L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo: l’analisi del film

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Cosa significa essere comunisti?
Forse “L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo” (“Trumbo” il titolo originale, senza fronzoli e giri di parole, a voler soffermarsi solo sulla figura dello sceneggiatore di Montrose) cerca di spiegarci proprio questo.

Nel film di Jay Roach, regista forse meglio conosciuto per film come Austin Powers – Il Controspione, Austin Powers – La spia che ci provava, parodie estremamente irriverenti di mostri sacri come gli action spy movies alla James Bond (nonché per Ti presento i miei del 2000, commedia con Ben Stiller e Robert De Niro anch’essa con lievi sfumature da “thriller spionistico”, con molte virgolette, ma sempre al servizio del comedy e del divertimento per famiglie, così come il suo seguito diretto del 2004, Mi presenti i tuoi?), viene analizzata e sviscerata fino in fondo con pochi toni anche qui da commedia, ma dosati perfettamente, la figura di Dalton Trumbo, sceneggiatore losangelino di adozione iscritto al Partito Comunista Americano e votato completamente alla causa.

In particolare, ne L’ultima parola ci si sofferma sul suo lavoro su “La più grande corrida” (The Brave One) del 1956, in seguito vincitore anche dell’Oscar.

I primi e primissimi piani sul volto di un attore decisamente sopra la media come Bryan Cranston (Breaking Bad, Drive, Godzilla), che dà il volto allo sceneggiatore, i totali dei panorami immersi nel verde di Hollywood e dintorni, la fotografia molto vivida e calda nonché le numerose immagini di repertorio opportunamente restaurate e rimasterizzate riguardanti Joseph McCarthy ed altri senatori scagliatisi contro la presunta “minaccia rossa” comunista sovietica che a detta loro avrebbe potuto intaccare le menti dei cittadini americani, riescono a dipingere un affresco sull’America post bellica, in un clima di terrore inculcato però nei cittadini proprio da quelle istituzioni che in teoria dovrebbero difenderli e proteggerli, con una campagna denigratoria che, con l’inserimento di sceneggiatori filocomunisti nella cosiddetta “lista nera”, fino al 1975, ha finito per privare di casa, lavoro e di ogni bene migliaia di persone, inducendone addirittura alcune al suicidio.

Una politica di tolleranza zero, al grido di “Un uomo o è fedele, o è un traditore”, denunciata in seguito anche dallo stesso Trumbo, evidenziandone infatti l’inutilità e l’intralcio al lavoro dei cineasti hollywoodiani perpetuato da parte del Congresso americano (nessuna attività terroristica o comunque sospetta e vista come minaccia agli Stati Uniti, venne infatti mai rilevata).

Un inno alla libertà creativa e d’espressione, una riflessione ed una retrospettiva sul lavoro dello screenwriter e un’ennesima (ma comunque mai sufficiente) dichiarazione d’amore ad un’arte che saccheggia da ogni altro medium narrativo esistente, ma che ha saputo regalare momenti che hanno fatto la storia e la definizione dell’umanità.

Scrivere seduti in una vasca da bagno piena d’acqua, cercando l’ispirazione giusta ed immaginandosi e “vedendo” ogni singola scena la propria mente sia in grado di creare, probabilmente è un dono riservato a pochi eletti dotati del giusto talento, o forse a tutti, con il giusto coraggio e la giusta voglia di mettersi in gioco e buttarsi nella mischia senza pensarci troppo. Ne L’ultima parola, Trumbo viene dipinto come una persona brillante, grintosa, estremamente intelligente, amante con l’anima del proprio lavoro e un gran lavoratore indefesso. Davvero si deve avere paura di persone così?

Antonio Destino

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Antonio Destino

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