Guido Guinizelli, il primo degli stilnovisti

Guido Guinizelli è considerato l’iniziatore della maniera “dolce” di fare poesia, che darà vita alla felice stagione del “dolce stil novo“.

Vita di Guido Guinizelli

Un alone di mistero aleggia sulla sua biografia. Nato a Bologna tra il 1230 e il 1240, doveva essere figlio di un tale Guido di Guinzello di Magnano. Studiò legge e partecipò alla vita politica della città, schierandosi con la fazione ghibellina.

Nel 1270 fu podestà di Castelfranco d’Emilia, ma quattro anni dopo i guelfi presero il potere e Guido fu costretto a partire per l’esilio a Monselice, in provincia di Padova, dove morì pochi anni dopo.

Guido Guinizelli ci ha lasciato un corpus poetico di 15 sonetti e cinque canzoni. Non poche incertezze sorgono anche sulla data di composizione delle liriche.

Alle origini dello stilnovo: Al cor gentile rampaira sempre amore

Nonostante la scarsità delle informazioni biografiche, il ruolo da Guinizelli giocato nella stagione dello stilnovo è assai importante. Non a caso Dante lo colloca nel XXVI canto del Purgatorio, nella cornice dei lussuriosi. Di lui dirà:

[…]

quand’io odo nomar sé stesso il padre

mio e de li altri miei migliori che mai

rime d’amore usar dolci e leggiarde;

Guido Guinizelli è quindi stato il primo ad usare un linguaggio “dolce” nel parlare d’amore e il poeta fiorentino gli riconosce tale merito. Ma la sua importanza è legata anche al fatto di aver introdotto, nella lirica d’amore, una complessa riflessione dottrinale sul sentimento amoroso. L’emblema di ciò è la canzone-manifesto Al cor gentile rempaira sempre amore.

Al cor gentile rempaira sempre amore

come l’ausello in selva a la verdura;

né fe’ amor anti che gentil core, né gentil core anti ch’amor, natura:

ch’ adesso con’ fu ’l sole,

sì tosto lo splendore fu lucente,

né fu davanti ’l sole; e prende amore in gentilezza loco

così propïamente

come calore in clarità di foco.

 

Foco d’amore in gentil cor s’apprende

come vertute in petra preziosa,

che da la stella valor no i discende

anti che ‘l sol la faccia gentil cosa;

poi che n’ha tratto fòre

per sua forza lo sol ciò che li è vile,

stella li dà valore:

così lo cor ch’è fatto da natura

asletto, pur, gentile,

donna a guisa di stella lo ‘nnamora.

[…]

L’amore, spiega il poeta, si trova sempre in cuore nobile (gentile). Ma non è una nobiltà intesa come un qualcosa legato alla classe sociale, quanto piuttosto alle virtù personali. C’è un legame inscindibile tra amore e gentilezza d’animo, così come l’uccello è legato agli alberi di un bosco.

L’amore non è più prerogativa di quei cavalieri che popolavano i romanzi arturiani, ma anche di chi si lascia influenzare dai favori degli astri per accogliere in sé le qualità per essere un buon amante. In parole povere: chiunque può amare, a patto che possegga delle virtù.

Come il sole purifica la pietra preziosa così la natura purifica il cuore gentile, che si lascia illuminare dall’amore della donna.

[…]

Fere lo sol lo fango tutto ‘l giorno:

vile reman, né ‘l sol perde calore;

dis’omo alter:  « Gentil per sclatta torno »;

lui semblo al fango, al sol gentil valore:

ché non dé dar om fé

che gentilezza sia fòr di coraggio

in degnità d’ere’

sed a vertute non ha gentil core,

com’aigua porta raggio

e ‘l ciel ritien le stelle e lo splendore.

 

Splende ‘n la ‘ntelligenzia del cielo

Deo criator più che [‘n] nostri occhi ‘l sole:

ella intende suo fattor oltra ‘l cielo,

e ‘l ciel volgiando, a Lui obedir tole;

e con’segue, al primero,

del giusto Deo beato compimento,

così dar dovria, al vero,

la bella donna, poi che [‘n] gli occhi splende

del suo gentil, talento

che mai di lei obbedir non si disprende.

[…]

A sostegno della tesi per cui la nobiltà non è una questione di sangue, Guido Guinizelli usa come similitudine quella del fango illuminato dal sole. Può illuminarlo quanto vuole con il suo calore, ma il fango resterà sempre un qualcosa di vile. Allo stesso modo una persona estranea all’amore sarà sempre rozza e priva di qualità, mentre un cuore gentile accoglierà sempre il suo calore a braccia aperte.

Guido GuinizelliA fare da mediatore tra l’animo gentile e il sentimento d’amore è ovviamente la donna. Guido Guinizelli è da considerare il creatore dell’immagine tanto cara ai stilnovisti (Dante in primis) della “donna-angelo“.

[…]

Donna, Deo mi dirà: «Che presomisti?»,

sïando l’alma mia a lui davanti.

«Lo ciel passasti e ’nfin a Me venisti

e desti in vano amor Me per semblanti:

ch’ a Me conven le laude

e a la reina del regname degno,

per cui cessa onne fraude».

Dir Li porò: «Tenne d’angel sembianza

che fosse del Tuo regno;

non me fu fallo, s’in lei posi amanza»

La potenza dello sguardo della donna e la bellezza che emana spingono idealmente l’uomo a compiere il bene e a obbedire ciecamente alla sua dama, così come le intelligenze angeliche obbediscono a Dio e, mediante lui, determinano il movimento delle sfere celesti.

Alla fine della canzone, il poeta si trova proprio davanti a Dio e da questi viene rimproverato per aver infuso tanta sacralità in un essere mortale. La giustificazione di Guinizelli è quanto mai esplicita: la donna non induce nel peccato, come invece fece Eva nel paradiso terrestre, poiché la sua natura angelica porta l’uomo ad avvicinarsi automaticamente anche a Dio.

Si potrebbe riassumere il contenuto di questa canzone così: l’amore rende nobili gli uomini a prescindere dallo status sociale e il sentimento verso un essere di carne, quale la donna, è un preludio all’amore verso Dio.

Una nuova concezione d’amore

La poesia di Guido Guinizelli rappresenta uno spartiacque importante in rapporto alla precedente tradizione della poesia cortese.

Si è già parlato del concetto di nobiltà. Ma è difficile da comprendere se non lo si inserisce nel contesto storico di appartenenza, quello dell’Italia dei comuni nel ‘200, dove si assiste all’ascesa di un nuovo ceto dominante: quello borghese.

Si tratta di un ceto composto da uomini colti, che si sostituisce alla nobiltà di stampo feudale ed ignorante. L’influsso dell’amore rafforza il pensiero di tali uomini che, per l’appunto, si ingentiliscono e che vedono la donna non più come la domna provenzale, la fanciulla capricciosa che sottomette l’amante e che gioca sadicamente con il suo cuore, ma come una creatura gentile che eleva l’animo del poeta e che, portandolo a compiere del bene, lo avvicina a Dio.

In conclusione, l’esperienza guinizelliana ha gettato le fondamenta per quella seminale stagione poetica del “dolce stil novo“, codificandone temi, motivi e sistemi. Dante e Guido Cavalcanti sono soltanto due dei seguaci più importanti del poeta bolognese, ma questa è un’altra storia.

Ciro Gianluigi Barbato