Prima di essere ricordate e riconosciute come autrici di talento al pari degli uomini, le donne hanno subito la sorte (a volte triste, a volte privilegiata) di essere elevate al rango di “muse”, osservate e scrutate dagli occhi di poeti che, con molta probabilità, poco avevano a che fare con l’intricato universo femminile.
Anche la poesia di Salvatore Di Giacomo si inserisce in questo turbinio di molteplicità femminile. Nei suoi versi le donne hanno mille volti, immerse nel colore, nella melodia e nell’azione scenica, che caratterizzano le liriche dell’autore.
Una, nessuna, centomila donne: ritratti di fantasia


Salvatore di Giacomo non dovette godere di una fama da Don Giovanni. L’amore bussa alla sua porta all’età di quarantacinque anni, quando entra come bibliotecario all’università e conosce, nel 1905, Elisa Avigliano, una studentessa di quasi vent’anni più giovane. Elisa Avigliano sta preparando la sua tesi di laurea proprio sulla poesia del poeta napoletano. Una storia d’amore romantica e tortuosa, che si corona con le nozze nel 1916, soltanto dopo la morte della madre del poeta. Eppure, l’arte narrativa e drammatica che coinvolge molta parte dei versi di Di Giacomo pullula di storie di donne: dalle vittime della malavita, agli intrecci di amore e gelosia, alla patetica ninna nanna della donna abbandonata; racconti in versetti, in cui la passione è una scura tempesta che spinge a gesti disperati. Donne reali, fatte di carne e sentimenti, con una propria vicenda da raccontare.
Tuttavia, le numerose amanti di Di Giacomo sono un veicolo attraverso il quale il poeta offre i suoi sentimenti al mondo: l’amore è “una figurazione di amor popolare”, rappresentato nei suoi molteplici aspetti umani. Come le sue donne, anche il poeta è molti uomini: ora è il girovago che a comprando i capelli, ora è Don Enrico, che impazzisce d’amore, abbandonato e tradito; lo scorgiamo, poi, nei panni di un venditore di ciliegie mentre si rivolge ad una donna, un’altra tra le tante della sua storia d’amore e di poesia.
Il realismo di Salvatore Di Giacomo filtra attraverso la fantasia dei volti che affollano i suoi versi: è un canto fiabesco quello di Donn’Amalia ’a Speranzella, nel quale la donna è colta nell’atto di friggere le frittelle e l’osservatore la ammira desideroso della sua bellezza. Le donne amate scivolano nella memoria del poeta in Suonno ’e na notte ’e vierno, le quali fuggono come ombre in un incubo che, a poco a poco, trasforma le donne terrestri nella Morte: Nunziatella, Rosa, Teresina, Adela, Margarita, Carulina, Giulia, Briggeta, Rafela, fino all’ultimo volto di donna coperto da un velo:
Nun te saccio!… – Te saccio io!
Fatte ccà!… Strigneme forte!…
Nnammurato bello mio!
Viene! Viene! Io songo ’a Morte!
Donna e maggio diventano un binomio perfetto nei versi del poeta in Na tavernella: la visione avviene in una trattoria campestre napoletana, e gli innamorati vengono colti in gesti che esprimono armonia e memoria. Ha la figura di donna anche Marzo: il poeta ci presenta il ritratto di una donna, Catarì, e del suo essere volubile attraverso la metafora del mese di marzo, mese della pioggia ma anche del sole, un mese nel quale c’è il profumo della primavera ma anche un po’ di inverno. Aurora ’int’ ’o specchio instaura un rapporto tra la donna e la primavera, viste entro uno specchio che ha mutato le immagini in sentimenti primitivi. Nannina è il ritratto di una donna appassionata, nei cui versi il desiderio del poeta si manifesta attraverso l’immagine degli occhi «de suonno, nire, appassiunate» che lo hanno fatto soffrire. Donne che provocano dolore e turbamento, come Carmela, ormai sposata, che sembra aver dimenticato il primo amore, raccontato in un crescendo di ricordi e gesti:
Ma da me primma Carmela ha sentuto
Lu primmo trascurzetto nzuccarato:
primm’ a me, primm’ a me mpietto ha strignuto!
Amore e gelosia hanno la voce di una donna in Tarantella scura, nella quale i versi cantano sottovoce una vicenda di vita e di sangue:
Chi sa qua’ vota fenarrà stu fatto
Ca i’ cado nsanguinata nnanz’ a te!…
Di Giacomo in Femmene, Femmene non addolcisce la pillola nel delineare un ritratto di donne perdute, che come gatte ammaliano e poi graffiano e fanno disperare:
Femmene? Tutte pèsseme!
Femmene? Tutte nfame!
E chesta nun è chiacchiera,
ma è pura verità.
La varietà delle donne di Di Giacomo riflette l’umanità del sentimento amoroso, che si rivela inquieto, instabile, a tratti doloroso. L’amore è intenso, melanconico, perduto nei suoi mille aspetti della quotidianità; questo amore di Salvatore per Carmela, Emilia, Carolina, è l’amore umano umile e sublime. Queste donne non sono che l’oggettivazione incosciente di un più complesso ed elevato desiderio. Il poeta concentra nella moltitudine delle figure femminili l’essenza dell’umanità, il bisogno di trovare conforto nell’altro e di non sentirsi solo. Accanto alla donna Di Giacomo si apre a riflessioni filosofiche sul mondo, in quanto insieme alle sue donne egli si sente voce del mondo.
Giovannina Molaro
Bibliografia:
S. Di Giacomo, Le poesie e le novelle, a cura di F. Flora e M. Vinciguerra, Arnoldo Mondadori Editore, 1971