Narciso ed Eco: la fatale scoperta del Sé

Il mito di Narciso è tra i più famosi ed emblematici del mondo antico, che ha avuto una larga diffusione nella modernità, dalla letteratura alla pittura, fino a penetrare nel mondo della psichiatria per interpretare alcuni disturbi della personalità.

Compito del mito è spiegare ogni fenomeno della vita sulla base di parametri logici, cosicché l’individuo, attraverso l’interpretazione dei suoi simboli, sia in grado di trovare una propria collocazione nel mondo. La vicenda di Narciso assurge pienamente a questo scopo: il suo destino è quello di raggiungere la coscienza di sé, un riflesso nel quale annega rovinosamente.

Il mito di Narciso: un’interpretazione moderna

Secondo la tradizione, egli era figlio del dio del fiume Cefisio e della ninfa Liriope, che, circondata in un’ansa d’acqua, fu violentata dal dio e ne rimase incinta. Dal libro III delle Metamorfosi di Ovidio leggiamo che Liriope si recò dall’indovino Tiresia per conoscere le sorti del figlio:

Interrogato se il piccolo avrebbe visto
i giorni lontani di una tarda vecchiaia, l’indovino
aveva risposto: “Se non conoscerà sé stesso”.
A lungo la predizione sembrò priva di senso, ma poi l’esito
delle cose, il tipo di morte e la strana follia la confermarono.

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L’indovino Tiresia e Narciso bambino, Giulio Carpioni, 1670 – 75, Besancon, Musée des Beaux Arts et d’Archéologie

Il Fato sembra aver deciso le sorti del bellissimo fanciullo. All’età di sedici anni, egli era già l’oggetto del desiderio di molte donne e uomini, ma la sua tenebrosa superbia gli impedisce di amare ed essere amato a sua volta. A questo punto la vicenda si intreccia con le sorti di un’altra figura simbolica della mitologia: mentre Narciso cacciava i cervi nel bosco, fu notato dalla ninfa canora Eco, punita dalla dea Era a ripetere le ultime parole che le venivano rivolte, per aver aiutato Zeus a nascondere i suoi intrighi amorosi.

La ninfa si innamorò di Narciso “come lo zolfo che, spalmato in cima ad una fiaccola, in un attimo divampa se si accosta alla fiamma”. La tenera bellezza di Narciso fu per Eco l’inizio del suo declino: respinta, la ninfa si ritirò nei boschi coprendosi il volto di foglie per la vergogna e da allora visse in antri sperduti, consumandosi per il dolore fino a che la sua voce divenne aria e le sue ossa mutarono in pietra.

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John William Waterhouse, Eco e Narciso (1903), Walker Art Gallery, Liverpool

Così Narciso si fece beffa di Eco e di molte altre ninfe, ma Amore non gli concesse più tale potere e inviò Nemesi a vendicarsi: lo destinò ad innamorarsi senza poter possedere l’oggetto del suo amoreOvidio scrive che Narciso, spossato dalle fatiche e dalla caccia, prese sollievo presso una fonte e, vedendo riflessa un’immagine di straordinaria perfezione, se ne innamora:

Desidera, ignorandolo, sé stesso, amante e oggetto amato,
mentre brama, si brama, e insieme accende ed arde.
Quante volte lancia inutili baci alla finzione della fonte!
Quante volte immerge in acqua le braccia per gettarle
intorno al collo che vede e che in acqua non si afferra!
Ignora ciò che vede, ma quel che vede l’infiamma
e proprio l’illusione che l’inganna eccita i suoi occhi.

Il riflesso è l’immagine fuggevole di se stesso, che Narciso è costretto ad amare ardentemente, fino all’amara scoperta di sé nell’epilogo della vicenda, che si conclude con la realizzazione della triste profezia. Egli tenta di afferrare un fantasma, un riflesso che non è se stesso, consumandosi nel desiderio inconsolabile della passione.

Cala il sipario sulla tragica vicenda di Narciso e unica spettatrice della sua follia è Eco:

Le ultime sue parole, mentre fissava l’acqua una volta ancora,
furono: “Ahimè, fanciullo amato invano”, e le stesse parole
gli rimandò il luogo; e quando disse ‘Addio’, Eco ‘Addio’ disse.
Poi reclinò il suo capo stanco sull’erba verde e la morte chiuse
quegli occhi incantati sulle fattezze del loro padrone.

Si dice che, neanche quando fu accolto negli Inferi smise di contemplarsi nelle acque dello Stige, e le Naiadi, quando giunsero a prendere il corpo per destinarlo al rogo, vi trovarono al suo posto un fiore, giallo nel mezzo e circondato di petali bianchi.

L’interpretazione più comune del mito ci insegna che, amare se stessi oltre misura conduce all’isolamento dal mondo esterno, rifiutando ogni rapporto che non rispecchi la percezione che si ha del proprio essere. In questa chiave di lettura, egli sembrerebbe incarnare l’atteggiamento di colui che, ammirando “patologicamente” se stesso, è costretto ad un perenne senso di insoddisfazione.

La morte di Narciso, annegato nel lago dei suoi desideri, è il regolamento dei conti da parte della Natura, che ha generato le sue creature perché si amino, continuando la specie. Invece, egli ripiega in se stesso le leggi naturali, impedendo il normale corso dell’esistenza. L’amor proprio diventa un’arma a doppio taglio: Narciso eccede nell’amare se stesso, viceversa Eco non esiste senza che il suo sentimento sia corrisposto.

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Caravaggio, Narciso, 1597-99. Un momento prima di riconoscere il proprio riflesso.

Così come Dorian Gray, il quale assiste all’avvizzimento della sua anima nella forma corrotta di un dipinto che è il suo riflesso perfetto, Narciso scorge la sua immagine nello specchio d’acqua, con un conseguente ritiro del sé, fino alla distruzione del suo Essere: il suo corpo si dissolve e l’unica traccia che vi resta è un fiore, che sopravvive grazie a quella stessa fonte.

Conosci te stesso: l’incomunicabilità

Questo mito rappresenta, nelle parole di Tiresia, il rovesciamento del monito delfico “conosci te stesso”: nel momento in cui il protagonista scopre che quel riflesso non è altri se non se stesso (ma diverso da sé) muore. Tuttavia, l’analisi dei simboli che caratterizzano la vicenda permettono di azzardare una diversa conclusione.

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Conosci te stesso

Come sappiamo, la natura del giovane è strettamente connessa all’elemento acqua: egli è figlio di un dio fluviale. L’atto di specchiarsi nel lago potrebbe alludere alla volontà dell’Io di conoscere e comprende la vera origine di sé; come se nell’acqua Narciso avesse riconosciuto la propria identità, potendo, in questo modo, accedere ad una dimensione che lo liberi dalla forma attribuitagli dagli altri.

La morte di Narciso non ha determinato la sua completa dissolvenza dal mondo. D’altronde, la metafora dello specchio suggerisce la possibilità di vedere in esso non solo ciò che appare, ma anche ciò che vi è oltre.

L’incomunicabilità tra il sé e l’io attribuitogli dal mondo si realizza nel rifiuto iniziale da parte di Narciso di riconoscersi, amando quella figura riflessa come se appartenesse a qualcun altro diverso da se stesso. Questo tema è fortemente radicato nel mito: Eco e Narciso rappresentano proprio l’incapacità di comunicare, in quanto la ninfa può esprimersi solo in riflesso delle parole del giovane. Dunque l’una è il riflesso speculare dell’altro e ciò sembra condurre allo stato di incomunicabilità.

Il narciso nella simbologia

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Fiore di narciso

Per gli antichi Romani, il narciso era un fiore accostato all’aldilà, diffondendo l’usanza di piantare i narcisi sulle tombe dei defunti. I druidi, i sacerdoti degli antichi Celti, associavano ai narcisi il simbolo della purezza. Tuttavia, una leggenda vuole che questi fiori avessero il potere di assorbire i pensieri negativi e malvagi degli esseri umani e per questo fossero diventati velenosi.

In Cina il fiore è simbolo di fortuna e prosperità per l’anno nuovo, poiché la sua fioritura corrisponde proprio al periodo del Capodanno cinese. Nel Galles viene chiamato “giglio di quaresima“, poiché lì fiorisce proprio in questo periodo. È usanza indossarlo appuntato alla giacca il 1 marzo, giorno di San Davide di Menevia e si crede che una sua fioritura precoce porti un’annata piena di prosperità.

Giovannina Molaro

Bibliografia:

Le metamorfosi, Publio Ovidio Nasone, Newton Compton Editori, 2013

Sitografia:

http://www.psichiatrianapoli.it/articoli/92-miti-fiabe-e-leggende/94-il-mito-di-narciso-identita-senza-alterita.html

http://www.elicriso.it/it/mitologia_ambiente/narciso/