Ovidio, Eroidi: il caso di Filide ed Ero

Cosa c’è di diverso nel voler afferrare i frutti che sfuggono e seguire con la bocca il miraggio di un’acqua che si ritira?

Dopo Laodamia e Saffo, Enone e Didone, continua l’analisi delle Eroidi di Ovidio. È il turno di Filide ed Ero, amanti di Demofoonte e Leandro. In questo caso, le due protagoniste vivono destini opposti. Filide ed Ero: la prima, abbandonata dal proprio uomo, si lancia in una complessa elaborazione del sentimento; la seconda, invece, è ferma in uno stato d’attesa, tanto più fatale in virtù della Moira, il fato che agisce imperscrutabile. A unire le due esperienze, ecco che gioca la natura.

Filide ed Ero

Filide ed Ero, musica e intervallo

Sir Lawrence Alma Tadema; Una posizione vantaggiosa
Sir Lawrence Alma Tadema; Una posizione vantaggiosa

Filide ed Ero sono da considerare due aspetti della medesima tragedia. L’epistola di Filide presenta alcune caratteristiche tali da renderla preziosa nel corpus delle Eroidi. Torna il tema della fanciulla abbandonata da uno straniero, ma questo motivo è giocato sulla base di continui rimandi sensoriali e narrativi. In primo luogo, è bene notare che questa missiva ha la cadenza lenta e malinconia come un adagio. Non a caso, a reggerne l’impalcatura concorre proprio la musica e quest’arte, che sul foglio non ha voce, si riflette nello stato d’incertezza, di turbamento che attanaglia l’animo della protagonista.

In pena mi aggiro tra gli scogli e gli arbusti della marina e, sia che la terra si schiuda al calore del giorno, sia che brillino le gelide stelle, spingo innanzi il mio sguardo, là dove si apre alla mia vista l’ampia distesa del mare, per vedere quale vento muova le onde.

Ricorre inoltre il modello delle “nove vie”, le nove vie percorse per vedere Demoofonte, il traditore. Lo spessore vacillante della Filide personaggio si avvicina a quello della regina Didone. Anche questa lettera si chiude con un distico finale alla maniera di un epitaffio. Eppure, mentre il dolore della cartaginese era tutto insito nella sua persona, con Filide è la natura a parlare. Sono continui i rimandi, espliciti o celati, al mondo esterno, alle rocce, all’oceano, al vento e alla bufera. Filide, nel suo inconscio – dimensione esasperata nelle Eroidi – è cosciente che il sublime andare della natura è sincero, immutabile, ben diverso dall’empietà e dai sotterfugi, spesso volontari, degli esseri umani.

L’onda di Ero

Non avresti nulla di che lamentarti, credo, se fossi sorpreso qui dalla burrasca e nessuna tempesta potrebbe farti male, mentre mi tieni abbracciata. Allora certamente ascolterei con piacere il frastuono dei venti e pregherei che le acque non tornassero mai calme.

Il mito di Ero e Leandro, gli sfortunati amanti traditi dal corso di quella stessa natura elogiata da Filide, è stato considerato uno dei più commoventi esempi di fedeltà e determinazione. Filide ed Ero sono accumunate, inoltre, dalla sobrietà delle immagini, mai volgari, rigide nella loro eleganza e nel loro dolore.  Da notare che questa missiva, come le altre due in chiusa delle Eroidi, presenta anche la risposta del personaggio maschile, in genere vivo solo nella memoria delle protagoniste.

Filide ed Ero

Motivo portante di questa epistola è il mare. Leandro ed Ero sono separati da un corso d’acqua che risulterà fatale al giovane amante, il quale non giungerà mai alla sua sposa. E questo non sapere, simile al ticchettio di un’onda, tiene viva Ero. La donna, nonostante sembri forte, convinta di un ritorno, ci pare ugualmente vacillare, esitare. Qui, ancora una volta, la grandezza di Ovidio. L’autore si adatta alla situazione narrata, ne riesce a estrapolare il nucleo. Il mare ha causato la tragedia? Anche i sentimenti avranno lo stesso moto di quell’elemento; andranno e torneranno al cuore. Filide ed Ero sono il massimo esempio di un artificio che risulta utile, necessario all’intensità di un mito, che è insieme analisi e leggenda.

Silvia Tortiglione

Fonti:

Eroidi; Garzanti IV ed. con introduzione, traduzione e note di Emanuela Salvadori