Michel Foucault: l’individuo anormale

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Filosofia e antropologia

“Al momento chiamiamola educazione”, medita Carmelo Bene in Nostra signora dei turchi, esaurita l’analisi dei cretini che “hanno visto la madonna” e di quelli che “la madonna non l’hanno vista”. Costringendo, si spera non troppo arbitrariamente, la citazione in territorio di “microfisica del potere”, dove i corpi sono sorvegliati e puniti al fine di una conservazione idilliaca della società, si può farne uso per introdurre il profilo di Michel Foucault. Cosa scorgerebbe, di lontano, la filosofia, se privata della cecità cui è costretta dal discorso tecnico? “La posizione dell’uomo nel cosmo”, utilizzando un’espressione di Max Scheler, il quale introduce, insieme con Helmuth Plessner e Arnold Gehlen, analisi socio-antropologiche dentro la conversazione filosofica troppo spesso asserragliata in sé stessa.  Eppure, chi è un uomo? Cos’è la materia umana di cui tenta d’occuparsi l’antropologia filosofica?

Che sia la doppiezza abissale da cui è dominata l’esistenza, il suo precipuo argomento d’indagine? Dove il corpo, l’anima; dove l’individuo, la massa; dove il potere; l’assoggettamento. Trasparente come gli elementi non risultino strappati al loro contrario, non siano a esso indifferenti, bensì ne evidenziano l’appartenenza a un genere, lo introducono a una categoria di pensiero. Persino il paradosso è perfettamente acclimatato dentro la tassonomia dell’ambiente.

La norma e l’errore

Nondimeno, proprio il paradosso istituisce una differenza che attraversa le entità, allo stesso modo per cui nell’analisi di Sartre la “fessura intracoscienziale” s’infiltra, spiffero molesto, nell’esistenza a causa della (o grazie alla) feritoia che separa individuo e sua coscienza, di fatto affermando entrambi. La separazione, invece che sradicare le entità, ne riconosce e ribadisce la presenza. Nel divario, l’integrità: nell’errore, la norma. Un discorso sull’uomo e sulle articolazioni della sua esistenza non può che occuparsi dell’esclusione e dell’inclusione del soggetto dentro l’istituzione, pur personale, pur intima. Quale istituzione non è così prossima da avvertirne di tanto in tanto il respiro burocratico sulla nuca? Troppo ordinaria sarebbe una citazione all’opera di Kafka, i cui temi sono di certo immiseriti quando semplicemente adorni d’uno spirito anti-burocratico.

È proprio la carta, intesa come Carta Costituzionale, a descrivere la norma nella propria autorità e anzi a investirla di quella. Istituzione, dunque, naturalmente politica, ma anche medicina, discorso sul corpo come organismo ammorbato dal male. Sono in tal modo descritte da Michel Foucault, in un ciclo di lezioni tenute al Collège de France su “Gli anormali” durante l’anno universitario 1974-1975, quelle categorie ripudiate, tuttavia osservate con curiosità dalle istituzioni e i cui esemplari particolari prendono qualifica di mostro umano, individuo da correggere e bambino masturbatore.

Anormali esemplari: Foucault al Collège de France

Categoria naturale, la prima, <cosmologica e anticosmologica>, la cui deformità è il lume che permette lo sguardo su una stortura morale; etiche, le altre, circoscritte all’ambiente del comportamento. La società, preoccupata del morbo da cui l’anormale sembra esser stato contagiato, edifica le mura per la propria quarantena e dà loro nomi differenti: la prigione per il malvivente, l’istituto d’educazione per il bambino. Ancora: la clinica, l’ospedale psichiatrico.

A ciò sembra sottendere un’eco marxiana cui tuttavia Foucault non dona rilievo: è l’ambiente a fabbricare la deformazione, fisica e intellettiva, dell’individuo, poiché costituisce la norma, la istituzionalizza, costringendo l’agito a subirne il vigore. È una prospettiva piuttosto singolare quella a cui apre il discorso: dove a monte vi è una reclusione, a margine sopravvive una protezione delle categorie anormali. L’interrogativo è dunque formulato: rispetto a quale norma si diviene errore e contraddizione?

Sanità, integrità, individualità

Se la sanità è ad esempio il più evidente dei principi fisico-psichici, come si potrà tracciarne il profilo se priva di contraddizione? Il folle non è, ad esempio, psichicamente infermo, moralmente abbietto e politicamente pericoloso, tanto da divenire prima che un malato da risanare un lebbroso da scacciare, come ben osserva Foucault in Storia della Follia nell’età classica, e un malvivente da imprigionare? Tecniche di potere, dunque, di costituzione giuridica e morale della norma. Non sembra un caso che la prima lezione de Gli anormali si apra su una disamina in merito alle perizie psichiatriche e alle loro conseguenze penali. L’interrogativo è tagliente: dove ritrovare la verità sulla norma?

Maurice Henry, disegno che raffigura Michel Foucault, Jacques Lacan, Claude Lévi-Strauss e Roland Barthes.

Come può l’individuo dire la verità su sé stesso, se essa è amministrata da altri e più sibillini poteri? Ormai lontano dal conflitto tra natura e cultura che, miseramente, riassume l’opera dello strutturalista Claude Lèvi-Strauss, Foucault scrive d’una dinamica in cui la produzione di verità è storicizzata, generata da dispositivi di potere non più immediatamente osservabili poiché incorporati ormai nell’univocità della storia. Nessuna dualità: un individuo, invece, cui è dato dire la verità su sé stesso solo a patto di riconoscere la robustezza delle norme. Un enigma, da dove esse provengano: si può, certo, tentarne una genealogia, soltanto però rivendicando la parzialità di ogni argomento, di ogni sguardo.

Antonio Iannone

Bibliografia

M. FOUCAULT, Gli anormali. Corso al Collège de France (1974-1975), trad. di V. Marchetti – A. Salomoni, Feltrinelli, 2009.
M. FOUCAULT, Storia della follia nell’età classica, a c. di M. Galzigna, Rizzoli, 2009
J.-P. SARTRE, L’Essere e il Nulla, trad. di G. del Bo, Il Saggiatore, 2014.
M. SCHELER, La posizione dell’uomo nel cosmo, a c. di Rosa Padellaro, Armando Editore, 1997

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