André Chénier, il poeta ucciso dalla Rivoluzione Francese

Il 14 luglio 1789, o anche 26 messidoro. Gli insorti francesi attaccano la prigione-roccaforte della Bastiglia, allo scopo d’impadronirsi di armamenti e materiali. Il bilancio dell’assalto è impietoso, con molte perdite e atti di dissacrante violenza. Tuttavia, la data del “14 Juillet” e la presa della Bastiglia sono universalmente note come il simbolo della Rivoluzione francese e ad oggi festa nazionale in Francia; sebbene la Rivoluzione abbia fatto scorrere il sangue sulle strade di Parigi e sia degenerata nella crudeltà del Terrore, essa era animata da ideali di libertà e giustizia che hanno cambiato il mondo. Alcuni intellettuali, però, come André Chénier, vi voltarono le spalle e ne furono inesorabilmente schiacciati.

L’avvento del “giornalismo polemico”

In particolare la libertà di parola ha contribuito alla nascita di un cospicuo numero di scritti politici inneggianti a un ideale di vita superiore e più consapevole della dignità umana.

Gia due anni dopo, 1791, l’Assemblea costituente (composta da rappresentanti del Terzo Stato) aveva proclamato la libertà dei teatri, che si trasformavano in strumenti di propaganda delle virtù repubblicane; erano nate numerose associazioni in difesa dei diritti del cittadino e delle nuove istituzioni, come la Société des Amis de la Constitution (il futuro Club des jacobins).

La Rivoluzione aveva soppresso i titoli onorifici, preferendo un più equo citoyen, cittadino, aveva modificato la toponomastica e molti altri nomi della quotidianità in generale (perfino i nomi dei mesi dell’anno). La Rivoluzione si è espressa anche e soprattutto con la parola, con una parola nuova espressione di nuove agognate libertà.

Per chi era in grado di leggere, le leggi sulla libertà di stampa avevano concesso ai giornali di moltiplicare le pubblicazioni di carattere politico, per cui videro la luce moltissimi opuscoli, spesso considerati faziosi o fuorvianti dalla storiografia attuale a causa probabilmente del carattere “d’urgenza” e appassionato con cui furono scritti.

Si afferma quindi un particolare “giornalismo polemico” frutto della grande tensione con cui i protagonisti vivevano gli avvenimenti, il cui protagonista assoluto fu Marat. Qualche altro giornale invece si appella ad una condotta più clemente, o anche appoggia la causa monarchica; in ogni caso, dopo l’agosto del 1792, tutte le testate più moderate o anti-rivoluzionarie sono ridotte al silenzio. La particolarità della stampa dell’epoca sta nel determinare la nascita di una nuova forza motrice, ben nota alla società attuale, ovvero il potere dell’opinione pubblica.

Ma i veri maestri della parola sono i novelli deputati del primo ordinamento parlamentare. Molti tra loro, come Danton e Robespierre, erano avvocati, e sapevano benissimo come utilizzare l’ars oratoria, dando sfoggio della propria abilità nelle accese orazioni pubbliche che sono considerate il vero focolaio dell’esperienza rivoluzionaria, soprattutto a partire dal 1790, quando i deputati avevano la possibilità di rivolgersi al popolo stesso.

La critica ha riconosciuto a questi discorsi così ispirati, impetuosi, ma nel contempo sapienti nel loro utilizzo di figure retoriche efficaci, il merito di aver creato una faglia di rinnovamento nella prosa francese e nell’oralità. Secondo G. Décote e H. Sabbah, nel discorso dell’oratore rivoluzionario, oltre ai temi della libertà e dei diritti che lo inseriscono nell’Illuminismo, si può presagire già quello slancio all’ideale proprio del Romanticismo, che permette che la ghigliottina venga chiamata, e questo fa infiammare il popolo, “la mannaia della legge”.

La figura di André Chénier

Come si è detto, molte voci furono inascoltate. Non solo quelle della stampa anti-rivoluzionaria, ma anche quella di autori che non appoggiavano la causa di Robespierre: è il caso del giovane Chateaubriand, di cui si è parlato in quest’articolo e soprattutto di André Chénier, il più importante esempio della poesia impegnata dell’epoca, vero martire delle idee.

André Chénier
André Chénier

André Chénier era nato a Costantinopoli nel 1768; perseguendo brillantemente gli studi di lettere, in disaccordo col padre intraprende l’attività poetica viaggiando molto e stringendo amicizie importanti. Rientrato in Francia per la Rivoluzione, si distacca dal fratello Marie-Jospeh, repubblicano convinto, a favore dell’idea di una monarchia costituzionale; per tale motivo, i suoi articoli contro Robespierre e i giacobini saranno denunciati dai rivoluzionari.

Costretto alla clandestinità, Chénier si rifugia a Versailles, ma il 7 marzo 1794 è arrestato in seguito ad una retata, e pochi mesi dopo sale già sul patibolo, venendo (in)giustiziato il 25 luglio.

A causa dell’ostracismo degli anni rivoluzionari, nessuna delle raccolte poetiche da lui composte furono pubblicate mentre era in vita.

Nel breve periodo di prigionia Chénier componeIambes”, riprendendo la forma e il titolo ad Archiloco, ammirando l’ideale classico del genio poetico e dell’ispirazione. Si tratta di una forma poetica che si svolge in distici di cui il successivo è più breve del precedente, inoltre Chénier fa alternare degli alessandrini e degli ottonari.

Una forma inoltre finalizzata alla satira, rendendo dunque palese quanto sia essenziale l’intento denunciatore circa la crudeltà e la violenza arbitraria dei sommari processi del tribunale rivoluzionario; scopo del poeta diventa dunque, dinanzi alla certezza della morte, levare un ultimo grido di vendetta, testimonianza e libertà, una libertà che ha un sapore più genuino di quella nelle parole degli oratori rivoluzionari:

      Mes tristes compagnons reclus

Qui me connaissent tous avant l’affreux message

      Mais qui n me connaissent plus

Eh bien ! j’ai trop vécu. Quelle franchise auguste

      De mâle constance et d’honneur

Quels exemples sacrés, doux à l’âme du juste,

      Pour lui quelle ombre de bonheur

Nonostante il ripristino di forme classiche, per la sua capacità di osservazione del suo tempo Chénier è considerato un poeta della modernità. Inoltre il lessico è immediato, talvolta crudo; si tratta di un impeto della sensibilità, piuttosto che della ricerca formale, gli ultimi lamenti di un condannato che cerca di osservare il mondo attraverso la carta e l’inchiostro.

Il suo canto di un inno al progresso, alla giustizia, alla speranza ci ha permesso di riscoprire le voci di quanti furono soverchiati dall’epoca del Terrore, riscoprendo in quell’epoca di essenziali mutamenti l’altra faccia della medaglia che di certo non siamo autorizzati a reputare più buia.

Daniele Laino

BibliografiaChénier A., Iambes
Décote G., XVIII Siècle – André Chénier, Essais sur A. Chénier