Libertà di… che cosa? Libero arbitrio e libertà morale

Accostandosi al concetto di libertà è normale provare un certo smarrimento. Si potrebbe parlare di libertà da punti vista così diversi e secondo approcci metodologici a tal punto difformi, che infine la realtà descritta mediante lo stesso termine assumerebbe caratteristiche eterogenee o addirittura antitetiche.

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Di quale libertà stiamo parlando?

È noto come il termine libertà sia oggi fortemente inflazionato. Questo concetto è stato talmente abusato, che sembra essere divenuto un contenitore vuoto: si straparla di libertà, ma senza mai specificare di quale libertà si tratti. Un’ottima cartina al tornasole per verificare quanto detto è la sfera politica. Basta osservare trasversalmente lo scenario partitico per notare un curioso fenomeno. La parola libertà sembra essere la carta vincente, uno slogan ad effetto che affolla spesso discorsi e programmi elettorali di partiti magari in antitesi per contenuti e vedute.

Il fascino che il termine libertà evoca è in realtà ambiguo e va accuratamente vagliato. Infatti, il postmoderno che caratterizza l’odierno contesto culturale nasconde spesso una concezione di libertà tutt’altro che positiva. È l’approccio sociologico ad offrire un contributo notevole per l’analisi di questa realtà.

La libertà del capitalismo tecno-nichilista

La libertà non è solo un tema dell’indagine filosofica o teologica, secondo Magatti la stessa sociologia può essere definita come la “scienza della libertà relazionale[1]”. È chiaro infatti che le dinamiche sociali siano determinate inevitabilmente dalle concezioni di libertà degli individui che le animano. La libertà studiata da Magatti è quella gravitante attorno agli pseudovalori del capitalismo tecno-nichilista. In esso si verifica un inquietante connubio tra delle mire di arricchimento prive di scrupoli, una tecnologia sempre pronta a vomitare nuovi oggetti ed un sistema consumistico che prospera in un clima di povertà valoriale.

Il capitalismo tecno-nichilista promuove una concezione illusoria della libertà dai tratti marcatamente atomistici. Sembra che si possa parlare di libertà tanto più sussista una condizione di ‘assolutezza’, cioè di assenza di legami e relazioni: una tale libertà contraddice sé stessa e i presupposti del vivere comune. Lo scenario sociale che ne emerge è preoccupante: prevalgono dinamiche individualistiche ed arelazionali.

Libertà assoluta?

Etimologicamente assoluto deriva da ab-solutus e significa quindi sciolto da, slegato. È interessante notare come l’idea di una libertà assoluta possa aver affascinato anche Aristotele. Secondo il dodicesimo libro della Metafisica, Dio, il motore primo immobile, è perfetto proprio perché assoluto, cioè totalmente slegato da ogni cosa, privo di relazioni perché indipendente, dedito esclusivamente a pensare sé stesso[2].

Al contrario la Bibbia presenta un ideale di perfezione totalmente diverso: in essa Dio è essenzialmente relazionale, basti pensare alla teologia trinitaria che esclude ogni possibilità del divino pensato come monade. In realtà, a ben vedere, la metafisica aristotelica non è in contraddizione con la teologia biblica, semplicemente perché l’intenzione del Filosofo è puramente cosmologica[3]. Aristotele deve postulare un primo motore immobile come causa di tutto ciò che si muove, la sua riflessione è da ascrivere ad un ambito scientifico, seppur ante-litteram, piuttosto che teologico.

Anche Jürgen Werbick suggerisce di andare oltre il paradigma di perfezione greco di matrice platonica. Questa perfezione può essere definita “conclusa”, secondo essa Dio è da sempre tutto quello che può essere. Il Teologo pensando al Dio biblico richiama una “perfezione dell’amore”, essa non è mossa dal bisogno, ma dal desiderio di “comunicarsi e suscitare amore”. In questa logica una perfezione conclusa sarebbe imperfetta, perché la logica dell’amore è una logica generativa ed inclusiva[4].

Contro ogni mito che coltivi l’idea di una libertà assoluta, una fenomenologia della libertà mostra chiaramente la sua struttura essenzialmente relazionale. Sarebbe erroneo pensare ad una libertà originaria, già costituita, che entrasse in un secondo momento in relazione con l’altro da sé. Lo stesso io, l’identità di sé, può svilupparsi solo mediante l’incontro con l’altro, con il suo volto.

La dinamica studiata dalla fenomenologia e dall’analisi psicologica è la seguente: l’autocoscienza può giungere ad essere tale solamente nel riconoscimento da parte di un’altra libertà[5]. In quest’atto, l’io, esistente ma non ancora conscio di sé, si protende verso l’altro che gli media la sua immagine: l’io può divenire sé stesso trovandosi nel volto dell’altro a lui rivolto.

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Il nucleo del sé naturalmente è già esistente, ma esso non potrebbe svilupparsi se non sollecitato dallo sguardo, dal sorriso. Uno scimpanzé rimarrebbe tale se accudito da una madre umana: in esso l’umanità – e con essa la libertà – non potrebbe destarsi[6].

Libertà morale e libero arbitrio

Il libero arbitrio è una componente essenziale della libertà, ma lungi dall’esaurirla è piuttosto il suo livello più elementare. Una libertà ridotta al libero arbitrio è condannata al non senso e allo smarrimento. Il libero arbitrio è chiamato ad elevarsi alla libertà morale, a riconoscere che la libertà non è una possibilità fine a sé stessa, ma è finalizzata al valore morale, all’esperienza del bene[7].

L’inganno dell’attuale contesto culturale è proprio questo: enfatizzare a tal punto il libero arbitrio da farlo coincidere tout court con la libertà. Importante diventa quindi la scelta per la scelta, a discapito del suo contenuto, che cosa sia scelto e se abbia o meno valore morale. Alici denuncia questa condizione attraverso uno slogan incisivo: “quando tutto ha valore solo perché è scelto, nulla è scelto perché ha valore[8]”.

Il postmoderno conosce bene questo paradosso: esso è comune alla logica del consumismo che esalta la possibilità di scelta ignorando – o sapendo bene – che la libertà è chiamata al bene morale e non a disperdersi nella spirale del consumo.

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La scelta del bene infatti, non è neutra per la libertà, ma qualifica la persona. A seconda della scelta fatta, del valore scelto, “l’io costruisce sé stesso[9]”. La teologia morale parla di autorealizzazione intendendo che il soggetto è chiamato a diventare sé stesso attraverso tale scelta, corrispondendo alla sua vocazione ad amare.

In quest’ottica Dio non è un concorrente della libertà umana, un antagonista, ma il suo vero promotore. La Rivelazione biblica infatti, pensa l’uomo non già costituito autonomamente per poi relazionarsi con Dio, ma a sua immagine dall’origine. In questa linea solamente la scelta della volontà buona di Dio potrà condurre la persona al suo compimento, alla pienezza di vita.

Christian Sabbatini

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Bibliografia:

Cfr. , C. Sabbatini, La libertà in teologia morale fondamentale in P. Bonini, Questioni di teologia morale e pratica nello studio delle professioni sanitarie, CISU, Roma 2015 (In corso di stampa).

[1] M. Magatti, Libertà immaginaria. Le illusioni del capitalismo tecno-nichilista, Feltrinelli, Milano 2009, 9.
[2] Cfr. , Aristotele, Metafisica, Mondadori, Milano 2008 (I classici del pensiero, 6), 1021s.
[3] Devo questa intuizione alle lezioni del professor Francesco Giacchetta, insegnante di Filosofia e Teologia all’Istituto Teologico Marchigiano.
[4] Cfr. J. Werbick, Un Dio coinvolgente. Dottrina teologica su Dio, Queriniana, Brescia 2010 (Biblioteca di Teologia Contemporanea, 150), 502ss.
[5] Cfr. H. Verweyen, La Parola definitiva di Dio. Compendio di teologia fondamentale, Queriniana, Brescia 2001 (Biblioteca di teologia contemporanea, 118), 226ss.
[6] Cfr. F. G. Brambilla, Antropologia teologica, Queriniana, Brescia 20093 (Nuovo corso di teologia sistematica, 12), 392.
[7] Cfr. G. Piana, Libertà e responsabilità in Nuovo dizionario di teologia morale, a cura di F. Compagnoni et alii, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2011, 661s.
[8] L. Alici, Metamorfosi della libertà tra moderno e postmoderno, in Per una libertà responsabile, EMP, Padova 2000, 70.
[9] Cfr. G. Piana, Libertà e responsabilità, 661.