Giuseppe Verdi a Napoli, capitale d’un regno

Verdi a Napoli. Lo immaginiamo sempre immerso nelle fumide terre della sua Sant’Agata, in provincia di Piacenza, magari mentre passeggia nel suo vasto e ben curato giardino all’inglese.

Ma il Maestro ha potuto anche godere del sole di una Napoli speciale.

Verdi a Napoli, capitale europea della Musica

Quando Giuseppe Verdi giunse a Napoli nel 1849 per la prima di Luisa Miller, Napoli era la Capitale del Regno delle Due Sicilie. Viveva nella massima devozione redditizia di Pergolesi, Porpora, Cimarosa, Paisiello, Jommelli; le massime personalità della grande Scuola Musicale Napoletana che rese Napoli il sacro Tempio operistico celebre a livello continentale.

Per il Real Teatro di San Carlo, inaugurato nel 1737 per volontà del re Carlo di Borbone, composero tre grandi colossi dell’Opera Italiana: Gaetano Donizetti, Gioacchino Rossini e Vincenzo Bellini.

Il Regio Conservatorio napoletano era una tappa fondamentale per ogni aspirante operista.

Il bergamasco Donizetti compose a Napoli, per esempio, ben cinquanta opere e ventinove di esse solo per i Reali Teatri napoletani, un tempo tutti controllati dal “Viceré”, ovvero Domenico Barbaja, scaltro e bonaccione impresario, segugio di talenti capaci anche di produrre opere in serie per chiare esigenze di mercato.

Come si viaggiava nell’Ottocento

Verdi a Napoli, andata e ritorno

Giuseppe Verdi si recò a Napoli in compagnia di suo suocero, Antonio Barezzi, il quale scrisse una relazione di viaggio da Busseto (Parma) a Napoli e ad Napoli a Busseto.

Verdi a Napoli
Ritratto di Antonio Barezzi, suocero e benefattore del Maestro Giuseppe Verdi, realizzato da A. Ghisi. Museo Casa Barezzi, Busseto (Parma).

I due partirono da casa il giorno 3 ottobre del 1849 alle ore 7 di mattina, e giunsero nel Regno delle Due Sicilie il giorno 27 alle ore 17:00, dopo varie soste a Piacenza, Genova, Pisa e Firenze.

Il giorno dopo, Verdi e suo suocero visitarono finalmente il Real Teatro di San Carlo e assistettero alla messinscena della Saffo di Pacini.

Il giorno 29, i due viaggiatori visitarono Palazzo Reale, Capodimonte, il Gesù Nuovo e poi la straordinaria Cappella Sansevero, resa, così come apparve ai nostri turisti parmensi, da Raimondo di Sangro, settimo principe di Sansevero. Barezzi rimase colpito dal Cristo velato, realizzato da Giuseppe Sanmartino nel 1753, che descrisse con l’aggettivo “sorprendente”.

E poi ancora a teatro, questa volta al Teatro del Fondo, per il Barbiere di Siviglia di Rossini.

Il giorno 4 di novembre, visitarono tutto l’interno di Palazzo Reale ed impiegarono cinque ore. Raggiunsero anche Caserta, e poi Pozzuoli, Procida, Ischia, Casamicciola e Cuma. Ripartirono da Napoli il giorno 14 e giunsero a casa “felicemente”, come Barezzi specifica, il giorno 19 alle ore 14:00.

Conosciamo anche il nome del comandante del vapore che i nostri adoperarono per ripartire da Napoli, un certo “signor capitano Pietro Gusmano”.

Il Maestro e il suo signor suocero avevano pure una guida turistica, tale “Tesorone”.

I problemi con la censura napoletana

I rapporti con Napoli e col Real Teatro di San Carlo, purtroppo, si ruppero. Ad esasperare Verdi e i suoi librettisti fu la bigotta e troppo severa censura borbonica.

Verdi a Napoli
Il Maestro Giuseppe Verdi in una fotografia realizzata a Napoli nel 1858-59.

Il Maestro avrebbe dovuto scrivere, dopo Alzira (1845) e Luisa Miller (1849), un’altra opera per il San Carlo di Napoli, ovvero Un ballo in maschera, “un puro, esclusivo poema d’amore” (Massimo Mila).

La vicenda prevedeva un regicidio in scena. Ma l’uccisione d’un monarca allarmò le censure napoletane che costrinsero Verdi a togliere l’opera dal San Carlo e portarla all’Apollo di Roma, dove fu rappresentata il 17 febbraio del 1859.

Napoli perse un vero capolavoro: nella vita mondana e frivola d’una corte asservita ad un re (precisamente Gustavo III di Svezia, poi declassato ad un conte, governatore di Boston), sempre accompagnato da un femmineo paggetto, si snoda, quasi per magia, l’unica cosa seria: una vera storia d’amore, motivo dell’uccisione dell’aristocratico, assassinato dal marito di lei.

La buona cucina

Non abbiamo informazioni sulle pietanze consumate da Barezzi e Verdi a Napoli. Sicuramente avranno assaggiato perlomeno la pizza, forse la Marinara, conoscendo la passione del Maestro per la buona cucina.

Sitografia

http://www.museocasabarezzi.it

http://www.studiverdiani.it

Nicola Prisco