Massimiliano Gallo è Liolà al Teatro San Ferdinando

La Rilettura di Liolà di Arturo Cirillo

Arturo Cirillo offre la sua versione del Liolà pirandelliano in una rilettura di estrema sensibilità, in scena dal 19 ottobre fino all’ultima data, il 30 ottobre, presso il teatro San Ferdinando di Napoli.  Partendo dalla percezione che il regista ha voluto dare di una natura plastica e in un certo qual modo “innaturale”. Il riferimento è palesato da una scenografia composta da un tappeto di fiori finti che a metà spettacolo si innalza a parete, curata da Dario Gessati. Fortemente simbolico l’elemento del sole che si erge sulla scena, enorme, imponente, abbagliando il pubblico e gli stessi attori (che in maniera fortemente ironica indossano gli occhiali), alla stessa invadente maniera di una verità che non si può rifuggire. Le verità, intese anche  soprattutto come realtà, come vita vissuta, sono quelle di Liolà , interpretato da un camaleontico e sempre versatile Massimiliano Gallo, che questa volta porta gli abiti di un simpatico, incosciente, malizioso ed ironico bracciante della campagna agrigentina. Non c’è pulzella che gli sfugga, come non c’è profonda realtà che egli, nonostante quel suo fare da eterno Peter Pan, non abbia colto fin nel profondo: Liolà conosce bene le regole della sopraffazione alla base di ogni società, compresa la sua. Il denaro che può comprare ogni cosa, compresi i figli; la vecchiaia che inesorabilmente consuma la gioventù, e ancora, l’universo femminile alla mercè di quello maschile.

Liolà
Liolà

L’atteggiamento leggero di Liolà cela, oltre che una totale consapevolezza,  una profonda solitudine, che la regia sottolinea drammaturgicamente tramite l’eliminazione del personaggio della madre di Liolà, zia Ninfa, e tramite una maggiore demarcazione della presenza dei tre figli del protagonista, di età superiore rispetto a quelle della commedia originale , proprio a sottolineare la solitudine di un ragazzo padre che mette al mondo creature quasi con totale sprovvedutezza ma che poi si ritrova a crescerle ed a insegnare loro “a cantare”. Insomma, una storia di realtà tristi, ma in una cornice allegra, alla quale atmosfera leggera ma al punto giusto malinconica, contribuiscono le musiche, curate da Paolo Coletta. I costumi a loro volta sono portavoce di un determinato simbolismo, espresso al massimo nella figura di Mita (Giorgia Coco), moglie di zio Simone, e pertanto, sempre in abito da sposa, secondo l’attenta costumeria di Gianluca Falaschi, proprio  a sottolineare la valenza del suo ruolo, appunto solo simbolico ed atto alla procreazione della specie. Le sofferenze della povera Mita sono strumentali alla delineazione del personaggio di zio Simone (interpretato dallo stesso regista Arturo Cirillo), motore della scena, con la sua sterilità non solo biologica ma anche sentimentale, con la sua ossessione per la “roba”, la tramandazione della “roba”, il possesso della “roba”, in una sfumatura quasi verghiana.

Letizia Laezza

Teatro S.Ferdinando- sito ufficiale