Le lettere fra Guido Gozzano e Amalia Guglielminetti

La letteratura ci offre tanti esempi di corrispondenze amorose; ricordiamo il carteggio fra Gabriele D’Annunzio ed Eleonora Duse, Giosuè Carducci e Carolina Cristofori Piva, la sua “Lidia” che “gli abbrucia e non gli dà pace”. Grazie alle lettere è possibile cogliere una nuovo aspetto dell’autore, e ricostruire, perciò, un quadro più completo della sua personalità. Anche il poeta Guido Gustavo Gozzano, esponente della corrente letteraria del “crepuscolarismo e la scrittrice e poetessa Amalia Guglielminetti si scambiarono 124 lettere.

L’inizio di una difficile corrispondenza

Nel 1907, l’anno della pubblicazione della sua raccolta “La via del rifugio”, il poeta conosce la Guglielminetti con la quale instaurerà una coinvolgente quanto difficile corrispondenza.

E Voi? Credete di essermi molto simpatica Voi? Avete invece, agli occhi miei, delle qualità allontananti. Prima di tutto siete bella. E precisamente di quella bellezza che piace a me. Vi ho veduta poco, ma osservata molto: siete proprio bella (vi giuro che ho dispetto, quasi, di doverne così stupidamente convenire!)

L’estraneità di Gozzano

Gozzano

Dalle lettere emerge il rapporto contrastante fra i desideri e le passioni che muovono il Gozzano, la volontà di conquista della donna amata, e la malinconia che lo spingerà infine ad estraniarsi, a preferire la solitudine.

Non che io sia malinconico, ma la solitudine fomenta la mia vita interiore sifattamente che vivo in uno stato di esaltazione quasi continua e mai mi son sentito così pieno di speranze, così aperto ai sogni, così facile alla rima ed al ritmo.

Il filo rosso delle lettere d’amore del Gozzano è sempre rappresentato dal rapporto fra elementi in opposizione: se da un lato ammette di provare una certa soddisfazione nel rifiutare i piaceri che può offrirgli il destino, è sempre per Amalia, “il Cortese Avvocato”, al quale rivolge appassionate parole d’amore:

C’era una delle vostre belle mani appoggiata al bracciuolo della sedia che occupavate, e con l’altra vi sostenevate la fronte nascondendovi gli occhi. La mano inerte era vicinissima al mio volto così che con un breve movimento avrei potuto mettervi sopra la gota e lasciarvela un poco, senza parlare, senza leggere così, come in un sogno.

L’idealizzazione amorosa e il congedo

Amalia lo ama e desidera, Gozzano è reticente, poiché si sente minacciato da una possibile relazione, e non vuole che si concretizzi. E proprio nell’ambiguo e labile rapporto con la poetessa, ammettendo di non averla mai amata veramente, che si concentra la sua estraneazione nei confronti della vita: il suo è un amore platonico ed idealizzato e tale vuole che resti.

Perdonami. Ragiono, perché non amo: questa è la grande verità. Io non t’ho amata mai. E non t’avrei amata nemmeno restando qui, pur sotto il fascino quotidiano della tua persona magnifica; no: avrei goduto per qualche mese di quella piacevole vanità estetico-sentimentale che dà l’avere al proprio fianco una donna elegante ed ambita

Ed infine, congedandosi da lei, le confessa la sua grande miseria:

 Già altre volte t’ho confessata la mia grande miseria: nessuna donna mai mi fece soffrire; non ho amato mai; con tutte non ho avuto che l’avidità del desiderio, prima, ed una mortale malinconia, dopo…

 Così si conclude la relazione tra i due, una relazione mai reale ma sublimata da parte di Gozzano che continuamente si scontra con il desiderio “autentico” di Amalia Guglielminetti.

Valentina Grasso