Vita da pendolari: distanze, solitudine e intrecci

Sveglia di primo mattino, l’arrivo alla stazione all’orario stabilito, pagare e obliterare il biglietto, treni in ritardo, vagoni affollati, scarsità di posti a sedere, altri passeggeri che strattonano, arrivo del mezzo e corsa per raggiungere il luogo di lavoro o di studio. In generale, la vita dei pendolari è fatta in questo modo: proprio come un pendolo, oscilla tra la necessità di servirsi dei mezzi pubblici e il disagio di viaggiare sugli stessi.

pendolari
“Pendolari” – Giovanni Giordano

I dati parlano chiaro:

Sono quasi 29 milioni (48,6% della popolazione residente) le persone che ogni giorno effettuano spostamenti per recarsi sul posto di lavoro o di studio, in dieci anni sono cresciute di circa 2,1 milioni. […] Nel decennio intercensuario si sono allungati i tempi destinati alla mobilità.[1]

Il pendolare, secondo una definizione del sociologo milanese Guido Marinotti, è una tipologia di persona che si reca nelle grandi città solo per lavorare o studiare ma che vive altrove. O meglio, vive sui trasporti pubblici. Infatti, per i pendolari, il vagone del mezzo di trasporto – treno e metropolitana che sia – è il luogo nel quale si trascorrono i primi e gli ultimi momenti della giornata, dove si incrociano gli sguardi di studenti stanchi e lavoratori stressati; per le scienze umane è un microcosmo di esperienze che permette di riconoscere le caratteristiche della modernità.

Distanze sociali: pendolari vicini e lontani

Vivere da pendolare non significa esclusivamente correre in tempo per poter raggiungere un treno: è significativo anche tutto ciò che accade all’interno del mezzo. In generale, potremmo dire che è una vita fatta di contatti, per di più fisici. Si tratta, però, di contatti forzati, indipendenti dalla volontà del singolo.

Questa speciale caratteristica permette di porre l’attenzione sulla prossemica, termine introdotto e coniato dall’antropologo Edward T. Hall indicando la scienza che studia lo spazio e le distanze. Secondo lo studioso, la distanza che si instaura tra due persone non è casuale ma legata alla relazione che abbiamo con essi. Si distinguono, quindi:

  • Distanza intima: meno di 45 cm. Questo genere di contatto tiene legate persone con  un alto grado di confidenza e permette di entrare in sintonia psicologia con l’altro;
  • distanza personale: dai 45 cm al metro e venti. La distanza personale ha due ramificazioni: la prima, orientata verso la vicinanza, ha come limite 45-75 cm, misure tipiche di una conversazione tra amici; la seconda è orientata verso la lontananza, va dai 75 cm al metro e 20;
  •  distanza sociale : dal metro e 20 cm ai 3 metri e mezzo. Distanza tipica dei rapporti pubblici e professionali – ad esempio, lo spazio occupato da una scrivania;
  •  distanza pubblica: oltre i 3 metri e mezzo. In questo genere di distanza si sottolinea la superiorità di un interlocutore sugli altri.

Gli studiosi della prossemica intendono sottolineare che il modo in cui si strutturano i microspazi è una questione sociale, tanto da esser riusciti ad offrire delle misurazioni. Il mondo del vagone ferroviario, però, ha regole proprie che possono distorcere la teoria.

La realtà che sconvolge la teoria

Come si può notare, ciò che accade nella vita dei pendolari è completamente opposto a ciò che gli studiosi della prossemica hanno delineato: nel viaggio verso il luogo di studio o di lavoro, le persone si trovano a stretto contatto gli uni con gli altri senza necessariamente avere un alto grado di confidenza. In questo genere di situazioni, dove non è possibile costruire distanza fisica, entra in gioco l’atteggiamento: si crea, insomma, una distanza ideale, psicologica, creata attraverso atteggiamenti cinici, indifferenti, scostanti.

Tanti contatti, elevata solitudinependolari

Transitorietà e uniformità sono concetti, palesemente contrapposti, che spiegano adeguatamente la vita all’interno di una carrozza ferroviaria o metropolitana e, di conseguenza, la condizione vissuta dai pendolari. Con il primo termine si intende il continuo andirivieni che c’è ad ogni fermata dei mezzi pubblici: possono scendere tutti i passeggeri, salirne il doppio o semplicemente effettuare uno scambio. Per uniformità si intende la composizione simile dei passeggeri: essi formano un insieme mettendo in atto atteggiamenti identici – in questo casi di tensione- dettati dalla schematicità della situazione sociale in cui si trovano. Quindi, è sicuramente vero che il mezzo di trasporto vive di mutevolezza, ma quest’ultima è soltanto una ripetizione continua delle stesse forme.

Spostando l’analisi su un piano individuale, è necessario sottolineare che quest’uniformità non è mescolanza: la carrozza metropolitana è l’incontro delle solitudini; tutti i passeggeri, pur vivendo a meno di 45 cm di distanza, creano momenti di solitudine senza intrecciare il proprio percorso con l’altro. Infatti, tanti più sono i contatti sfuggevoli con le persone estranee, tanto più il senso di solitudine e di silenzio si accentua – tutto ciò condito da altri fattori quali la fuggevolezza del luogo e l’anonimato.

Un intreccio di storie

Vivere su di un mezzo di trasporto è, quindi, sicuramente complicato. Si crea dipendenza, per l’impossibilità di raggiungere il luogo di lavoro senza di esso; si diventa schiavi della velocità, impostando i propri orologi interiori sul tabellone delle stazioni; si accentua l’individualismo. Tuttavia, i pendolari hanno una grande opportunità: possono vivere, nel giro di qualche fermata, le storie di tutti coloro che viaggiano nella stessa direzione. Alzando la testa dalle incombenze quotidiane, il pendolare può accorgersi di essere diventato un personaggio della vita di qualcun altro. Citando il poeta Costantino Kavafis:

[…] devi augurarti che la strada sia lunga, fertile in avventure ed esperienze. […]

Soprattutto, non affrettare il viaggio: fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio metta piede sull’isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada. [2]

Alessandra Del Prete

Fonti:

[1] Istat (2014)

[2] Costantino Kavafis, Itaca

Per maggiori informazioni: La carrozza della metropolitana, silenziosa e solitaria