Thérèse Raquin di Emile Zola: storia di un delitto perfetto

Thérèse Raquin è la storia del delitto perfetto, se non fosse per quel rimorso che tanto ha attanagliato l’animo dei due giovani protagonisti, e che Emile Zola ha così dettagliatamente delineato.

“I lettori intelligenti, per vedere chiaro, non hanno bisogno che gli si accenda una lampada in pieno giorno.”1

Quando il romanzo uscì nel 1867 non riscosse subito molto successo: la critica fu impenitente e giudicò la storia troppo violenta e cruda, ma ciononostante l’autore non si abbatté, e nella prefazione della seconda edizione di Thérèse Raquin così scriverà per meglio spiegare al pubblico la sua opera:

[..] La critica ha accolto il libro con esclamazioni indignate. Da parte mia, non mi lamento affatto di questa accoglienza: al contrario, ne sono incantato perché mi consente di dedurre che i miei cari colleghi hanno un sistema nervoso paragonabile a quello di una fanciulla di rara sensibilità. In Thérèse Raquin ho voluto studiare dei temperamenti, non dei caratteri. In questo risiede la ragione d’essere del libro. Il mio fine è stato soprattutto scientifico [..]2

Thérèse Raquin: trama

Thérèse RaquinLa trama si snoda attorno alla storia d’amore clandestina fra Thérèse, una giovane orfana cresciuta con una zia ed il suo unico figlio Camille, e l’amante Laurent, un uomo bello e prestante che le farà perdere la testa. Originari di Vernon, mamma Raquin e Camille vivono un’esistenza tranquilla fra le campagne della Normandia; poiché il ragazzo era stato sempre cagionevole di salute, la madre aveva sviluppato un ossessivo attaccamento verso il figlio, e di fatto lo aveva reso viziato ed egoista. Un giorno però alla porta dei Raquin bussò il fratello di lei, che le affidò la figlia Thérèse per poi ripartire alla volta dell’Africa, dove morirà.

Che Thérèse e Camille dovevano sposarsi era già stato stabilito da tempo da parte di mamma Raquin, la quale vedeva nella nipote l’unica persona in grado di occuparsi del figlio. E così fu. Ma i due ragazzi crescendo avevano sviluppato caratteri diversi: la prima, forte, sana e piena di voglia di vivere, ma costretta a celare ogni emozione; il secondo, triste, debole e bisognoso di tutto. L’unico scatto di intraprendenza per Camille fu quello di decidere per tutti il trasferimento a Parigi, desideroso di trovarsi un impiego. Mamma Raquin, se sulle prime ebbe da obiettare qualcosa, si rese conto poi che quell’opportunità avrebbe giovato a tutti e che avrebbe potuto riprendere la sua attività di commerciante. E proprio a Parigi, Camille ritroverà un vecchio amico d’infanzia: Laurent.

Quella fra Thérèse e Laurent è una passione dirompente che li porterà ad escogitare l’assassino di Camille pure di stare insieme, riuscendo in tutto e per tutto nel loro intento. Ma quasi subito dopo la morte dell’odiato marito, qualcosa fra i due amanti s’incrina, e la situazione precipiterà quando si sposeranno col beneplacito sia di mamma Raquin che del loro piccolo gruppetto di amici, tutti ignari del fatto che Camille non era morto per un incidente..

Un romanzo naturalista

L’atmosfera che si respira fra le pagine è cupa e angosciante; il lettore percepisce l’odore acre delle misture che mamma Raquin faceva inghiottire al piccolo Camille, così come è impossibile non immedesimarsi in Thérèse, oppressa dal silenzio sepolcrale che vige in casa. La connessione fra la spossatezza di Thérèse, il suo invidiabile autocontrollo, i tratti rudi e gentili insieme di Laurent, così come l’ardore della loro passione si mischiano e si susseguono pagina dopo pagina, e l’attenzione non cala mai.

Seguendo le vie del naturalismo francese, Zola ha scritto un’analisi scientifica dei sentimenti contrastanti che hanno invaso l’animo di due assassini, i loro tormenti, la paura di essere scoperti e, di contro, il desiderio di redenzione, una volontà assoluta di assoluzione che arriverà solo con il suicidio che li vedrà ancora una volta uniti, proprio sotto gli occhi di mamma Raquin, ormai invecchiata, paralitica ed inerme; spettatrice muta di tutto il dramma che si consumava in casa sua da mesi.

Non ci sono vincitori, non ci sono vinti. Quando si parteggia per qualcuno, ecco che con un colpo di penna, Zola riesce a cambiare le carte in tavola, e il lato più nero dell’animo umano viene messo in luce, e la sola verità che viene fuori alla fine è che ognuno di noi ha del marciume dentro; un marciume che ci spinge alla mera sopravvivenza e che fa calpestare inesorabilmente gli altri.

Fa male leggere della solitudine della Thérèse bambina, che deve reprimere dentro di sé la gioia di vivere per non dar fastidio al cugino malato.

[..] Alla vista del giardino, del fiume bianco, dei vasti pendii verdi che salivano all’orizzonte fu presa da una selvaggia voglia di correre e di gridare; il cuore le batteva in petto con violenza; ma nessun muscolo del volto la tradì, ed ella si limitò a un sorriso quando la zia le domandò se le piacesse la nuova casa. Restò la ragazza cresciuta nel letto di un malato, ma visse dentro di sé un’esistenza ardente e impetuosa [..]3

Una vittima della cecità di chi le stava intorno, delle minestre e delle medicine che la zia somministrava anche a lei di forza, eppure una volta donna, non ha esitato a tradire chi, dopotutto, le aveva fatto da madre, e aveva mentito e ucciso con Laurent, e continuato a mentire per salvarsi dalla ghigliottina.

Ma lo steso Laurent non è meglio né peggio di lei. Il primo pensiero che riesce a formulare su Thérèse è di pura convenienza: farsela amante poiché non era né più bella né più brutta delle donne che di solito frequentava. Laurent voleva solo condurre una vita di agi, e la famiglia Raquin faceva al caso suo; Camille l’aveva accolto con piacere, lo rallegrava con qualche battuta, mentre mamma Raquin lo viziava come un figlio e gli riempiva lo stomaco. Quella con Thérèse, almeno all’inizio, doveva essere solo un’eventualità, seppure piacevole, ma non necessaria. Eppure già dopo il loro primo incontro furtivo, Laurent si accorge che lei era diversa dalla donna scialba e pensosa che se ne stava in disparte nelle riunioni del giovedì.

Fra le sue braccia, Thérèse risorge, vive finalmente e si sta portando via di volta in volta un pezzetto d’anima di Laurent, che in breve non riuscirà più a starle lontano, e solo per averla tutta per sé che annega Camille durante una gita in barca. Ma la morte del marito non dà la gioia sperata ai due amanti, poiché diventano paranoici e si sentono perennemente perseguitati dalle autorità e dallo stesso spettro di Camille. Lo vedono ovunque, ne sono terrorizzati, e principalmente di notte le loro paure si acuiscono, distruggendo pian piano l’amore.

Ma all’esterno appaiono sempre una coppia impeccabile, innamorata e singolarmente felice. Laurent è l’amico fedele, colui che si era gettato nel fiume nel tentativo disperato di salvare la vita al suo migliore amico, di cui aveva sposato la vedova per senso di responsabilità. Così come Thérèse si era inizialmente mostrata inconsolabile, donna pacata e devota alla memoria del defunto marito e alla zia/suocera con cui continua a vivere, e che accetta le seconde nozze solo per compiacerla.

L’ignara mamma Raquin è contenta di passare i suoi ultimi anni coi suoi “cari figlioli” che se ne prendono così amorevolmente cura, finché il dolore e la vecchiaia la rendono paralitica e le tolgono anche la parola. È allora che diventa schiava del suo stesso corpo, ingabbiata dentro le ossa cigolanti e completamente dipendente da Thérèse e Laurent, che ormai sono presi da una furia irrefrenabile, e si accusano ogni giorno di essere la causa dell’infelicità dell’altro, nel disperato tentativo di sentirsi un po’ meno responsabili della morte di Camille, poiché Laurent l’ha colpito, ma Thérèse era d’accordo, ha progettato quel momento con lui, ha assistito e ha taciuto.

Fa pena mamma Raquin, la quale viene a conoscenza infine del misfatto dalle stesse bocche di Thérese e Laurent per sbaglio, durante una lite. Fa pena perché il tradimento che avverte nelle viscere deve rimanere chiuso dentro di sé; non può denunciare l’accaduto, non può vendicarsi. Ma non è nemmeno lei meno colpevole degli altri; col suo egoismo aveva costretto una vita ad assoggettarsi ad un’altra perché nella sua visione del mondo era la cosa giusta da fare. Era stata cieca di fronte ai bisogni della nipote, così come dello stesso figlio, che di certo non necessitava di tutte quelle medicine.

E chi se non Camille, parrebbe l’emblema della vittima? Ucciso a tradimento dal migliore amico, tradito dalla moglie e rimasto invendicato. Un animo semplice, che si era ritagliato il suo angolo di paradiso nel mondo, ed era legato a piaceri piccoli ed esigenze modeste. Ma non aveva forse, con la sua cocciutaggine, obbligato Thérèse a seguirlo nell’opacità della sua esistenza? Instupidito dai brodini e dall’eccessive moine materne, aveva finito per seppellirsi prima del tempo con le sue stesse mani.

Ma il caso è beffardo, e vuole che Thérèse e Laurent decidino di uccidersi l’un l’altro poiché vedono nella morte l’unica consolazione all’inferno che vivono. E ancora più beffarda, è la vendetta tanto sperata, se così vogliamo chiamarla, di mamma Raquin, la quale assiste alle loro morti con muta soddisfazione.

[..] I cadaveri restarono tutta la notte sul pavimento della sala da pranzo. E per virca dodici ore , fin quasi a mezzogiorno del dì seguente, mamma Raquin, rigida e muta, li contemplò ai suoi piedi non potendo saziare gli occhi, schiacciandoli coi suoi sguardi duri.4

Roberta Fabozzi

Fonti:

1,2,3,4: Thérese Raquin, Emile Zola, Rizzoli editore

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