Quaresima: l’Irpinia e la tradizione della “Caraesema”

Quaresima deriva etimologicamente dal tardo latino: “quadragesima dies” ovvero “quarantesimo giorno” prima di Pasqua.

Periodo che, secondo calendario cristiano, segue il Carnevale partendo dal mercoledì delle Ceneri fino al giovedì Santo, esso rievoca e contempla i 40 giorni e le 40 notti di Cristo in penitenza e preghiera nel deserto.

In molte zone dell’Italia meridionale, durante questo tempo quaresimale, si assiste a diverse tradizioni pagane che s’intrecciano e si fondono con il culto sacro ufficiale, tra queste vi è appunto quella della cd. “Caraesema” irpina, definita anche “Quaraesema”, “Quarantana”, “Quaremma” a seconda della località specifica in cui ci troviamo.

La “Caraesema” si riassume essenzialmente in una sorta di rappresentazione folkloristica della Quaresima, incarnata grossomodo da una bambolina di pezza con delle penne di volatile che viene esposta sulla balconata di casa. Un’usanza antica carica di significato, che è sempre più rara e desueta trovare oggi ma, non impossibile!

A tal proposito, basti pensare ai paesi della provincia di Avellino come Calitri, Teora, Gesualdo, Morra, Guardia o l’esempio di Fontanarosa dove l’immancabile “Caraesema di Fonzina”, in Piazza Cristo Re, è divenuta negli anni mito indelebile di una remota tradizione che si rinnova puntuale.

Quaresima: cenni storici e simbolici

Quaresima
Quaresima

Il rito della Quaresima risale al II secolo d. C. e, inizialmente, durava solo sette giorni di digiuno, durante i quali era proibito mangiare carne, latte e uova, ed era d’obbligo rispettare un regime di moderazione votato al ritiro spirituale e alla purificazione di anima e corpo fino alla Pasqua.

Solo nel IV secolo d. C. il tempo quaresimale venne esteso a 40 giorni e prevedeva, così come oggi, la regola di consumare un solo pasto il mercoledì e il venerdì  senza “cammerare” (evitare carne).

Il 40 nella numerologia cristiana è molto ricorrente e, oltre a fare riferimento ai 40 giorni di Gesù nel deserto, rimanda anche ai 40 giorni trascorsi con i discepoli dopo la Resurrezione, ai giorni del Diluvio Universale, a quelli trascorsi da Mosè sul monte Sinai, agli anni impiegati dal popolo ebraico per raggiungere la Terra Promessa, i 40 giorni che Dio avrebbe concesso a Ninive prima di raderla al suolo, le 40 frustate durante la flagellazione e 40 le ore tra la Morte e Resurrezione del Cristo Crocefisso. E’ il tempo delle rinunce, delle prove, della riflessione e della catarsi.

Quaresima: l’Irpinia “appenn’ la Caraesema”

Quaresima
Caraesema

 

Caraesema secca secca mangia pane e fico secca”.

Nel panorama popolare campano e, nella fattispecie, irpino, la “Caraesema” è una tipica bambola di pezza fatta a mano, vestita di nero, che ha l’aspetto di una vecchietta smunta, magra, simile ad una Befana in miniatura, la quale incarna la Quaresima e, come recita il detto popolare su citato: “si accontenta di mangiare pane e fichi secchi”.

Alla base di questa sorta di pigotta vi è un arancio o una patata con sette piume di gallina inserite all’interno che simboleggiano le 5 domeniche di Quaresima e, in aggiunta, la domenica delle Palme e quella di Pasqua che vengono detratte volta per volta scandendo le varie fasi di preludio alla festa solenne. Solitamente, la piuma dedicata alla domenica di Risurrezione è di colore bianco, mentre le altre sono nere.

Leggenda vuole che Caraesema fosse un’elemosinante a cui, un giorno, una donna offrì del baccalà che avrebbe mangiato crudo tanto era affamata. Da qui ne sarebbe derivata la tradizione che, però, storicamente affonda le radici nel più lontano Medioevo, quando Quaresima, sotto forma di perfida vecchiaccia, veniva bruciata e attraverso le ceneri si prevedeva la sorte dei raccolti.

Detta anche pupattola-quaremma in alcuni paesi, essa conserva  una forte componente scaramantica e rimanda inevitabilmente alle esecuzioni di streghe impiccate o mandate al rogo ai tempi dell’Inquisizione. Un modo allegorico per spergiurare povertà, sciagura e miseria. Spesso  può anche essere rappresentata con un fuso in mano che richiama il mito delle Parche pronte a recidere il filo della vita.

Questo fantoccio, nel giorno delle Ceneri, viene appeso a balconi, porte o finestre e lasciato sospeso a personificare la carestia e le privazioni che l’usanza e la liturgia prevedono. Metafora palese di un ciclo che finisce per lasciar posto al nuovo. Un delicato momento di passaggio dalle ombre alla luce.

Oggi è molto raro vedere in giro una “Caraesema” ma, nelle piccole realtà di provincia e nei borghi come quelli della verde Irpinia è ancora possibile imbattersi in questo uso di origine pagana strettamente legato ad un’atavica cultura contadina. Tracce di un passato che non si arrende. La forza di una tradizione che continua a vivere appesa ad un filo.

Pasqualina Giusto