La teoria di Berkeley: esse est percipi

Teologo e teorico dell’immaterialismo, Berkeley è rinomato per essere stato anche uno degli esponenti più rilevanti dell’empirismo. In Italia però il suo pensiero è ancora poco noto, nonostante il rigore dei suoi ragionamenti sia tutt’altro che scontato. Egli riesce attraverso la teoria della conoscenza umana a legittimare Dio. Se da un lato, infatti, si presenta come un conservatore della cristianità; dall’altro, con la teoria dell’esse est percepi è a tutti gli effetti anche il precursore del mentalismo.

Berkeley, più di un filosofo

BerkeleyPrima di capire che rapporto intercorre tra Dio e la mente umana, è necessario capire che l’attività speculativa di Berkley è mossa da un intento ben preciso. Se il suo principale obiettivo è quello di restituire alla religione l’autorevolezza che gli spetta, dall’altra parte egli è certo che questa attività possa rivelarsi un bene per l’intera comunità.

Ecco il motivo per il quale Berkeley non è avversario né della scienza né della razionalità. Il filosofo fece persino degli esperimenti che lo portarono a sostenere che l’acqua di catrame avesse dei particolari benefici per la salute.

Ciò però non gli impedisce di scontrarsi con i liberi pensatori dell’epoca e di immaginare la possibilità di evangelizzare il mondo, con il progetto, decisamente audace, di un centro di formazione cristiano che si sarebbe dovuto costituire nelle Isole Bermuda. Probabilmente proprio questo atteggiamento anti illuministico lo ha isolato dai contemporanei e ancora oggi porta non pochi studiosi a considerarlo nemico della filosofia.

Connotazioni, queste, che forse peccano di superficialità, considerando lo spirito che anima l’attività speculativa di Berkeley e le sue posizioni sull’importanza della riflessione.

“Come potrei azzardarmi a esporre al mondo i miei pensieri prima di sapere che saranno utili al mondo?”

Egli scrive ancora:

“Il compito della scienza e della speculazione è quello di chiarire i pregiudizi e gli errori, sciogliendo le connessioni più strette, distinguendo le cose differenti […]è quello di darci opinioni chiare, correggendo gradualmente il nostro giudizio, portandolo all’esattezza filosofica.”

Ciò che non è percepito non esiste

Veniamo ora all’attestazione più importante di Berkeley, quella in cui in cui di solito si riconduce il suo pensiero: esse est percipi. Con questa espressione così breve egli stabilisce il primato della mente sulla materia, giacché quest’ultima non esisterebbe. Non solo i pensieri ma anche l’immaginazione e i sensi deriverebbero direttamente dalla percezione e pertanto dalla nostra mente.

In tal modo Berkeley si pone addirittura oltre Locke, che pur affermando l’impossibilità di conoscere le sostanza non ne mette comunque in dubbio l’esistenza.

Berkeley
La copertina originale del “Trattato sui principi della conoscenza umana”.

Nella sua teoria della conoscenza, Berkeley scrive:

“Mi sembra assolutamente incomprensibile ciò che si dice riguardo all’esistenza assoluta di cose non pensanti, senza nessuna relazione con il fatto che siano percepite. Il loro esse è un percipi: non è possibile che esistano al di fuori della mente o delle cose pensanti che le percepiscono.”

Per il vescovo irlandese non è possibile pensare che esista qualcosa che sia assolutamente indipendente dalla mente. Questa riflessione suscita immediatamente un’obiezione poiché – presupponendo che ad esistere siano solo le cose che percepiamo – come riusciamo ad immaginare una rosa o il suo profumo senza la rosa stessa?

La dottrina delle idee astratte

BerkeleyPer rispondere al quesito Berkeley si appella alla tendenza tutta umana, anzi in particolare propria dei dotti, di riuscire a separare ed isolare le varie componenti della percezione. Si tratta della cosiddetta dottrina delle idee astratte.

Berkeley così prosegue:

“Cos’altro sono la luce e i colori, il caldo e il freddo, l’estensione e le figure, in una parola tutto ciò che vediamo e sentiamo con il tatto, se non sensazioni, nozioni, idee o impressioni dei sensi? È forse possibile separare, anche solo con il pensiero, una qualunque di esse dalla percezione?”

Ebbene la dottrina delle idee astratte tenta di fare, fallendo, questa operazione, che corrisponde all’invano tentativo di separare una cosa da se stessa.

Innanzitutto quando immagino qualcosa che non esiste, mi sto in verità richiamando alla mia capacità di percepire, che la teoria dell’astrazione non considera. In secondo luogo  astrarre l’idea di qualcosa dalla cosa stessa non attesta comunque l’esistenza di tale cosa, ma solo la capacità da parte della mente di formare idee. Questo significa che per Berkeley c’è una perfetta coincidenza tra percepire e avere un’idea così, come tra il modo in cui percepiamo un oggetto o una sensazione e l’oggetto stesso. Tutto quello che non può essere pensato, semplicemente, non esiste.

A questo punto verrebbe da chiedersi: da dove nascono le idee? La risposta di Berkeley questa volta chiama in causa direttamente Dio.

Il ruolo di Dio e la tesi dell’immaterialismo

Berkeley sostiene che la mente è attiva, in quanto in grado di creare e disfare idee. Nonostante ciò, però, le idee percepite dai sensi non derivano direttamente dalla volontà della nostra mente, che egli definisce a più riprese anche spirito umano.

Appare fondamentale distinguere, così, due tipologie di idee: le idee come immagini di cose e le cose reali, laddove per reale non si intende qualcosa che esiste al di fuori della mente ma qualcosa che è esterno in quanto viene impresso nella mente da uno spirito superiore. Si tratta delle cosiddette leggi di natura, cioè le idee vivaci, forti, distinte che seguono regole fisse e stabili. Siamo abituate a concepirle attraverso l’esperienza e la dinamica di causa ed effetto che è propria di quest’ultima. Ciò è possibile però solo perché Dio, che Berkeley definisce l’Autore, le imprime in noi.

La concezione del ruolo di Dio è strettamente collegata con l’annientamento del materialismo. Quest’ultimo ne esce sconfitto non solo perché l’estensione, la forma e il movimento non  possono  esistere senza un soggetto pensante, ma perché nella prospettiva di Berkeley le idee vanno concepite esattamente come le cose, cioè tangibili e oggettivabili grazie alla mente di Dio. Esse, però, vanno definite “idee” e non “cose” perché non includono colui che pensa e perché gli oggetti dei sensi hanno esistenza solo nella mente.

A questo punto la materia e l’ateismo che ne deriva devono necessariamente ritrarsi. Non percependo e non essendo percepita, la materia equivale al nulla. Anche laddove la si volesse intendere – come solitamente sono avvezzi fare gli intellettuali –  in quanto sostrato di qualcosa, quel che sostiene non è conoscibile.

Il rigore filosofico e la ricerca della verità

È evidente che la teoria della conoscenza umana di Berkeley sia in linea con una visione nominalista che all’epoca lasciava il posto ad una rinascita del realismo. Per questo egli fu considerato una sorta di conservatore, in aperto contrasto con le nuove correnti di pensiero e l’atteggiamento filosofico in generale.

Eppure l’idealismo di Berkeley oltre a rinnovarsi rispetto alle forme che l’hanno preceduto, è frutto di un lavoro analitico e presenta una coerente logica interna, seppur discutibile. Da un lato egli sembra esasperare concezioni superate. Dall’altro prepara il terreno fertile per il mentalismo e più in generale per le neuroscienze.

A muovere i suoi passi, dunque, non c’è soltanto la volontà di ristabilire i valori del teismo, ma anche l’esigenza di farlo con rigore filosofico. Berkeley sembra essere all’altezza di quest’ultimo proposito per il solo fatto di aver pedissequamente cercato la verità di cui è stato strenuo difensore.

“Può darsi che, per un certo periodo, gli effetti erroneamente attribuiti, i casi raccontati male […] e le opinioni parziali contrarie alla verità abbiano la meglio, costringendo la verità a rimanere nella profondità in cui giace; ma di lì essa dovrà per forza emergere prima o poi imponendosi agli occhi di tutti coloro che non vorranno tenerli chiusi.”

Giuseppina Di Luna

Bibliografia

George Berkeley, Saggio su una nuova teoria della visione – Trattato sui principi della conoscenza umana, ed. Bompiani, 2004.

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L’immagine di copertina è ripresa dal sito:http://giorespiro.blogspot.com/2015/