Storia della Sociologia

La sociologia dello sport e Pierre Bourdieu

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La sociologia dello sport è, forse, il ramo di questa disciplina che risulta più immediatamente comprensibile al pubblico. È innegabile, infatti, che lo sport abbia acquisito, nel corso dell’ultimo secolo, un’importanza sociale enorme. Pochi altri fenomeni, infatti, possono vantare una partecipazione così massiva. Era naturale, allora, che ad esso si rivolgesse l’attenzione dei sociologi e, in generale, di tutti gli studiosi della realtà sociale.

La nascita della sociologia dello sport: Pierre Bourdieu

Pierre Bourdieu

La sociologia dello sport è una disciplina relativamente giovane, attestatasi solo nella seconda metà del Novecento. Il motivo è che, prima di allora, l’attività sportiva non aveva la rilevanza collettiva che ha oggi. Anzi, forse è stato proprio lo sport uno dei principali plasmatori della società di massa novecentesca. Prima, infatti, le attività sportive erano ad appannaggio della classe aristocratica.

Uno dei primi sociologi a parlare di sport in questo contesto fu, nel 1979, Pierre Bourdieu nella sua opera “La distinzione. Critica sociale del gusto”. In essa, egli riconosceva lo sport non soltanto come una pratica, ma anche come una vera e propria istituzione sociale. Nel suo pensiero, infatti, le due cose sono collegate dalla fondamentale nozione di “campo”.

Come dice Jedlowski:

“Il campo è un’area della vita sociale caratterizzata dalla condivisione fra un certo numero di attori di determinati interessi, dalla presenza di certe posizioni reciproche, certe pratiche, certe regole e certi rapporti di forza. Vi sono innumerevoli campi nella vita sociale (il campo economico, il campo artistico, quello del giornalismo, o lo sport e così via,) ognuno caratterizzato da una parziale autonomia e (…) un particolare tipo di risorsa il cui possesso corrisponde alle posizioni dominanti.”

Come si vede, dunque, la sociologia dello sport equipara quest’ultimo ad altri, importanti ambiti della vita umana. Essi non sono affatto sconnessi, bensì si condizionano a vicenda. Lo sport non fa eccezione: le sue influenze sulla vita sociale, infatti, sono numerosissime. Bourdieu collega alla nozione di campo quella di habitus, ovvero “il versante sociale di quello che chiamiamo il carattere o la personalità di qualcuno”. Ora, l’habitus di una persona è certamente determinato dal suo campo sociale di appartenenza. È ipotizzabile, allora, che chi gravita attorno allo sport tenderà a conformare i propri valori a quelli di quest’ultimo.

Lo sport e la ricerca storica

Quanto detto, tuttavia, non vale soltanto nel caso di semplici vizi e virtù morali. Le influenze dello sport sulla vita umana, infatti, possono spingersi anche nella filosofia e nella politica.

Pensiamo, ad esempio, a come il tifo per gli atleti prediletti costituisca un fortissimo elemento di identificazione collettiva. Il rapporto tra quest’ultimo elemento e il nazionalismo è, infatti, da sempre argomento di studio della sociologia dello sport. Fu proprio il ricercatore sociale irlandese Benedict Anderson a parlare per la prima volta, nel 1983, di “comunità immaginate”. Essendo le nazioni moderne, argomentava, troppo grandi perché i loro membri potessero conoscersi tutti di persona, un grande contributo al loro sviluppo era ascrivibile proprio all’immaginazione. Ciò significa che i consociati si figurano che milioni di altri uomini siano legati ai loro stessi simboli e alle loro tradizioni. Si intuisce, a questo punto, l’importanza rivestita da sport come il calcio. Nulla unisce di più una nazione, ad esempio, quanto immaginare che, una sera, tutto un Paese possa ritrovarsi sul divano in attesa di seguire una partita della squadra nazionale.

La nazionale uruguayana medaglia d’Oro a Parigi 1924

I legami tra sport e nazionalismi vengono indagati anche da un altro importante scienziato sociale, lo storico Eric J. Hobsbawm. Questi, nel suo saggio “Nazioni e nazionalismi dal 1780”, racconta come, immediatamente dopo la prima guerra mondiale, il nazionalismo restò momentaneamente in sordina, per poi riemergere prepotentemente durante gli anni ’30. In questo periodo, allora, allo scontro tra eserciti si sostituì quello tra atleti nazionali: un potentissimo modo per sublimare la battaglia in forme non violente.

Lo sport come fenomeno sociale di massa

Ciò, se vogliamo, ci riporta all’inizio del nostro ragionamento, su come e quando sia nata la sociologia dello sport. Se quest’ultima infatti non è più vecchia di qualche decennio, l’importanza sociale della pratica sportiva, invece, era stata compresa già da George Orwell a cavallo tra le guerre.

I calciatori della Germania alzano la Coppa del Mondo vinta contro l’Argentina nel 2014. Secondo il sito ufficiale della FIFA la finale, disputatasi a Rio de Janeiro il 13 luglio, fu seguita da più di un miliardo di persone: praticamente un essere umano su sette.

Affinché, però, nascesse una vera e propria sociologia dello sport, ci è voluto qualcosa in più: la definitiva massificazione di questo fondamentale ambito della vita umana. Benché questo processo abbia avuto inizio già a fine dell’Ottocento, la realizzazione definitiva è avvenuta soltanto nella seconda parte del Novecento.

Francesco Robustelli

BIBLIOGRAFIA

https://link.springer.com/chapter/10.1057/9780230523180_11

Bourdieu, La distinzione. Critica sociale del gusto, 1979, ed.it.Il Mulino 1983.

Anderson, Comunità immaginate. Riflessioni sull’origine e la diffusione del nazionalismo, 1983.

Hobsbawm, Nazioni e nazionalismi dal 1780, 1990, ed.it. Einaudi 1992.

Jedlowski, Il mondo in questione, ed. Carocci, 2009.

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Francesco Robustelli

22 anni, napoletano, studente di International Relations. Scrivo di Sociologia e di tante altre cose, cercando sempre di essere interessante.

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