Il lavoro delle donne dalle industrie tessili ad oggi

Alla meccanizzazione del lavoro delle donne è dedicato un articolo di Joan Wallach Scott apparso sul giornale American Scientific nel 1982.

Joan Wallach Scott prende di mira la consolidata ipotesi che il lavoro di fabbrica prima e l’introduzione degli elettrodomestici poi abbia consentito alle donne di uscire dalla loro sfera tradizionale: la famiglia. Nell’articolo il giornalista individua una stretta relazione fra sviluppi tecnologici ed emancipazione femminile, proponendo un cambiamento di prospettiva. Egli sostiene che più che alla meccanizzazione del lavoro «i miglioramenti più importanti nella posizione delle donne sono stati però il risultato dell’azione delle donne stesse.»

Il lavoro delle donne nelle industrie tessili

L’idea che la tecnica abbia il potere di modificare i rapporti umani e di incidere sul contesto sociale è opinione diffusa fin dall’Ottocento, epoca della Rivoluzione industriale. Già Engels, osservando la crescente occupazione femminile nell’industria, pensava che le donne avrebbero presto superato la ”subordinazione sociale, legale, economica della famiglia”. Oggi sappiamo che le cose non sono andate esattamente così.

Bisogna riconoscere, tuttavia, che il primo ingresso delle donne nel mondo del lavoro risalga proprio all’Ottocento. L’introduzione di filatoi e telai a vapore determinò il passaggio dal lavoro nei campi all’entrata in fabbrica. Le donne divennero operaie addette alle macchine per la produzione tessile.meccanizzazione lavoro delle donne

Ad una prima considerazione del fenomeno della meccanizzazione del lavoro, saremmo tentati di sostenere che le nuove tecniche di produzione abbiano avuto un impatto rivoluzionario sulle donne. In realtà Wallach sottolinea come il lavoro delle donne nelle prime fabbriche fosse concepito dai datori di lavoro in termini tradizionali. In primis, la convinzione che il lavoro di fabbrica non fosse altro che un’estensione del lavoro domestico.

Il lavoro, dunque, era per le stesse donne un’occupazione secondaria, temporanea, utile ad integrare il reddito familiare. Per questo l’avvicendamento della manodopera femminile era molto frequente: le operaie lasciavano il proprio lavoro una volta sposate, per dedicarsi alla cura dei figli.

Il lavoro in fabbrica quindi non alterava il ”normale” andamento della vita delle donne, il centro della cui esistenza restava la famiglia.

Donne al lavoro: un repertorio di luoghi comuni

La diretta conseguenza della meccanizzazione del lavoro fu la riorganizzazione delle mansioni fra uomini e donne. Si diffuse ben presto l’idea che vi fossero mestieri adatti alle donne, altri di competenza esclusivamente maschile. I datori di lavoro sceglievano come operaie giovani donne perché le loro dita piccole riuscivano a intrecciare i fili velocemente. Inoltre, si credeva che l’indole femminile, paziente e passiva, fosse più incline ad un lavoro ripetitivo.

Questo diffuso atteggiamento culturale non mantenne solo inalterata l’aristotelica subordinazione delle donne alle più acute capacità intellettive degli uomini. La valutazione del lavoro delle donne come meno valido di quello maschile resta ancora oggi un’idea difficile da debellare.

Il lavoro impiegatizio: da operaie a segretarie

Nel 1870 fu immessa sul mercato la prima macchina da scrivere. Questa invenzione determinò la fine della prima fase del lavoro d’ufficio, in cui il lavoro di copiatura era affidato alle donne. Per questa occupazione le impiegate erano pagate a parola e non è raro che lavorassero a casa. Con la macchina da scrivere la femminizzazione del lavoro d’ufficio è proseguita. Nacque la figura della segretaria, professione che sostituì progressivamente quella di operaia.

Wallach Scott spiega che le analogie fra i due tipi di occupazione erano numerose:

La meccanizzazione delle comunicazioni e della copiatura dei documenti creò nuove mansioni, ma continuò a mantenere le donne in un mercato del lavoro distinto da quello degli uomini. Le mansioni erano ancora separate in base al sesso e gli stereotipi culturali delle capacità delle donne dipendevano strettamente dal tipo di lavoro che svolgevano. Si diceva che le dita delle donne corressero abilmente sulla tastiera della macchina da scrivere, come se suonassero il pianoforte.

Non di rado accadeva che i datori di lavoro licenziassero le loro dipendenti dopo il matrimonio. Proprio per questo motivo lo stipendio delle lavoratrici continuò ad essere pari a meno della metà di quello degli uomini.

meccanizzazione lavoro delle donne

Dal dopoguerra ad oggi: elettrodomestici e tempo libero

È innegabile che nella seconda metà del Novecento la percentuale di donne lavoratrici sposate sia più che raddoppiata. La tesi di Wallach Scott è che questo aumento non sia da ricondurre alla diffusione degli elettrodomestici, come comunemente si intende.

Ci sono diversi motivi che hanno aperto le porte del mondo del lavoro a donne non nubili. In primo luogo, l’aumento della nuzialità. In secondo luogo, con l’accesso al divorzio il numero di madri lavoratrici è aumentato, non tanto come esito di un processo di emancipazione, ma quasi sempre per un’esigenza di sussistenza.

Tra gli elettrodomestici a più larga diffusione bisogna annoverare le macchine per cucire. Queste ultime hanno consentito alle donne sposate di svolgere a domicilio lavori di cucito, sostituendo al salario la retribuzione a cottimo. In molti casi intere famiglie diventarono piccole aziende tessili, in cui il lavoro di cucitura era ripartito fra madri e bambini – proprio come nelle industrie tessili dell’Ottocento.

Inoltre, l’ipotesi che l’impiego di elettrodomestici abbia liberato le donne dal lavoro domestico perde consistenza se si tengono presenti alcuni dati. Il possesso di macchine di uso domestico ha contribuito ad alleggerire il lavoro in casa. Tuttavia, la crescente disponibilità di strumenti come l’aspirapolvere o la lavatrice ha progressivamente determinato la scomparsa del personale di servizio. Dalla seconda metà del Novecento la casalinga è divenuta l’unica lavoratrice domestica. La conseguenza di ciò è stato il fatto che il tempo impiegato nelle faccende domestiche è piuttosto aumentato.

In altri casi, invece, la possibilità di accedere a lavori part-time ha concesso alle donne sposate una conciliazione dell’attività esterna con il lavoro domestico. La scelta talvolta obbligata di un impiego part-time non consente l’accesso a ruoli e salari competitivi.

Tecnologia ed emancipazione

Insomma, in più di duecento anni dal primo ingresso delle donne nel mondo del lavoro, la situazione non sembra mutata di molto. L’estremo esito della meccanizzazione, ovvero l’informatizzazione delle attività, non pare offrire alle donne prospettive più rosee. Ci si interroga, a distanza di più di trent’anni dall’articolo di Wallach Scott, sul perché gli sviluppi tecnologici non abbiano avuto esiti realmente rivoluzionari se riferiti alla posizione delle donne nella società.

Non si tratta in questo caso di negare la conquista di diritti civili fondamentali, quali il diritto di voto, l’accesso all’istruzione, l’aborto. Piuttosto, è necessario riconoscere che l’avvio – a rilento – del processo di emancipazione non sia un effetto della meccanizzazione del lavoro, sebbene l’organizzazione del lavoro delle donne in spazi comuni abbia dato loro il senso della collettività, preliminare ad ogni forma di rivendicazione organizzata.

Martina Dell’Annunziata

Bibliografia

La meccanizzazione del lavoro delle donne, di J. Wallach Scott, in Le Scienze, numero 171 (1982), pp.128-144.