Un’impietosa immagine del Belgio secondo Baudelaire

Come spesso accade, non tutta l’opera di un grande autore del passato è conosciuta da quanti si accingono a leggerlo, e Charles Baudelaire non fa eccezione. Il meraviglioso maestro delle Fleurs du mal, infatti, ci ha deliziato anche con dei lavori che divennero l’espressione di quella che fu la sua travagliata vita. In particolare, in seguito ad un soggiorno in Belgio non particolarmente fruttuoso e gradevole, a partire dal 1864 Baudelaire comincia a stendere una serie di componimenti frutto delle sue impressioni circa il paese visitato.

Scopriremo infine quanto queste poesie siano per nulla lusinghiere verso l’immagine del Belgio, e quanto, per la loro indignata animosità, rappresentino uno dei lavori del poeta più sconvolgenti a livello espressivo.

La fuga dalla Francia

Ormai superati i quarant’anni, e provati i primi sentori dei mali che porranno fine alla sua vita nel 1867, Baudelaire già dal 1863 accarezza l’idea di lasciare la Francia: “Je suis très las de la France et je désire l’oublier pendant quelque temps”¹. L’occasione si concretizza l’anno seguente, in seguito alla fuga dell’amico Poulet-Malassis in terra belga, per sfuggire ai creditori.

Il 24 aprile del 1864 infatti, invitato per tenere alcune conferenze su Delacroix, Gautier e i Paradisi artificiali, Baudelaire arriva a Bruxelles, alloggiando all’Hôtel du Grand Miroir, in rue de la Montagne 30 – lo stabile è stato demolito e poi ricostruito dopo il 1960, ma una targa nella via nel cuore di Bruxelles ancora commemora il soggiorno.
belgioTuttavia questa permanenza, a cui il poeta guardava con una speranza a lui inusuale, si rivela un insuccesso: le sue cinque conferenze non raccolgono molto pubblico, e gli editori belgi cui nel frattempo stava sottoponendo alcuni suoi scritti gli rifiutano ogni pubblicazione.

È in quel momento allora che Baudelaire decide di cambiare approccio, e tutte le sue osservazioni sul paese, sulla città e sui belgi convergono quale tessuto di un’opera a carattere satirico, su cui non ritornerà nemmeno dopo la pubblicazione di un suo poème en prose da parte di una rivista belga l’anno successivo.

Comincia dunque la revisione di alcune sue salaci annotazioni scritte man mano durante il suo soggiorno, sotto il nome di Pauvre Belgique, che resterà tuttavia incompiuta. Quello che invece vedremo nel dettaglio in quest’articolo è una serie di epigrammi sempre sullo stesso soggetto, che va sotto il nome di Amœnitates belgicæ.

Scorci del Belgio

L’opera è composta da epigrammi e altre poesie di ordine sparso, pubblicate tutte postume e a più riprese. In essere ritroviamo, seppur filtrati dall’intento ferocemente satirico che anima l’opera, alcuni temi ricorrenti nell’autore, come ad esempio la sensualità e la rappresentazione del corpo femminile; il senso di decadenza delle immagini trova una perfetta realizzazione nella descrizione delle fanciulle belghe che il poeta deve aver conosciuto, come si legge nel componimento Venus belga:

Les seins des moindres femmelettes,
Ici, pèsent plusieurs quintaux,
Et leurs membres sont des poteaux
Qui donnent le goût des squelettes.

Il ne me suffit pas qu’un sein soit gros et doux ;
Il le faut un peu ferme, ou je tourne casaque.
Car, sacré nom de Dieu ! je ne suis pas Cosaque
Pour me soûler avec du suif et du saindoux.

Le immagini sono subito forti e volutamente spinte, il tono è spietato e denigratorio per descrivere le donne di facili costumi, da cui l’autore non si separava neanche in terra straniera, rimanendo tuttavia deluso da un’abbondanza di forme giudicata da lui volgare e ottusa. Il titolo, in latino, di Amenità belghe crea un evidente contrasto ingannando il lettore nelle sue aspettative, e lasciandolo poi a confrontarsi con l’effettivo squallore della materia.

Tuttavia, le considerazioni non si fermano solo al genere femminile, come si legge in Les Belges et la lune:

On n’a jamais connu de race si baroque
Que ces Belges. Devant le joli, le charmant,
Ils roulent de gros yeux et grognent sourdement.
Tout ce qui réjouit nos cœurs mortels les choque.

Dites un mot plaisant, et leur œil devient gris
Et terne comme l’œil d’un poisson qu’on fait frire ;
Une histoire touchante ; ils éclatent de rire,
Pour faire voir qu’ils ont parfaitement compris.

I belgi, razza barocca secondo l’autore, sembrano smentire tutte le leggi del bello, presentando un senso del gusto opposto a quello di qualsiasi altro paese, e tale rovesciamento si esplicita anche in reazioni contrarie parse a Baudelaire incomprensibili, probabilmente segno di un difetto di comprendonio.

Sembrano inoltre agire seguendo tutti la stessa corrente, imitando le usanze del resto d’Europa (in particolare la Francia), come si legge in L’Esprit conforme:

Les Belges poussent, ma parole !
L’imitation à l’excès,
Et s’ils attrapent la vérole,
C’est pour ressembler aux Français.

Tuttavia l’occhio dell’autore ricade anche sui tipi particolari con cui egli deve aver avuto a che fare nei suoi brevi anni in belgio, come l’Appassionato d’arte (in L’Amateur des Beaux-Arts en Belgique):

Un ministre qu’on dit le Mecenas flamand,
Me promenait un jour dans son appartement,
Interrogeant mes yeux devant chaque peinture,
Parlant un peu de l’art, beaucoup de la nature,
Vantant le paysage, expliquant le sujet,

Et surtout me marquant le prix de chaque objet.

Alcune parole sono evidenziate dallo stesso autore: art, nature, paysage, sujet e infine prix.

Le prime quattro sono in relazione tra loro, ovvero la rappresentazione della natura nell’arte, tramite il paesaggio naturale quale soggetto privilegiato; ad ogni modo, la loro evidenziazione, così come i termini che li accompagnano, ci autorizzano a percepire una certa ironia circa le capacità argomentative di questo Mecenate. Infine, l’equilibrio è rotto dalla parola prix, cioè prezzo: si scopre che questo appassionato d’arte altri non è che un uomo d’affari, che fa della compravendita di opere la sua principale speculazione.

Perfino la neutralità del paese, rivendicata dopo la rivoluzione scoppiata nel 1830 e che avrebbe portato all’indipendenza, infastidisce Baudelaire, che senza mezzi termini ne descrive gli effetti in L’Inviolabilité de la Belgique:

« Qu’on ne me touche pas ! Je suis inviolable ! »
Dit la Belgique. — C’est, hélas ! incontestable.
Y toucher ? Ce serait, en effet, hasardeux,
         Puisqu’elle est un bâton merdeux.

La civiltà belga

Sarebbe ovviamente sciocco dare troppo credito al Baudelaire frustrato, ma al contempo ben divertito, degli scritti belgi.

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Minatori belgi nel 1900

Molti problemi da lui descritti nel resto dei componimenti della raccolta, come l’alcolismo e la mancanza d’igiene, sono stati delle piaghe di cui ha sofferto la classe operaia europea a partire della seconda metà dell’Ottocento, ed in particolare quella sottocategoria particolarmente miserabile che era quella dell’operaio in miniera, un lavoratore senza garanzie, con salario al limite della sopravvivenza, e spesso affiancato dal figlioletto negli stretti cunicoli sotterranei.

Si tratta di una situazione condivisa anche dalla Francia all’epoca, e in particolare nella zona del Nord-Passo di Calais, e di cui si può trovare un ampio riscontro in Germinal di Zola, pubblicato solo pochi decenni dopo.

Quanto all’opinione generale che Baudelaire sembra avere dei belgi, questa sembra esser diventata un luogo comune abbastanza fortunato, tant’è vero che sussiste ancora oggi in alcune tracce dell’umorismo popolare transalpino – ci basti sapere che tutto viene smentito dai fatti, ovvero la forte emigrazione francese che attualmente trova nel Belgio una destinazione privilegiata.

Secondo alcune fonti, il numero di francesi residenti in Belgio è aumentato del 35% dal 2007 al 2012, toccando in quell’anno la cifra di 110.000 anime (sugli 11 milioni d iabitanti in totale), senza contare il nutrito numero di quanti dalla Francia scelgono di stabilirsi temporaneamente nel paese per studiare e cercare lavoro.

Quanto alla situazione politica, come si è accennato, nel 1830 il Belgio accese più focolai rivoluzionari per ottenere l’indipendenza dal regime di Guglielmo I dei Paesi Bassi. La prima rivolta, a Bruxelles, ha luogo in seguito alla rappresentazione dell’opera patriottica di La muta di Portici, di Auber e Scribe.

La corona olandese interviene in forze attaccando in particolare Bruxelles e Anversa, ma già alla fine dell’ottobre del 1830, grazie al carisma di personalità come Charles Rogier, una milizia popolare composta di borghesi, operai, contadini e perfino ex ufficiali riesce a scacciare le truppe olandesi.

Nell’anno successivo, Leopoldo I, re dei Belgi, giura di servire il paese sotto la Costituzione. Nei decenni successivi, quindi il Belgio godeva una situazione di pace e stabilità, insieme alla volontà di evitare ogni conflitto (in quegli anni, le guerre d’indipendenza italiane, la Guerra di Crimea nel 1853 e la seconda guerra dello Schleswig proprio nel 1864).

Dunque il Belgio diventa in quegli anni un paese pienamente moderno ed europeo, prima ancora di conoscere i fasti dovuti allo sfruttamento coloniale e minerario; di questo Baudelaire sembra essere consapevole, insieme alla certezza del fatto che essere civili in senso europeo comporta anche una serie di lati negativi, come scrive in La Civilisation belge:

Le Belge est très civilisé ;
Il est voleur, il est rusé ;
Il est parfois syphilisé ;
Il est donc très civilisé.

Daniele Laino

1. Baudelaire C., Les Fleurs du mal, GF, p. 362.
Sitografia:
http://www.histoire-des-belges.be/les-belges-leur-histoire