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Nicolò Annibale: recensione di “Ce voglio credere”

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L’anima di un giovane che si unisce ad una dimostrazione di maturità: ecco la recensione dell’album di Nicolò Annibale, “Ce Voglio credere” per LaCooltura!

Avevamo parlato di Nicolò Annibale e con Nicolò Annibale già in passato, con questa intervista. Ma ora è tempo di vedere il risultato: ecco la recensione di Ce Voglio Credere.

Dopo l’uscita e la presentazione ufficiale del disco, avvenute a giugno, Nicolò sta girando con grande successo i locali e gli eventi napoletani ma anche extracittadini), portando con sè tutte quelle qualità espresse anche in fase di registrazione. Che sia su Spotify o con un live, dall’ascolto di Ce Voglio Credere spiccano la genuinità dell’artista e la sua semplicità: chitarra e voce fanno da padrone e gli echi sono rivolti verso quel mondo blues tanto caro a noi napoletani. Il risultato è più che positivo: la voce graffiante dona maturità a quello che, ricordiamolo, è solo un giovane ragazzo, e le parole si amalgamano alla perfezione con il tipo di musica già citata.

Senza“, di cui proponiamo un video, possiamo definirla come una versione più violenta e più ritmata (ma allo stesso tempo più giovane) di “Dannato Amore” di Maldestro, cantautore importante della scena napoletana: una storia d’amore finita male, tema mai banale per la canzone del nostro paese.

 

Mo te ne ‘e a Jì” è spettacolare, sprigiona una forza che tocca una vetta importante, completa e molto matura, mentre in “Piglia stu Blues” la voce si alza e la fa da padrona regalando la giusta adrenalina. Non di poco conto l’intelligenza del ragazzo che per l’ultima canzone, la giusta chiusura dell’album, non fa nulla per nascondere un omaggio ad Alessandro Baricco con “Castelli di Rabbia“, probabilmente un segno della formazione di Niccolò, avido lettore e studente di Lettere Moderne.

In quasi tutte le canzoni c’è da segnalare la presenza di importanti assoli di chitarra, tutti blues/rock ma tutti diversi tra di loro, tutti giusti e limpidi: l’importante presenza alla produzione di Fabrizio Fedele  si fa sentire a livello qualitativo, livello ottimo per quello che è un album di debutto.

Ce voglio credere: cosa lascia?

Crederci, avere speranza. Nicolò Annibale comunica con le sue parole questo forte sentimento, un grido di rivolta contro gli amori finiti male, contro una società chiusa e fredda, temi facilmente accostabili a nomi del passato (ascoltando Annibale è impossibile non sentirlo il richiamo a Pino Daniele, ma sono semplicemente piccoli omaggi per una leggenda e mai spudorati tentativi di copia forzata) ma c’è anche una consapevolezza, una ventata di aria fresca ed una scelta ben precisa di mandare avanti una tradizione di musica. Per provare nuovi stili, per cambiare e per sperimentare, Nicolò Annibale avrà tempo. Il tempo è dalla sua parte e lui ci crede: il futuro può riservargli grandi soddisfazioni, soprattutto se alla base c’è questo ottimo lavoro. Da ascoltare, assolutamente.

Diego Sbriglia.

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Diego Sbriglia

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