Achille: l’ira funesta del valoroso Pelìde

Cantami, o Diva, del Pelìde Achille

l’ira funesta che infiniti addusse

lutti agli Achei, molte anzi tempo all’Orco

generose travolse alme d’eroi,

e di cani e d’augelli orrido pasto

lor salme abbandonò (così di Giove

l’alto consiglio s’adempìa), da quando

primamente disgiunse aspra contesa

il re de’ prodi Atride e il divo Achille.

Che il destino si compia inesorabile: sfida all’ira di Apollo…

Achille
L’ira funesta del Pelìde Achille

Achille, semidio tra gli uomini

Achille, figlio del mortale Peleo, re di Fidia, e di Teti, la Nereide discendente da Oceano, noto anche come “pié veloce o pié rapido”, fu uno dei più valorosi combattenti della mitologia greca e uno dei leggendari eroi della guerra di Troia. Di lui, Omero, il padre dell’epos greca, scrisse il più grandioso poema epico, l’Iliade.

«La poesia viva, quella che dà vita a tutto ciò che tocca, è di tutti i tempi e di tutti i paesi, e per questa qualità divina il poeta più moderno di tutti i tempi è Omero». (Mario Rapisardi)

Il mito dell’eroe Achille ha, dunque, origini antichissime. La sua figura, diventata mitologica, è stata protagonista di altre leggende e storie discordanti di poeti, che hanno contribuito a diffonderne la fama fino all’epoca romana attraverso la poesia, la tragedia e la letteratura dell’antichità classica.

Si racconta che Achille fosse per natali semidio: la madre, quindi, che voleva renderlo immortale, lo immerse per tre volte nelle acque sacre del fiume Stige tenendolo per un tallone, ma l’intervento del padre impedì alla ninfa di completare interamente l’operazione di divinazione; così il piccolo Pelìde aveva una parte vulnerabile del suo corpo: il tallone.

Crebbe forte e valoroso, impetuoso e ribelle ai voleri del padre, semidio costretto a vivere tra i mortali, lontano dall’Olimpo, regno degli dei a cui apparteneva per discendenza materna. Maturò nell’idea che l‘arte della guerra rendeva immortale la gloria dell’uomo. Fu in tutti i luoghi e le civiltà dell’antichità conosciuto come il più temibile ed imbattibile Guerriero della Grecia, principe dei Mirmìdoni.

Un giorno accadde che l’antico oracolo profetizzò a Teti che il suo figlio prediletto avrebbe partecipato alla terribile distruzione di Ilio, guerra leggendaria dalla quale non avrebbe fatto ritorno. La ninfa allora consigliò al giovane di trovare rifugio presso la corte di Licomede, re di Sciro. Ma indotti dai presagi dell’indovino Calcante, secondo il quale la città di Troia non sarebbe stata sconfitta senza il figlio di Peleo, i Greci cercarono Achille dopo averne scoperto il rifugio.

Quando, però, Teti supplicò il Fato, rivolgendosi al divino padre affinché mutasse la tragica fine del potente guerriero Mirmìdone, le venne proposta una doppia alternativa per il figlio: una vita lunga ma anonima oppure una breve con esito tragico ma di immortale gloria nei tempi; fu proprio Achille che scelse il compimento del suo destino.

La guerra di Troia e la leggenda di Achille

La guerra, della quale si sarebbe parlato per oltre mille anni, venne combattuta dai nobili greci, detti Achei, Agamennome re di Argo e Menelao re di Sparta, e i nobili dinasti di Troia, i Micenei, re Priamo e i suoi figli, Ettore e Paride. Le ragioni, che secondo la storia portarono allo scoppio della guerra, erano legate a problemi e accordi di supremazia politica ed economica.

La leggenda invece narra di una donna bellissima, Elena, moglie di Menelao, che conquistò il cuore del giovane e sconsiderato Paride, principe di Troia. Il figlio di re Priamo si innamorò della bella donna e la rapì, portandola alla corte di Ilio, rompendo in questo modo qualsiasi accordo di pace faticosamente raggiunto con gli Achei di Sparta.

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La guerra di Troia: Achille e i greci

Achille, come già ricordato, nonostante fosse consapevole del suo destino, partì per la lunga guerra di Troia, assedio che durò molti anni. Per due lustri i greci attaccarono le mura nemiche e per dieci anni furono respinti dai troiani. La fedeltà che il valoroso Achille doveva garantire ad Agamennone, il più potente re delle poleis greche, era basata su un rapporto di continua ostilità, in quanto il re di Argo non  riconosceva la potenza e l’invincibilità dell’eroe acheo.

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Teti aiuta Achille

I contrasti aumentarono quando Agamennone ricevette come bottino di una spedizione portata vittoriosamente a termine da Achille e si impossessò della schiava Criseide. Apollo così inflisse una dura punizione sull’accampamento greco: si abbatté una pestilenza che sarebbe durata fino a quando la schiava Criseide non sarebbe stata liberata e salvata. Achille avrebbe voluto liberarla ma incontrò il diniego del re. In seguito Criseide venne restituita, l’accampamento salvato dalla pestilenza ma Agamennone si vendicò sul Pelìde rapendo Briseide, donna amata dal semidio.

La leggenda racconta ancora di come Agamennone aveva cercato il rispetto di Achille, restituendogli la donna, e di come il valoroso guerriero aveva deciso di rinunciare al combattimento e di ritornare in Grecia: non era la sua guerra. I greci senza Achille si sentirono persi e senza guida. Sul campo di battaglia tuttavia le sorti del combattimento stavano per cambiare, quando Ettore uccise Achille sconvolgendo gli uomini di entrambi gli eserciti. Si scoprì poi che non si trattava del Pelìde ma del giovane Patroclo, protetto e discepolo del figlio di Teti. Il giovanissimo greco aveva sottratto di nascosto l’armatura all’eroe acheo ed era sceso in guerra a capo dei greci.

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Alla tragica notizia Achille impallidì dal dolore, fece pace con Agamennone e la sua vendetta fu terribile. Omero racconta che la furia di Achille fu senza precedenti e tornò a combattere con il solo intento di vendicare la morte dell’amico Patroclo. Dopo una lunga battaglia uccise Ettore e spietatamente legò il suo cadavere ad un carro da guerra e lo trascinò intorno alle mura di Troia, davanti agli occhi disperati del padre Priamo: la sua vendetta si era conclusa.

Il comportamento dell’eroe indignò gli dei protettori di Troia che, tramite Zeus, intervennero nelle questioni degli uomini e fecero in modo che Priamo si recasse dal nemico per inchinarsi ai suoi piedi e pregarlo di restituirgli il corpo del figlio Ettore.

La lotta continuò stroncando ancora molte vite e molti valorosi guerrieri da entrambe le parti, finché  durante l’assedio finale alla città di Troia, abbattuta mediante lo stratagemma del Cavallo di legno ordito dall’astuto Ulisse di Itaca, Achille venne colpito da Paride con una freccia che perforò proprio il tallone dell’eroe, l’unica parte vulnerabile del suo corpo che lo rendeva mortale.

Tra le fiamme della città distrutta ed invasa, quasi a compimento della guerra più sanguinosa e disastrosa che l’epica antica abbia mai raccontato, l’invincibile Achille riversò in terra e cadde, morendo proprio come tutti i guerrieri che aveva comandato e condotto a Troia. La sua morte fu un duro colpo per i greci ma la sua storia divenne leggenda, abbracciando quella gloria eterna che il semidio aveva inseguito per tutta la vita.

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Troy (2004) – Achille verso la gloria

“Gli dei ci invidiano soltanto un dono che non hanno: la morte; è proprio il nostro essere mortale che tanto bramano…”

Valentina Labattaglia

Bibliografia:

Angelo Cerinotti, Atlante dei MITI dell’antica Grecia e di Roma antica, Edizione Il Sapere