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Carlo Cerciello, il suo Brecht e la speranza di resistenza

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Carlo Cerciello riporta in scena Terrore e miseria del Terzo Reich di Brecht all’Elicantropo di Napoli, svelando la vicinanza con la realtà contemporanea e trasmettendo voglia di resistenza.

«Anche nei tempi bui | si canterà? | Anche si canterà. | Dei tempi bui.»

Intramontabile dramma dell’intellettuale moderno e contemporaneo è la scelta tra l’arte per l’arte e l’arte ideologica. Quando il mondo va a rotoli è difficile sostenere che non si abbia il diritto di raccontare questo srotolamento verso la miseria.

Bertolt Brecht lo faceva e lo si può pure contestare perché metteva in scena il suo teatro epico lontano dal soggetto della sua critica. Ma, finché poté, resistette e derise il nazismo dalla Germania stessa. Scappò dopo il rogo dei libri di Opernplatz. In quei giorni – tra gli altri – bruciarono i libri di HesseMannBenjamin e dello stesso Brecht. I nazisti non sapevano che, proprio dandole alle fiamme, avrebbero consacrato quelle pagine a capisaldi della moderna cultura occidentale. «Anche nei tempi bui | si canterà? | Anche si canterà. | Dei tempi bui»[1]. Non avrebbero potuto fermare il potere della penna: ordigno più potente di tutti, quando impugnato nel modo giusto. Dei tempi bui, quelle pagine sarebbero potute essere monito.[2]

Carlo Cerciello, a prova della persistenza della necessità di resistere, ripropone lo stesso intento tra i vichi di Napoli.

Terrore e miseria del Terzo Reich è l’oggi, il ieri e il domani

Già nel 2007, Carlo Cerciello aveva portato Terrore e miseria del Terzo Reich all’Elicantropo di Napoli. Più o meno dopo dieci anni, l’adattamento dell’opera di Brecht viene riproposto in modo fedele e nuovo allo stesso tempo. Come sa fare solo il teatro, l’arte che più di tutte è positivamente e fortunatamente camaleontica. In realtà, riflettendo sui giorni della prima messa in scena, su quelli di oggi e, se vogliamo, anche su quelli di Brecht, c’è davvero da lambiccarsi il cervello a pensare che il vortice della Storia continui a ruotare su se stesso e a riproporre le stesse immagini in salse diverse. Crisi – tensione sociale – nazionalismo. Nel migliore dei casi il ciclo si ripropone dopo una risposta politica di chiusura e di macello sociale; poi, a volte, l’unica funzione risolutiva sembra averla il battesimo di sangue della guerra.

La principale novità che fa da sfondo a questa nuova stagione teatrale non riguarda soltanto l’Elicantropo, ma un po’ tutta la situazione italiana […]. Il teatro – che è politico in sé – non può assolutamente esimersi dal dire la sua […]. Il teatro deve provocare un ritorno al barricadero, deve provocare le coscienze […] e quindi ritornare a quello che è il suo fondamento: la polis, il discorso politico, parlare agli altri, avere qualcosa da dire agli altri.[3]

Il teatro epico e qualunque altra forma d’arte impegnata propongono una missione riflessiva e pedagogica e hanno tutto il diritto di provare a sollevare le coscienze di una società di massa di cui, però, non si può parlare nemmeno più in termini novecenteschi, perché le masse non sono mai state così fluide.

La messa in scena di Carlo Cerciello

Quando dopo cinque anni sentimmo che colui il quale dice di sé d’essere stato inviato da Dio era pronto per la sua guerra: carri armati, cannoni, corazzate, e che aveva nei suoi hangars un tal numero di aeroplani che, se si fossero al suo cenno levati a volo, avrebbero oscurato il cielo, abbiamo voluto renderci un po’ conto di che popolo, di che uomini e in quali condizioni e con quali pensieri avrebbe potuto mobilitare sotto le sue insegne. Li abbiamo passati in rivista.

Ecco una schiera pallida, di gente disparata, venire dietro un’insegna: sul rosso dello sfondo una croce uncinata, un grosso uncino per ogni poveraccio. E quelli che non possono camminare, alla sua grande guerra ci vanno giù, carponi. Né grida, né lamenti, né mormorii, né domande, tanto è lo strepitio delle marce guerresche. Vengono con le donne e con i bimbi, sfuggiti a cinque inverni, e non ne vedranno più altrettanti. Trascinano con loro i malati e i vecchi, e noi possiamo passare in. rivista tutto quanto il suo esercito.[4]

Ma il Terrore e miseria del Terzo Reich proposto da Carlo Cerciello non si può ridurre solo a parabola politica, perché dietro c’è l’arte, l’aura, la scena, il dramma, le storie dei personaggi e quelle dei giovani attori che li interpretano.

Quella di Carlo Cerciello è una messa in scena difficile per la tessitura linguistica e per l’asprezza del contenuto. Nel cuore dei decumani, Carlo Cerciello sviluppa un allestimento straniante – e in questo senso tiene fede magistralmente all’intento brechtiano – per la concentrazione spaziale, per il ritmo martellante del movimento circolare, per il circuito di quadri tragici che si susseguono venendo sbattuti in faccia al pubblico uno dopo l’altro. Il buio totale tra una scena e l’altra è l’unico attimo in cui il fruitore può riflettere su quello che ha appena visto, prima di ripiombare nel vortice della narrazione.

Coltri di fumo e speranza di resistenza

La sala buia e oscura dell’Elicantropo accoglie il pubblico in una coltre di fumo, gas, che può assumere i più vari significati allegorici. Dopo il tetro monologo, sintatticamente frantumato, di un personaggio baffuto che sembra tratto dai Sette peccati capitali di Otto Dix, gli stendardi rossi con la svastica si srotolano sulla scena. Così, si susseguono una serie di scene grottesche tratte dalla vita in-civile della Germania al tramonto della Repubblica di Weimar, citata spesso come il «prima» di cui non si può parlare. Scene di vita familiare in cui i genitori arrivano a sospettare il tradimento dei figli; intrighi giudiziari e politici che mettono in crisi la coscienza di un magistrato oppure lasciano il cadavere di un disgraziato senza la perizia medico-legale che si merita; scienziati che si informano clandestinamente sul progresso che è soggetto a censura; la vita alienante della fabbrica di guerra.

Il Verfremdungseffekt (straniamento)svela che la narrazione non è tanto lontana dalla realtà contemporanea. E, se il testo trasmette sconcerto e rabbia fino alla fine, è indispensabile che alla fine ci sia speranza di resistenza e riscatto, e c’è smania di riscatto nella lettera di un padre-martire al figlio:

«Caro figlio. Domani sarò morto. Le esecuzioni per solito hanno luogo alle sei. Ti scrivo però ancora, perché voglio che tu sappia che le mie idee non sono mutate. Non ho inoltrato nessuna domanda di grazia, perché non ho commesso nessun delitto. Ho solo servito la mia classe. E anche se può sembrare che non abbia ottenuto nulla, non è vero.

Ognuno al proprio posto, ecco la consegna. Il nostro compito è molto difficile, ma è il più grande che ci sia: liberare gli uomini dai loro oppressori. Per il momento la vita non ha valore che a questa condizione. Se non lo abbiamo sempre presente, sarà l’umanità tutta intera che cadrà nella barbarie.

Tu sei ancora molto piccolo, ma non sarà male se ti abitui a pensare sempre da che parte devi stare. Sii fedele alla tua classe, e tuo padre non avrà sopportato invano il suo destino, perché non è cosa facile. Prenditi anche cura della mamma e dei fratellini, visto che sei il maggiore. Devi essere accorto. Vi saluta tutti il vostro padre che vi vuol bene».[5]

Il padre-martire, prima di andare sul patibolo, battezza il figlio alla veglia, allo stare all’erta, alla lotta di classe, unico obiettivo per cui la vita vale la pena di essere vissuta.

Ci si chiede come articolare oggi la lotta di classe se le classi sono fluide e non si organizzano più; o meglio: ci si chiede come organizzarla se la classe operaia sta scomparendo e non si organizza più, o se, addirittura, quel che rimane di essa fa da bacino di consenso proprio a quelle forze che sono specchio culturale delle ideologie più oscure del Novecento.

Nicola De Rosa

Note

Terrore e miseria del Terzo Reich 

Di Bertolt Brecht

Regia Carlo Cerciello

Con Arianna Boccamaiello, Gianluca Bonagura, Elisa Buttà, Claudio Cacciaglia, Lorenzo Cavallo, Antonio Cilvelli, Valentina Dalsigre Cirillo, Francesca Davide, Luciano Dell’Aglio, Francesco De Landro, Giuseppe Del Sorbo, Giovanni Di Bonito, Andrea Di Ronza, Luigi Esposito, Mariachiara Falcone, Benedetta Fontana, Andrea Iacopino, Sara Iadicicco, Francesca Ieluzzo, Marta Marinelli, Alessandro Mastroserio, Marco Panico, Adriano Paschitto, Fabrizio Pino, Antonio Saulle, Roberto Savastano, Mattia Tassar, Alessandra Vallefuoco

Scene Roberto Crea

Musiche Paolo Coletta

Sarà in scena al Teatro Elicantropo fino all’11 novembre 2018.

[1] B. Brecht, Poesie, Einaudi, Torino, 2014, a cura di G. D. Bonino.

[2] N. De Rosa, La Repubblica di Weimar: ambiguità di un’epoca di “cambiamento”, «laCOOLtura», 2018.

[3] Da un’intervista a Carlo Cerciello a cura di Ileana Bonadies, Quarta Parete.

[4] Dal testo di Brecht, tradotto da F. E. De Rici.

[5] Ibidem.

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Redazione

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