni cruciali avevano fornito.

Maria Francesca Cadeddu