Storia del Cinema di Hollywood

La soggettiva: definizione ed evoluzione storica

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La visione de Il Gattopardo, il meraviglioso film del 1963 diretto da Luchino Visconti (tratto dall’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa), è (forse) l’unico modo possibile per introdursi alla questione riguardante la scelta, da parte del regista, del punto di vista narrativo. Il Gattopardo, infatti, oltre a rappresentare un punto di fondamentale importanza nel percorso svolto da Visconti nel panorama politico-sociale, è un magistrale esempio di come un buon regista può darci la possibilità di calarci nei panni di un personaggio, di vedere le cose attraverso i suoi occhi (che diventano i nostri) attraverso la soggettiva.

Il film comincia con dei lenti movimenti di macchina (si utilizza il dolly e il carrello) attraverso i quali l’occhio del regista riesce a insinuarsi dentro una realtà all’inizio impenetrabile e riesce a raccontarci la visione marxista del Risorgimento. Si intuisce già dalle statue scrostate e decadenti la prossimità della fine della supremazia della classe dei nobili.

Noi, da spettatori, guarderemo gli eventi attraverso gli occhi del Principe di Salina: «come in un inedito allineamento planetario, i tre sguardi sul mondo in trapasso: del personaggio, dell’opera letteraria, del testo filmico che la visualizza»1.

Definizione tecnica di soggettiva

A questo punto, possiamo dare una definizione precisa (e tecnica): la soggettiva è una composizione visiva in cui lo spettatore vede quello che vede il personaggio.

In questo modo, lo spettatore tende a credere di avere una visione dei fatti narrati aderente alla realtà.

In realtà, la soggettiva, è legata alla visione di un personaggio (si perde l’oggettività di uno sguardo esterno e molteplice) ed ha una credibilità momentanea.

Questa tecnica può articolarsi in due inquadrature (l’inquadratura del personaggio che guarda seguita o preceduta dall’inquadratura di ciò che il personaggio sta guardando) oppure può essere costituita da una sola inquadratura (gli indizi della visione soggettiva, solitamente, sono interni all’immagine: il tremolio dell’inquadratura, un rumore fuori campo di un respiro o di un battito cardiaco…).

Dalla soggettiva si distingue la semi-soggettiva (o visione con), nella quale non vediamo dagli occhi del personaggio ma nella stessa inquadratura è visibile sia il personaggio guardante (o una parte di esso: la nuca, la spalla…) che l’oggetto guardato.

Possiamo riportare il classico esempio di soggettiva spesso utilizzata da Dario Argento: un movimento brusco accompagnato da un respiro affannoso; un assassino ancora ignoto.

Oppure, il regista può utilizzare un semplice mascherino (circolare o binoculare) o una ciocca di capelli che copre parzialmente l’obiettivo per fare in modo che quello che viene trasmesso sullo schermo appare visto da qualcuno appartenente alla narrazione stessa.

Questi, sono tutti elementi che lo spettatore è in grado di riconoscere autonomamente. In una soggettiva, lo spettatore sovrappone il proprio sguardo a quello di qualcun altro, a quello di qualcuno che vive realmente quella scena (e lo spettatore, attraverso questa sovrapposizione, vive egli stesso quegli eventi; con la stessa intensità). Ma ciò che fa della soggettiva una tecnica preziosa e affascinante anche dal punto di vista teorico-filosofico è la sua capacità di raccogliere tutti i punti di vista della molteplicità degli spettatori e di farli confluire nell’unicità dello sguardo del personaggio. Una molteplicità che diviene unità.

Evoluzione storica della soggettiva

Nel cinema degli inizi, le forme di rappresentazione dello sguardo non hanno l’aspetto (e il significato) che ha oggi la soggettiva: non avevano nulla a che fare con la soggettività dei personaggi. Era, piuttosto, lo sguardo dello spettatore.

Il primo caso di soggettiva è stato realizzato in Gran Bretagna, da George Alber Smith nel 1900: Grandma’s reading glass.

Dal 1900 al 1906 si moltiplicano i casi di soggettiva, ma, confrontate con una soggettiva odierna, vengono alla luce molteplici differenze.

In una soggettiva vera e propria gli oggetti vengono inquadrati seguendo una precisa regolamentazione geometrica. In Grandma’s reading glass, invece, gli oggetti osservati oltre la lente non sono posti nella prospettiva da cui il protagonista li osserva. Inoltre, il piano narrativo non viene considerato di fondamentale importanza e principalmente ci si concentra sulla spettacolarità dell’immagine.

Con l’evoluzione e la maturità del cinema, si passa dalla spettacolarità alla narrazione e, assieme ad esso, cambia anche il significato e la funzione spettante alla soggettiva. Tuttavia, l’evoluzione di questa tecnica si dispiega in due percorsi: uno principalmente narrativo (ad Hollywood) e un altro più sperimentale e visionario (in Europa). Il primo utilizza la soggettiva come un raccordo sullo sguardo, un montaggio lineare di fondamentale importanza nel cinema classico (di cui il maestro indiscusso è Hitchcock).

Il secondo percorso utilizza la soggettiva come uno strumento quasi del tutto votato alla suggestione. Per tutti gli anni Venti, con le avanguardie cinematografiche, si mettono in scena visioni utilizzando soggettive fatte di sfocature, distorsioni e movimenti irregolari.

Il confine tra i due percorsi, tuttavia, non è netto: sono tante le soggettive che si pongono in una zona a cavallo tra audacia visionaria e linearità narrativa. Ciò che ne perviene è che (ormai) nessuno strumento sarà in grado di darci uno sguardo oggettivo sugli eventi, nessuna visione totale sarà più garantita e, la stessa visione parziale, non ha più dei confini netti.

Cira Pinto

Bibliografia e sitografia:

G. Grignaffini, Sapere e teorie del cinema.

P. Bertetto, Introduzione alla storia del cinema.

– Ch. Metz, L’énonciation impersonnelle ou le site du film.

– M. Merleau-Ponty, Le cinéma et la nouvelle psychologie.

– E. Dagrada, La rappresentazione dello sguardo nel cinema delle origini in Europa. Nascita della soggettiva.

– Per un’analisi delle “10 imprescindibili soggettive della storia del cinema” si rimanda alla lettura dell’articolo scritto da Rosario Gallone per Pigrecoemme.

[1] Luciano De Giusti, La transizione di Visconti.

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Cira Pinto

Cira Pinto, nata a Torre del Greco l'8 dicembre del 1990. Cresciuta tra le videocassette Disney e le ginestre che tanto hanno ispirato Leopardi, decide il suo futuro accademico guardando ''Biancaneve e i sette nani''. Laureata al corso di laurea magistrale in Filosofia presso l'Università di Napoli Federico II con una tesi in Filosofia Morale dal titolo ''Il cinema come arte del tempo. l'analisi deleuziana, tra classicità e modernità''. Ha frequentato il corso di Analisi e critica cinematografica e quello di Sceneggiatura alla scuola di cinema, televisione e fotografia Pigrecoemme. Collabora con LaCOOLtura da gennaio 2015.

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