Walter Benjamin e il saggio “Il narratore”

Walter Benjamin
Walter Benjamin

Walter Benjamin, una delle figure più importanti del Novecento tedesco, nasce a Charlottenburg (un quartiere di Berlino) nel 1892 e sin da giovane rivela un’anima sensibile e ricettiva, con interessi vari e in campi differenti (letteratura, cultura ebraica, politica, cinema e sociologia). Nel corso della sua vita, Benjamin si dedica non solo alla critica letteraria, alla filosofia e alla scrittura ma anche alla traduzione in lingua tedesca ed è proprio la lettura di testi di autori stranieri che gli permette di sviluppare una concezione della modernità come momento di  degenerazione dell’arte e della narrativa.

Le riflessioni filosofiche su scrittori come Leskov, Kafka e Baudelaire precedono il periodo della deportazione in un campo di lavori forzati e della fuga in Spagna (infatti, sono del 1934 – 1935 circa): in attesa di un visto per gli Stati Uniti che non arriva mai, Benjamin decide di togliersi la vita a Port Bou nel settembre del 1940; per ironia della sorte, dopo poche ore gli viene dato il permesso di lasciare l’Europa per mettersi in salvo.

Il saggio di Walter Benjamin su Leskov

Il saggio Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nicola Leskov è incentrato non solo sulla figura di questo scrittore russo, ma anche sulla sottile arte del raccontare storie. La scelta di scrivere di questo autore non è casuale: nei suoi racconti, Benjamin ritrova un’autenticità e un’originalità proprie di un mondo premoderno, lontano da qualsiasi corruzione moderna. Non a caso Benjamin, nel chiarire in cosa consista la  figura del narratore, afferma:

Il narratore – per quanto il suo nome possa esserci familiare – non ci è affatto presente nella sua viva attività. È qualcosa di già remoto, e che continua ad allontanarsi. Presentare Leskov come narratore non significa, quindi, avvicinarlo, ma accrescere la distanza che da lui ci separa.

Quindi, il narratore e il narrare sono per Benjamin degli elementi che non appartengono più ai tempi moderni: a partire dalla Prima Guerra Mondiale, “in un campo magnetico di correnti ed esplosioni micidiali”, gli uomini non sono più in grado di raccontare le loro dolorose esperienze.

Il racconto come veicolo di esperienza

L’esperienza che passa di bocca in bocca è la fonte a cui hanno attinto tutti i narratori.

All’interno di questo saggio Benjamin nota come l’uomo, inserito in un contesto metropolitano iperstimolante ed eccitante, non riesca a fare esperienze durevoli, da conservare nella propria memoria. Mentre per la civiltà contadina, di cui Leskov parla nei suoi racconti, il tempo trascorre con ritmi più lenti ed esiste una comunità pronta ad ascoltare il racconto/esperienza del narratore, ciò manca completamente nella realtà cittadina: non si racconta più, ergo non si diffondono più, con le storie, consigli e saggezza. Nei tempi moderni, l’arte antica del narrare è sostituita da quella più “isolante” della scrittura di romanzi e della loro lettura. Il romanziere, osserva Benjamin, nei suoi scritti non inserisce nulla che venga da una propria esperienza personale:

Il luogo di nascita del romanzo è l’individuo nel suo isolamento, che non è più in grado di esprimersi in forma esemplare sulle questioni di maggior peso e che lo riguardano più davvicino, è egli stesso senza consiglio e non può darne ad altri.

Nella lettura del romanzo, dunque, non si viene a creare una comunità d’ascolto: si legge in completa solitudine (“il lettore di un romanzo è solo”) e ciò sembra riflettersi anche nella nostra vita quotidiana e nella morte. Mentre in passato morire riguardava tutta la comunità d’appartenenza e il moribondo, prima di esalare l’ultimo respiro, lasciava in eredità anche i suoi ricordi (si legga “esperienza”), oggi la solitudine sembra pervadere anche quest’aspetto dell’esistenza.

La vicinanza dell’informazione

La copertina dell'edizione Einaudi del saggio su Leskov.
La copertina dell’edizione Einaudi del saggio su Leskov.

L’indagine di Benjamin non si ferma solo al romanzo, ma va oltre, soffermandosi sugli ultimi sviluppi della stampa e sulla diffusione del giornale. Anche in questo caso, ciò che domina è una sensazione diffusa di smarrimento ed isolamento: nelle notizie sui quotidiani il saggista tedesco non ritraccia nulla che possa trasmettere il ricordo, la saggezza dell’esperienza vissuta in prima persona. Il lettore non va oltre il proprio orizzonte familiare e si interessa di quelle informazioni che possono riguardarlo da vicino, cessando dunque di esercitare la propria fantasia attraverso l’epos e i racconti orali.

Narrare è per Benjamin un’arte sottile, una sorta di tela lavorata con pazienza e costanza, oramai sostituita dal progredire della tecnica:

L’arte di narrare storie è sempre quella di saperle rinarrare ad altri, ed essa si perde se le storie non sono più ritenute. Essa si perde, poiché non si tesse e non si fila più ascoltandole.

Pia C. Lombardi

Bibliografia

Walter Benjamin – Angelus Novus a cura di Renato Solmi – Einaudi