Ecfrasi in letteratura: l’esempio dei Trois Contes di Flaubert

La letteratura poggia le sue basi su di un vasto campionario di strumenti espressivi e tecniche ben note fin dall’antichità, accuratamente catalogate ed analizzate attraverso la complessa branca della retorica, uno dei capisaldi del sapere classico.
Una di queste è l’ecfrasi, di cui ci proporremo di fornire una definizione semplice, corredata da qualche esempio tratto dai precedenti letterari francesi, per approdare a uno dei suoi più lucidi ed efficaci utilizzatori: Gustave Flaubert.

Alcune definizioni di ecfrasi

Per riuscire nell’intento di dare un’illustrazione del termine sarà meglio tenere presente la pluralità di definizioni date sin dall’antichità. Attualmente si è unanimemente concordi nel definire l’ecfrasi come intimamente legata ad un’altra figura retorica, l’ipotiposi: questa, che prevede la vivida e accurata descrizione di un particolare in grado di suscitare ammirazione e piacere, è in grado di applicarsi (fino a rivaleggiarvi) alle arti figurative nella loro difficile rappresentazione letteraria, che del resto è il campo specifico in cui si esprime l’ecfrasi.

Yves Le Bozec, nel suo saggio¹ sulla figura in questione, cita già Quintiliano come teorico dell’ipotiposi nella sua Institutio Oratoria operando una disamina di molti altri termini affini in latino e in greco, di quest’ultima lingua in particolare soffermandosi su enargeia ed ekphrasis.

Ekphrasis è più che altro un termine che comprende quello di ipotiposi, essendo una figura tipologica del discorso relativa alla descrizione, che si serve appunto della figura d’espressione che è proprio l’ipotiposi, ricercando quell’effetto di risalto su cui infine cade il termine di enargeia (che nella tradizione filosofica indica un criterio di oggettività delle sensazioni, l’apparizione del divino come verità incontrovertibile). L’ecfrasi ha quindi una portata più ampia, implicando chiarezza, cosa che non impedisce tuttavia la confusione tra le due figure retoriche.

L’ipotiposi assurge a figura della narrazione dopo un lungo dibattito sulla sua validità che ha visto come protagonista lo stesso Quintiliano, istituendo quella relazione tra descrizione ed azione dinamica che permette alla più vasta ecfrasi di superare il dibattito ed inserirsi appieno nella narrativa moderna, conciliando le caratteristiche di vivacità, nitidezza (più tardi diremo: visibilità) ad una rappresentazione più legata alla descrizione delle azioni dei personaggi o alla linearità del discorso narrativo.

Quintiliano parlava di una sfumatura tra ecfrasi ed ipotiposi che è possibile distinguere osservando le due figure come momenti distinti nella narrazione: quei momenti in cui l’autore sembra voler uscire dalla narrazione di azioni e avvenimenti tramite la sua descrizione (ecfrasi), giungendo ad una descrizione così vivida ed accurata da risultare autonoma e dando l’impressione di vedere piuttosto che leggere/sentire.

Secondo Cicerone invece l’ipotiposi ha valore di persuasione e di seduzione, provocando un effetto realistico.

Per Pierre Fontanier, grammatico e retorico francese del XVIII sec., l’ecfrasi è in grado di effettuare attraverso l’ipotiposi un vero e proprio distacco, ravvisabile nel mutamento dello stile nello stesso testo. Per Claude Calame distintivo dell’ipotiposi è il concetto di epifania letteraria, ovvero di manifestazione di un evento in grado di scuotere il punto osservante.

Critici attuali, come B. Cassin, ricercano un nuovo valore etimologico, arrivando ad esempio alla conclusione che la parola ipotiposi si richiami già di per sé all’idea del tracciare accuratamente un profilo.

La brillante definizione universalmente accettata del critico Marc Fumaroli vede tale figura come una pittura parlante in grado di rendere presenti gli elementi assenti, immaginabile l’inimmaginabile e verosimile l’inverosimile.

I Trois Contes di Flaubert

Nella letteratura, la più classica ecfrasi è la descrizione dello scudo di Achille nell’Iliade, e gli esempi abbondano in tutte le direzioni; cerchiamo quindi di restringere lo sguardo alla letteratura francese. A cominciare dalle tragedie di Racine, sino al poema “Les caves de Lille” di Victor Hugo, la letteratura d’oltralpe ha sempre mostrato padronanza di tale figura.

Voltaire se ne serviva come supporto ai suoi scritti filosofici, come nel “Poème sur le désastre de Lisbonne”, quasi un secolo dopo Lautréeamont ne sfruttava la potenza verbale per mostrare la potenza iconica del suo “Maldoror”; nel ‘900, Michaux ha sperimentato diversi modi di rendere l’esotismo inconsueto dei suoi numerosi viaggi.

Ma è in Flaubert, dove la ricerca della parola, del mot juste, si fa arte, che è possibile osservarne la forma più compiuta.
Trois Contes, dove conte è un termine che richiama la fiaba, quindi il racconto fiabesco, meraviglioso, rappresentano l’itinerario spirituale dell’autore nel misticismo e nella ricerca di sempre maggiori vette espressive.

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Particolare della vetrata del Rosone della Cattedrale di Rouen, raffigurante San Giuliano

È Italo Calvino² a individuare nei racconti quella ricerca formale che rappresenta uno dei tratti di Flaubert su cui la critica si è più soffermato. Trittico composto da “Un coeur simple”“Hérodias” “Légende de saint Julien l’Hospitalier”, è quest’ultimo in particolare che vedremo nel dettaglio.

Calvino infatti rileva in un momento particolare della storia, che racconta appunto la vita di San Giuliano l’Ospitaliere e la sua conversione, un eccezionale grado di resa retorica e stilistica. Si tratta della descrizione della secolare vetrata della Cattedrale di Rouen, vero gioiello del gotico raggiante e “opera parlante” dell’architettura medievale.

La questione è che la vetrata descrive, fra le altre, proprio la vita di San Giuliano: siamo di fronte quindi ad una soglia mai sperimentata di ecfrasi, dove la descrizione di un’opera d’arte diventa pretesto per la creazione di un impianto narrativo, in grado di abbattere l’impalcatura stessa su cui poggia.

Con la Légende il lettore riesce veramente ad entrare all’interno dell’opera d’arte descritta, a maggior conto quando la descrizione non viene operata in maniera convenzionale, ma giocando consapevolmente con i piani testuali e della narrazione; è in questo modo che Flaubert può chiudere il conte affermando tranquillamente:

Et voilà l’histoire de saint Julien l’Hospitalier, telle à peu près qu’on la trouve, sur un vitrail d’église, dans mon pays.

Daniele Laino

Bibiliografia:
 1. Le Bozec Y., L’hypotypose: un essai de définition formelle, in “L’Information Grammaticale”, n. 92, 2002.
2. Calvino I., Perché leggere i classici.