Sulpicia, l’unica voce femminile della poesia latina

La tradizione manoscritta ha penalizzato quasi completamente la produzione poetica femminile dell’antichità, già ostacolata ai tempi per il ruolo cui le donne erano relegate. Tra le poetesse greche tutti ricordano l’immortale nome di Saffo, ma pochi conoscono l’unica poetessa latina sopravvissuta – per caso – al succedersi dei secoli: Sulpicia.

Il Corpus Tibullianum

Le poesie di Sulpicia non ci sono pervenute autonomamente, cioè in un’opera con un titolo definito, ma rientrarono, probabilmente già in epoca medievale, in quello che fu definito Corpus Tibullianum.

Sulpicia
Un manoscritto contenente il Corpus Tibullianum

Il Corpus Tibullianum è una raccolta di poesie attribuite a Tibullo, ma in realtà opera di vari autori. Il Corpus era diviso inizialmente in tre libri, ma in età umanistica i copisti divisero il terzo libro in due, ed è per questo che noi oggi ne leggiamo quattro.

Le elegie contenute nel terzo libro (oggi terzo e quarto libro) non sono tutte opera di Tibullo, anzi, quasi per niente. Il primo gruppo di poesie è opera di un tale Lìgdamo, sulla cui vera identità ancora si discute; il secondo gruppo, invece, è costituito in parte da elegie scritte da Tibullo, anche se poste in bocca a Sulpicia, e in parte da componimenti della stessa Sulpicia.

È l’unico caso di poetessa romana che possiamo riscontrare in tutti i secoli della letteratura latina.

Chi era Sulpicia?

Chi era Sulpicia? Le ipotesi sembrano aver raggiunto un accordo: ella sarebbe la nipote di Messalla, l’uomo politico di età augustea che animò attorno a sé il circolo “rivale” di quello di Mecenate.

Come si è detto, i componimenti poetici di Sulpicia sono elegie. Le tematiche affrontate sono dunque quelle canoniche del genere: amore, sofferenza, passione. L’aspetto nuovo per noi, però, consiste proprio nel fatto che questi topoi sono declinati per la prima volta al femminile; il tutto risulta ancora più rivoluzionario se contestualizzato nell’età augustea, l’epoca delle leggi sul matrimonio e sul sesso.

Le brevi poesie che Sulpicia compone – quasi dei bigliettini – sono, infatti, non certo rivolte al marito ufficiale (sempre che ella lo ebbe), ma ad un amante, Cerinto, nel pieno rispetto delle regole dell’elegia.

Il primo componimento delle elegie

Nel primo componimento sicuramente attribuito alla poetessa, non a caso leggiamo una dichiarazione d’amore orgogliosa da parte della donna, che non vuole più nascondersi per il timore del giudizio altrui:

“Finalmente è venuto l’amore, un amore che, di fronte alla gente, averlo tenuto nascosto sarebbe per me vergogna più grande che averlo svelato a qualcuno”

I versi successivi, poi, risultano ancora più clamorosi: Sulpicia afferma di volersi ribellare alle regole del suo tempo, e confessa di esser stufa di atteggiarsi a donna virtuosa, se dentro di sé cova solo passione. La poetessa, infatti, conclude così il primo “bigliettino” per Cerinto:

“Ma è bello aver peccato, ed ho fastidio ad atteggiare il volto a una fama di virtù: di me diranno che fui d’un uomo degno di me e che di lui ero degna”

Tale rivendicazione non deve essere interpretata, tuttavia, solo a livello politico e sociale: Sulpicia, probabilmente, fa riferimento piuttosto alle “leggi” dell’elegia, che prevedevano il dovere, da parte dell’amante, di manifestare anche fisicamente i segni della passione.

Tali “sintomi”, dunque, erano ben concessi ai poeti uomini, mentre erano meno convenienti per le donne; Sulpicia non sta al gioco, e decide di mostrare in volto tutto l’amore che nutre per Cerinto.

La sopravvivenza di una voce rivoluzionaria

La sopravvivenza di una voce così rivoluzionaria, s’intende, è stata solo casuale: sarebbe stato difficile, altrimenti, per una poetessa tanto emancipata vincere la società patriarcale dei suoi tempi e di quelli successivi.

Questo, tuttavia, non fa che aumentare ancora di più l’ammirazione per una delle tante donne che, tra l’età tardo-repubblicana e primo imperiale, si ribellarono per quanto possibile alle regole del mos maiorum e alle nuove leggi matrimoniali imposte da Augusto. L’insofferenza nei confronti della morale, già tipica del genere elegiaco, assume così, nel caso di Sulpicia, una valenza ancora più profonda e paradigmatica.

Alessia Amante