Il Parmenide di Platone: la ginnastica del pensiero

Il Parmenide è uno dei dialoghi più controversi della produzione platonica. Il testo, articolato in due parti molto diverse per struttura, temi affrontati e personaggi, è stato oggetto di molteplici interpretazioni.
Il dialogo ha goduto di grande fortuna in età imperiale e fra i Neoplatonici, i quali vi hanno tratto il proprio sistema teologico (l’Uno, l’Intelletto, l’Anima). Fra i Platonici moderni invece è la Scuola di Tubinga ad aver proposto per il Parmenide un’originale interpretazione, mettendone addirittura in dubbio la paternità platonica.

La metafora ginnica

Il carattere enigmatico del dialogo emerge sotto molti aspetti. In primo luogo, problematica è la struttura compositiva: nella prima parte del dialogo (126a-137c) la narrazione culmina in una singolare conversazione fra un giovanissimo Socrate e l’anziano filosofo Parmenide; vi troviamo un’esposizione della teoria delle idee, che rinvia a passi cruciali di dialoghi coevi, come la Repubblica. Nella seconda parte (137c2-166c5), invece, ritroviamo Parmenide impegnato con il giovane allievo Aristotele in quel singolare esercizio di pensiero che egli chiama gymnasia (ginnastica).
La metafora ginnica fa da sfondo all’intera composizione e costituisce il vero principio unificante del dialogo. Il pensiero dialettico è rappresentato dall’autore, attraverso le parole e i gesti dei suoi personaggi, con la metafora olimpica della gara, dello slancio, della corsa, dello sforzo muscolare.

La filosofia, la dialettica e l’Olimpiade

Nella prima parte del Parmenide il dialogo si svolge secondo una narrazione di ”terza mano”. Il narratore è Cefalo di Clazomene, giunto ad Atene, con altri filosofi suoi concittadini, per incontrare Antifonte, fratellastro di Platone. Antifonte, infatti, appare come il depositario del resoconto di una straordinaria conversazione, avvenuta più di cinquant’anni prima, tra Socrate, Parmenide e Zenone. Tuttavia, Antifonte ha appreso i contenuti di tale disputa in modo indiretto, attraverso la mediazione di Pitodoro, allievo di Zenone.

Il Parmenide

L’incontro tra i mala philòsophoi è collocato in un momento storico ben preciso: le Grandi Panatenee del 452 a. C. Le Grandi Panatenee erano una delle principali occasioni celebrative di Atene, per le quali accorrevano in città visitatori da tutta la Grecia. Le manifestazioni avevano luogo ogni quattro anni, nel corso dell’Olimpiade. Si tratterebbe in questo caso dell’82esima Olimpiade, la quale fa da sfondo all’incontro fra Socrate e gli Eleati. Esse costituivano la più importante festa religiosa e civile in onore della dea Atena, cui erano dedicati agoni ginnici, poetici e musicali.
Il dialogo si incrive così, sin dalle prima battute, in una cornice agonistica e costituisce al tempo stesso un tributo poetico ed olimpionico alla dea. Lo sforzo che Antifonte è chiamato a compiere per richiamare alla memoria tutti i momenti di un densissimo racconto è la prima traccia dell’analogia pensiero-sport che sottende tutto il dialogo.

Parmenide e Socrate: la ”ginnastica” come compito del pensiero

La difficoltosa ricostruzione della disputa fra Parmenide e Socrate ”intorno alle forme” approda al tema fondamentale della gymnasia.
Antifonte enuncia tutti i passaggi dell’agone filosofico, per il quale sia Socrate che il vecchio maestro s’impegnano in un botta e risposta all’ultimo sangue. L’obiettivo perseguito dai due filosofi è quello di far valere la propria tesi contro quella dell’avversario, come in una vera e propria battaglia dialettica. La tesi intorno alla quale ruota la gara è l’ipotesi eidetica, il cuore della filosofia platonica. Socrate sostiene, contro il pensiero eleatico, l’esistenza di ”un mondo delle idee” separato dal ”mondo delle cose”, suffragando la sua affermazione con suggestivi esempi.
Parmenide, mostrandosi ancorato ad una salda visione materialistica, vi oppone una serie di obiezioni, nelle quali gli interpreti hanno riconosciuto un’irreparabile decostruzione della filosofia platonica. Nonostante l’apparente k.o. di Socrate, è quest’ultimo a portare a casa la vittoria. Nel dialogo si legge:

“Che cosa farai allora della filosofia? Dove rivolgerai il pensiero se queste difficoltà [le idee] vengono ignorate? […]
Il fatto è, Socrate, – riprese Parmenide – che tenti di separare il bello, il giusto, il buono e ciascuna singola forma prima di esserti esercitato. […] Certo, bello e divino è lo slancio che ti spinge verso i ragionamenti. Tuttavia, finché sei ancora giovane imponi a te stesso di esercitarti…Altrimenti la verità ti sfuggirà.” (135c5-d6)

La fatica del pensiero

il Parmenide

Socrate chiede all’anziano filosofo di Elea di chiarire in cosa consista questo esercizio col quale è necessario esercitare il pensiero. La gymnasia, l’esercizio costante della propria mente, è l’unica via possibile per l’acquisizione del vero. Parmenide allude ad un allenamento costante del pensiero, che funga da attività preparatoria alla vera e propria gara agonistica che è la dialettica. Il pensiero deve essere educato allo sforzo del ragionamento, perché se ne conquisti una sempre maggiore estensione.

Non si tratta di un’attività solitaria: più che negli altri dialoghi, nel Parmenide Platone ci restituisce l’essenza relazionale della filosofia, la sua tensione agonistica e, per questo, necessariamente pluralistica.
Non c’è gara senza competizione con l’altro: la dialettica è la misura della verità. Ma ciò che dà slancio al pensiero dialettico è l’attitudine a ”passare attraverso tutte le ipotesi”, esaminando da tutti i punti di vista possibili le conseguenze derivanti dalla posizione di una tesi.

Come il cavallo di Ibico

L’attività del pensiero è un’impresa infinita, un lavoro immenso. Parmenide non offre a Socrate solo una lezione di metodo. Egli si cimenta in un’avventurosa dimostrazione dell’esercizio, cedendo all’esortazione di Zenone. È questa la parte del dialogo in cui il filosofo sovrappone se stesso al poeta Ibico e al cavallo da corsa, consegnandoci la più densa immagine dello spirito agonistico, che reca sempre con sé anche la forza dello slancio d’amore.

“Bisogna dunque obbedire. Certo, mi sembra di trovarmi nelle condizioni del cavallo di Ibico: questo fu un cavallo da corsa, ma ormai era vecchio, e in procinto di gareggiare con il carro, trepidava in vista di ciò che lo aspettava. Dunque, paragonando se stesso a questo cavallo il poeta diceva: <<anche io, contro voglia e così vecchio, sono costretto ad affrontare l’amore>>. Anche a me, ricordando questo racconto, sembra di avere davvero paura al pensiero di come alla mia età occorra affrontare un così vasto mare di ragionamenti.” (136e8-137a5)

Martina Dell’Annunziata

Bibliografia

Platone, Parmenide. Testo greco a fronte, trad. it. a cura di F. Ferrari, BUR, Milano 2004