Il piccolo principe (il film): tra premesse e conclusioni

Il piccolo principe, pellicola presentata fuori concorso al Festival di Cannes 2015, è il nuovo adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Antoine de Saint-Exupéry: una delle opere letterarie più famose e tra le più tradotte al mondo (circa 253 tra lingue e dialetti).

Per mettere in scena una favola che continua a far emozionare generazioni di lettori di ogni età e provenienza ci si è muniti di una troupe d’eccezione che coinvolge Disney, Pixar e Dreamworks e di un cast di doppiatori originali pluripremiati [1]. L’accento è posto anche sulla colonna sonora, delicata ma coinvolgente, composta da musiche originali dirette da Richard Harvey e da Hans Zimmer ma è presente anche la cover [2] di Somewhere Only We Know realizzata nel 2013 da Lily Allen.

È evidente e prevedibile l’obiettivo di voler abbracciare ed emozionare generazioni diverse inserendo la storia originaria (per la quale si utilizza la tecnica dello stop-motion per animare gli sfavillanti e colorati disegni che ben tutti conosciamo) in una cornice dal sapore moderno (per la quale invece si opta per un ormai canonico disegno tridimensionale con una cromatismo spento e dominato dal grigio): è la storia di Prodigy, una bambina che già dal nome appare destinata a dover forzatamente essere meglio degli altri. Prodigy deve crescere in fretta e bene, ha solo il tempo delle vacanze estive per farlo, al termine delle quali deve riuscire ad entrare in una scuola prestigiosa che farà in modo che essa sia inquadrata ed essenziale.

Geometricamente angosciante e claustrofobica ma indicativa è la scena iniziale, nella quale si passa con uno zoom da un campo lunghissimo dall’alto (nella quale si nota una determinata geometria degli spazi e quindi della vita) a un campo medio sulle due protagoniste in ansia per il colloquio.

il piccolo principe


Ma la preparazione e la determinazione non bastano per affrontare gli imprevisti (che Prodigy avrebbe saputo affrontare se non avesse cominciato ad avere anche lei una mente troppo vincolata all’essenzialità), comincia a crollare la sicurezza della protagonista nei confronti del metodo e quando incontrerà l’Aviatore avrà la rivelazione: sono gli adulti ad essere strani, sono gli adulti quelli che danno importanza alle cose sbagliate, a delle cose, appunto.

«Madre: – Sei anche riuscita a mentire al tuo programma di vita! Prodigy: – Quello? È solo una lavagna con delle calamite!»

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In realtà l’essenziale è invisibile agli occhi, come le stelle con cui la bambina aveva decorato la camera: solo lei, ancora (grazie all’Aviatore) capace di immaginazione e di meraviglia, avrebbe potuto vederle e lasciarsi cullare da esse.

Diventa inevitabile il momento della ribellione, Prodigy si rifiuta di diventare un adulto cinico e apatico, e non accetta di dover vedere la propria vita appesa ad un muro e coordinata da dei grafici e da delle calamite.

È l’Independence Day:

«There’s a darkness in this town that’s got us too,

But they can’t touch me now,

And you can’t touch me now,

They ain’t gonna do to me

What I watched them do to you.

So say goodbye it’s Independence Day.»

Independence Day – Bruce Springsteen

L’Aviatore però le spiega che il difficile non è crescere, ma non dimenticare di essere stato bambino. A questo punto non si tratta più di voler lottare contro un destino inevitabile (come invece fa Peter Pan), la protagonista semplicemente non vuole diventare come gli adulti che la circondano.

«Crescerò, ma non diventerò come voi!»

È importante crescere mantenendo vivo il fanciullo che siamo stati, sempre ricco di curiosità, sempre capace di immaginare e di amare anche le cose che non hanno valore economico. Crescere diventando consapevoli che le cose e le persone hanno l’importanza che noi gli diamo: «la tua Rosa è unica nella sua specie proprio perché è la tua» e che il loro ricordo rimarrà sempre vivo in noi. I rapporti spesso non sono destinati a durare per sempre, ciò non significa che essi svaniscono o che smettono di avere importanza, in realtà fanno parte di noi e ci caratterizzano. È il compito dei ricordi quello di riversarsi continuamente nel nostro presente e influenzare le nostre azioni (come quando il Re acconsente di portare Prodigy all’ultimo piano solo quando «le condizioni saranno favorevoli»).

-Il piccolo principe: «Non era una rosa qualsiasi. Era la sola della sua specie in tutto l’universo. Mi ricordo di lei. Mi ricordo di tutto. Non se n’è andata. Non si vede bene che col cuore.»

-Prodigy: «Resterà sempre con me. Ora capisco.»

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E se scende una lacrima nel momento dell’addio è solo perché ci si è addomesticati, solo perché l’uno è entrato a far parte dell’animo dell’altro e vi rimarrà per sempre.

Insomma le premesse per un buon film d’animazione ci sono tutte, tuttavia al termine della visione il tutto potrebbe lasciarci l’amaro in bocca: il confronto con il libro risulta essere sempre impietoso, il film purtroppo pare non saper giostrare e coordinare tutte le emozioni che è in grado di far affiorare la storia originaria del Piccolo Principe (relegando alcuni elementi importantissimi a un ruolo marginale) e non è in grado di sviluppare, almeno non del tutto (o in tutte le tipologie di spettatori), un percorso di crescita emotivo.

«Mi ricordo che anni fa

Di sfuggita dentro un bar

Ho sentito un juke-box che suonava

E nei sogni di bambino

La chitarra era una spada

E chi non ci credeva era un pirata!»

Edoardo Bennato – Sono solo canzonette

Cira Pinto

[1] Meno felice è stata la scelta dei doppiatori italiani: inserire Alessandro Siani, Toni Servillo e Paola Cortellesi è una chiara scelta di marketing che ha l’obiettivo di attrarre il pubblico medio lasciando un ruolo marginale alla qualità del doppiaggio.
[2] Brano originale composto dal gruppo britannico Keane, primo estratto dall’album Hopes and Fears, che in una prima versione (composta nel 2001) risulta essere notevolmente influenzata dalla canzone Heroes di David Bowie.