Karl Jaspers: L’indirizzo fenomenologico in psicopatologia

Nel 1908, il giovane Karl Jaspers inizia il suo tirocinio presso la clinica psichiatrica di Heidelberg. Qui, matura la sua riflessione riguardo i metodi propri della pratica psichiatrica. L’indirizzo fenomenologico in psicopatologia ne rappresenta il primo risultato. In quel tempo, la psichiatria vedeva il dominio di un indirizzo causalista e riduzionista.

Riduzionista era, ad esempio, la posizione sostenuta da W. Griesinger. A quest’ultimo si deve l’idea per cui “tutte le malattie mentali sono malattie del cervello”. Si privilegiava, allora, la psicologia oggettiva, a scapito di quella soggettiva. Jaspers, dal canto suo, non approva le ragioni di tale esclusione. Pertanto, si impegna a garantire un fondamento scientifico ai cosiddetti sintomi soggettivi.

L’indirizzo fenomenologico in psicopatologia

Lindirizzo fenomenologico in psicopatologia

Pubblicato nel 1912, il saggio anticipa alcuni dei temi ripresi nella Psicopatologia Generale del 1913. Nello specifico, esso costituisce una prima versione del “pluralismo metodologico”. Ciò significa che la psicopatologia non adotta un unico metodo, ma più metodi. La scelta del metodo varia a seconda del tipo di fenomeno indagato.

La trattazione si avvia con la distinzione tra sintomi oggettivi e sintomi soggettivi. Sono oggettivi i fenomeni accessibili mediante i sensi o la comprensione intellettuale. Di tal fatta sono, ad esempio, le prestazioni misurabili o i contenuti linguistici.

Si definiscono, invece, soggettivi, quei sintomi che vengono colti solo attraverso l’empatia. L’empatia fa sì che lo psichiatra si immedesimi nel vissuto del malato. In tal modo, esso diviene oggetto di un’esperienza comune. Il teraupeuta riesce così ad entrare in comunicazione col paziente. Sono soggettivi, dunque, i gesti espressivi e le autodescrizioni dei malati. I primi rivelano immediatamente lo stato d’animo del malato. Mentre, le autodescrizioni sono resoconti scritti, redatti dagli stessi pazienti. Per cui, sono filtrate dal loro modo di interpretare il disturbo.

Fenomenologia e Psicopatologia

Lindirizzo fenomenologico in psicopatologia
Karl Jaspers (1883-1969)

Jaspers mutua lo strumento dell’empatia dalla fenomenologia husserliana. L’indirizzo fenomenologico in psicopatologia  applica il metodo fenomenologico a tale settore. L’interesse del filosofo verso la fenomenologia è giustificato, appunto, dal tentativo di salvaguardare la dimensione soggettiva del malato. La fenomenologia, invero, dà l’accesso all’esperienza vissuta in prima persona. Perciò, essa svolge un lavoro preliminare. Si occupa, ossia, di presentificare e delimitare il vissuto patologico. Presentificare vuol dire “rendere presente alla coscienza“.

Tuttavia, il metodo fenomenologico è utile solo alla visione intuitiva del dato. Lo psicopatologo esercita, infatti, l’epoché. Ciò significa che non tenta di spiegare ciò che intuisce. L’epoché mette da parte ogni pregiudizio teorico. Le teorie possono condizionare la visione. Per cui, il momento della comprensione è successivo a quello fenomenologico.

Comprensione statica e genetica ne “L’indirizzo fenomenologico in psicopatologia”

Il comprendere fenomenologico, prosegue Jaspers, è un comprendere statico. Esso porta all’intuizione i fenomeni. Allo stesso tempo, si sofferma sui modi in cui si danno alla coscienza patologica. Ma non può ricostruire la genesi della malattia, né offrirne una spiegazione. Tali compiti spettano alla comprensione genetica e dello spiegare.

Il comprendere genetico è, al contrario, dinamico. Esso comprende, cioè, “come dallo psichico derivi lo psichico”. Vengono così alla luce le relazioni comprensibili. Tali relazioni mostrano i rapporti motivazionali tra due fatti. Jaspers scrive:

Lo psichico “sorge” dallo psichico in un modo per noi comprensibile. Chi è esausto diventa adirato e agisce in modo difensivo, chi viene tradito diventa diffidente ecc. Questo derivare dello psichico dallo psichico lo comprendiamo geneticamente.

A sua volta, il comprendere genetico si scinde in razionale ed empatico. Nel primo caso, si ha la comprensione di contenuti psicologici connessi razionalmente. Nel secondo caso, si hanno le autentiche connessioni psichiche. Jaspers, infatti, afferma che solo “il comprendere empatico conduce alla psicologia stessa”.

Comprendere e spiegare

Tuttavia, l’estensione della comprensione non è illimitata. Essa “urta” contro il limite dell’incomprensibile. Vi sono, cioè, dei fenomeni che non possono venir compresi. Di fronte ad essi, occorre riferirsi alla spiegazione causalistica.

Lo spiegare causale si serve di un concetto di causalità differente. Esso mira a stabilire relazioni di causa-effetto tra i fatti osservati. Di contro, la causalità psichica è “una causalità dal di dentro”, ossia, non ricerca cause ma “motivazioni”. La spiegazione fa largo uso di “meccanismi extra-coscienti”. Si tratta, cioè, di meccanismi che provocano i disturbi patologici. La loro esistenza si può solo supporre, ma non verificare. In altre parole, sono costrutti teorici, definiti extra-coscienti poiché il soggetto non ne ha un’esperienza diretta.

Lo spiegare riconduce, poi, i fenomeni incomprensibili a cause di natura fisiologica. Vale a dire, a processi corporei di cui il malato è ignaro. La spiegazione causale, dunque, rappresenta lo step conclusivo del percorso metodologico.

Quali sono i vantaggi dell’approccio pluralistico?

L’approccio pluralistico alla malattia mentale comporta numerosi vantaggi. Esso si rivela prolifico sia per la ricerca psicologica, che per la relazione terapeutica e ciò per due ragioni fondamentali. In primo luogo, rende scientifici i sintomi soggettivi. Questi ultimi erano ignorati dalla psicologia, perché considerati poco attendibili. Il metodo fenomenologico, invece, ha smentito questo pregiudizio. Esso ha riportato la dimensione soggettiva nel campo di indagine psicologica.

In secondo luogo, ha consentito di rivalutare la figura del malato mentale. Quest’ultimo viene ora a trovarsi al centro della relazione medico-paziente. Infatti, i colloqui e le autodescrizioni diventano strumenti preziosi per lo psichiatra. Il soggetto patologico non è più un insieme frammentario di prestazioni e abilità oggettive, ma piena individualità. Pertanto, allo psichiatra si chiede di rispettarne l’ineffabilità. Ciò significa rinunciare ad ogni pretesa di oggettivazione.

Alessandra Bocchetti

Bibliografia

Jaspers K., Scritti Psicopatologici, S. Achella, A. Donise (a cura di), Guida, Napoli 2004.

L’immagine di copertina è ripresa da https://sociologicamente.it/psichiatria-sociale-comunita-terapeutiche/.