Il sogno americano: Fitzgerald e Kerouac

Chi non ha mai sentito parlare del “sogno americano”? Il grande mito del Nuovo Mondo ha influenzato e affascinato per secoli tutto l’Occidente, penetrando inesorabilmente nelle nostre coscienze e nel nostro sistema di valori. Molti lo nominano per sentito dire, ma pochi sanno quanto in realtà questo concetto sia estremamente ambiguo e contraddittorio: musicisti, scrittori, pittori e artisti di ogni genere ne hanno messo in evidenza luci e ombre.

il sogno americanoSi tratta di ricchezza, fama, successo? O di libertà, di vita senza schemi? Non è facile stabilirlo, come non è facile mettere d’accordo queste due posizioni, apparentemente agli antipodi. Com’è nato? Chi l’ha stabilito? Chi lo ha perseguito? Basta dare un’occhiata alla geografia dell’America per accorgersene: da un lato New York, Los Angeles, Las Vegas, con le loro sfavillanti luci e la loro vita frenetica; dall’altro zone desolate, incolte e selvagge, in cui la vita non è poi così piacevole.

Risulta quasi scontato dire che la letteratura, quella americana in primis, ha espresso tutto il potenziale rivoluzionario di quest’ambiguità, potenziale che è stato capace di dare corpo ad intere generazioni. In particolare, in questa sede, tenteremo di esaminare il sogno americano attraverso gli occhi, la vita e le opere di due grandissime personalità della letteratura americana: Francis Scott Fitzgerald e Jack Kerouac. 

“The Great Gatsby”: tragica e lucida analisi del sogno americano

Incominciava a piacermi New York, la sua atmosfera avventurosa durante la notte e la soddisfazione che il passaggio continuo di uomini e donne e automobili procura all’occhio irrequieto.  […] Talvolta il fascinoso crepuscolo della metropoli mi ossessionava di solitudine, e la sentivo negli altri, poveri giovani impiegati che bighellonavano davanti alle vetrine in attesa della cena solitaria nel ristorante, giovani impiegati all’imbrunire che sprecavano i momenti più importanti della notte e della vita.

il sogno americano, FitzgeraldLong Island, New York, 1922: I ” Roaring Twenties”. Fitzgerald, così come Jay Gatsby e i suoi personaggi, vivono in un clima in cui quel grande lunapark che è L’America cerca di nascondere a ritmo di jazz il suo lato oscuro: il proibizionismo.

Cos’era il sogno americano? Solo un’illusione, l’illusione che ognuno possa ottenere ciò che desidera: quanto a Gatsby, si illude e illude continuamente, pare che quasi goda nel sapere che, durante i suoi “garden parties”, gli ospiti spettegolano sull’origine delle sue fortune. C’è chi dice che sia stato una spia tedesca durante la guerra, chi dice che si tratti di un contrabbandiere, c’è chi giura che abbia ammazzato un uomo, c’è persino chi dice che non esiste!

C’è qualcosa di leggendario e demoniaco nella figura di Gatsby, il lettore si illude ancor prima di averlo ufficialmente conosciuto, e invece? Dalla prima volta in cui ce lo troviamo di fronte, il suo “eroico” charme viene messo a dura prova da una goffaggine e un nervosismo del tutto inaspettati. Eppure Jay Gatsby è già più ricco di Dio e, si scoprirà più avanti, viene dal nulla. Cosa lo rende diverso? Basta guardare Tom e Daisy, vedere come si muovono, come vivono, per capire che, oltre ai soldi, c’è qualcosa di più.

Erano gente sbadata Tom e Daisy: sfracellavano cose e persone e poi si ritiravano nel loro denaro e nella loro ampia sbadataggine o in ciò che comunque li teneva uniti, e lasciavano che altri mettessero a posto il pasticcio che avevano fatto.

Nascere ricchi. È l’unica cosa che un self-made man non potrà mai comprare, l’illusione di essere sempre all’altezza, sempre adeguati: è il lato oscuro dell’America e del sogno americano. Ma basta poco per capire che il rancore che Jay Gatsby prova verso di loro non è poi così diverso da quello del suo creatore. Siamo nel cuore della finzione letteraria e nel cuore della realtà. La vita di Fitzgerald è il sogno americano, è tutto un provare a essere all’altezza del proprio mito, la tragedia sta nell’inesorabile fallimento. Scrive, nell’estate del ’30, alla moglie ricoverata in clinica:

Qualunque cosa pur di piacere, pur di essere rassicurato che non ero solo un uomo con un po’ di genio ma che ero un uomo di grande successo.

Allo stesso modo, commenta da narratore:

La verità era che Jay Gatsby di West Egg, Long Island, era scaturito da una concezione platonica di se stesso.

Nel 1936 Fitzgerald era ormai poco più che una moda, una vecchia gloria. E mentre Gatsby scommetteva sulla folle illusione di un fiabesco sogno adolescenziale, stare con Daisy, il suo ingenuo creatore scommetteva sulla folle illusione di un successo che non lo avrebbe mai ripagato.

Il sogno americano di Kerouac e della beat generation: “On the road”

A quel tempo danzavano per le strade come pazzi e io li seguivo a fatica come ho fatto tutta la vita con le persone che mi interessano, perché le uniche persone che esistono per me sono i pazzi, i pazzi di voglia di vivere, di parole, di salvezza, i pazzi del tutto e subito, quelli che non sbagliano mai e non dicono mai banalità ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi d’artificio gialli che esplodono simili a ragni sopra le stelle.

Il sogno americano, Kerouac

Erano i “Beats”, i pionieri di quella controcultura che presto sarebbero stati conosciuti come la Beat Generation. Siamo nel 1950 o giù di lì. “On the Road”, scritto di getto in appena tre settimane, non sarà pubblicato fino al 1957. I viaggi che Sal, trasfigurazione letteraria dell’autore, racconta? Tutto vero, dalla prima all’ultima pagina. Per essere più precisi, è dal 1947 che Kerouac è “sulla strada”, sulle interminabili highways dell’America e del Messico.

Sia chiaro, i ’50 non sono i ’60, siamo negli anni di un’America triste, conservatrice e arroccata sulle posizioni della guerra fredda. Fare scandalo è molto facile. Una vita itinerante, senza fissa dimora, segnata da alcool, droga e promiscuità sessuale? Non sia mai, non è quello che ci si aspetta dalla scintillante “middle-class” americana. Di questo stile di vita, Neal Cassidy, meglio conosciuto come Dean Moriarty, è il maestro indiscusso, fonte di ispirazione letteraria per Kerouac e luogo simbolico di profonde contraddizioni.

Cosa è rimasto di Fitzgerald? Il sogno americano, mai svanito. È cambiato? Non del tutto, ha solo tolto la maschera. Kerouac scopre ciò che Fitzgerald aveva velato di false apparenze. L’America sta cambiando, sta perdendo la sua immacolata innocenza. Basta guardare alle prime righe:

Incontrai Dean per la prima volta dopo la separazione di mia moglie. Mi ero appena rimesso da una seria malattia della quale non vale la pena parlare, se non perché aveva a che fare con quella separazione avvilente e penosa e con la sensazione di morte che si era impadronita di me. Con l’arrivo di Dean Moriarty cominciò quella parte della mia vita che si può chiamare la mia vita sulla strada. Prima di allora avevo spesso fantasticato di attraversare il Paese, ma erano sempre progetti vaghi, e non ero mai partito. Dean è il compagno perfetto per mettersi sulla strada, perchè c’è addirittura nato sulla strada.

Il senso della ricerca umana, il sogno americano dell’andare senza fine, è forse racchiuso nel significato dell’aggettivo “beat”. Beat vuol dire diverso, emarginato, sconfitto, ma per scelta. Beat vuol dire ritmo: il ritmo del jazz di Charlie Parker, il ritmo costitutivo della prosa di Kerouac, ma anche modello etico che richiede di “suonare” la propria vita con intensità, fino all’ultimo respiro. Beat anche nel senso specifico di “beatific”: un liberatorio abbraccio, senza veli né ritegni, con la propria più profonda e più tragicamente umana identità.

Il sogno americano? Tutto e subito. L’illusione? ancora una volta andare, ma non trovare.

Martina Pedata

Fonti

Sulla strada, Jack Kerouac, Oscar Mondadori, 2006

Il Grande Gatsby, Francis Scott Fitzgerald, La biblioteca di repubblica, Roma, 2011