Esilio e letteratura: de Stael e Chateaubriand

Nel precedente articolo abbiamo visto come la letteratura romantica avesse dato la luce a due particolari figure di esiliati. Da un lato lo sradicato e dall’altro il fuorilegge, figure nate in Germania ed in Inghilterra. Sono figure giovani, complesse e ribelli che, per la volontà di superare l’assoluto, arrivano ad esiliarsi dal mondo degli uomini comuni. Ma il sentimentalismo che poeti e scrittori romantici trasmettono nelle loro opere non deve farci dimenticare che nell’800 continuano ad esserci intellettuali esiliati, come nel caso di Madame de Stael in Francia.

Madame de Stael. L’intelletuale “cosmopolita”

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Madame de Stael (1766-1817)

La diffusione delle idee romantiche in Francia si deve all’opera di divulgazione compiuta da Germaine Necker, in arte Madame de Stael,  Essendo ostile a Napoleone, nel 1800 si trovò in esilio presso il castello di Coopet (Ginevra) e compì frequenti viaggi in Germania. Entra così in contatto con le figure più importanti del romanticismo tedesco, quali Goethe e Schiller. Tornata in Francia, alla caduta dell’imperatore de Stael trapianta le idee del romanticismo tedesco in terra francese, dando vita ad un salotto letterario frequentato da moltissimi intellettuali.

Madame de Stael è il primo esempio di intellettuale cosmopolita, un intellettuale che viaggia per varie parti del mondo e ne assorbe la cultura e l’arte. Ci troviamo davanti ad una donna che possiede una conoscenza quasi completa della cultura europea e a sua volta invita gli altri intellettuali d’Europa a fare lo stesso, come in quel noto articolo del 1816 (sulla maniera e l’utilità delle traduzioni) in cui invita gli italiani a chiudere con una cultura conservatrice e a confrontarsi con le letterature europee.

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La prima edizione di “Corinna (o l’Italia)

Non stupiscano allora i titoli di alcune sue opere, come La Germania o Corinna (L’Italia). In particolare, quest’ultima è un romanzo-saggio in cui la storia d’amore tra Corinna e lo scozzese Lord Nevill è intervallata da considerazioni sul nostro paese, ottimo modello per comprendere il cosmopolitismo dell’autrice. Un esempio è il libro VI dove Corinna risponde ad un epistola di Nevill, che considera il popolo italiano “rozzo e maleducato”. La donna risponde quasi indignata e arriva a difendere il nostro paese, constatando come abbia alternato periodi di grandezza nella sua storia a periodi di decadimento, simboleggiati dalla dominazione straniera.

Su gli italiani voi ripetete quel che dicono gli stranieri, cosa che sulle prime fa impressione; ma per giudicare un paese, che ha avuto diversi periodi di grandezza, bisogna essere meno superficiali. Come mai dunque questo popolo è stato sotto i Romani il più bellicoso di tutti, il più geloso delle sue libertà nelle repubbliche del Medioevo e nel Cinquecento il più illustre per le scienze, le lettere e le arti? (…) se ora è in decadenza, perché non accusarne la sua condizione politica, visto che in altre circostanze si è dimostrato così diverso da quello che è ora?.

Chateaubriand e lo sradicamento dalla civiltà in René

L’uomo non ha una sola e identica vita; ne ha molte giustapposte, ed è la sua miseria

(François de Chateaubriand)

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François de Chateaubriand (1768-1848)

Tra il 1793 e il 1800 lo scrittore François de Chateaubriand si ritrova esule in Inghilterra. Ex-illuminista, nel 1798 riabbraccia la fede cristiana e ciò gli permette di dedicarsi alla stesura de Il genio del cristianesimo, un saggio in cui celebra la vitalità della religione di Cristo, pubblicato nel 1802.

Ma il saggio è noto soprattutto per contenere al suo interno il romanzo breve René. È la storia di un giovane che, per sfuggire alle proprie inquietudini, si rifugia in America e per la precisione nella terra selvaggia degli indiani Natchez, lungo il Mississipi. Qui ad un anziano indiano racconta la storia della sua vita, vissuta in completa solitudine e allietata solo dalla presenza di Amelia, la sorella del protagonista. Ma quando la ragazza avverte di provare un’ardente passione per il fratello, questa da i voti e René decide allora di rifugiarsi per sempre nel nuovo mondo. Un rifugio dettato anche dalla follia e dal caos della vita sociale, troppo lontana dalla sua sensibilità:

Il ripetersi delle stesse scene e delle stesse idee mi stancava. Mi misi a snodare il cuore, a chiedere cosa desiderassi. Non lo sapevo; ma all’improvviso pensai che i boschi sarebbero stati la mia delizia. (…). L’assoluta solitudine, lo spettacolo della natura, mi sprofondarono in breve tempo in uno stato indescrivibile. Senza parenti, senza amici, solo, per così dire, sulla terra, senza ancora aver amato, io ero come schiacciato da un eccesso di vita.

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Stampa raffigurante due indigeni Natchez a caccia.

Come già accadeva nel Werther, anche qui assistiamo ad uno sradicamento dalla vita quotidiana. Ma qui la natura non filtra artisticamente la mente del protagonista e, diversamente dalla Corinna di Madame de Stael, non c’è desiderio di assorbire la cultura dei paesi stranieri. Si tratta solo di una ricerca della pace interirore, prefigurata dall’America dei pellerossa, emblema di una libertà e di una vita priva di gerarchie sociali e di insania della vita pubblica. Si ritorna così a quel modello tanto caro a Plutarco: la natura come rifugio dai disordini della società e luogo in cui poter coltivare il proprio Io, anche se lo si fa in modo volontario.

Ma la pace bramata da Renè si rivela effimera: infatti non passerà molto tempo dall’inizio dell’era del “Far west” quando l’avanzata dei pionieri dell’ovest, in nome della volontà di allargare quella realtà politica nota come Stati Uniti d’America, stermineranno un buon numero di indigeni e i sopravvissuti saranno a loro volta vittime di esili o di intolleranze. Sembra quasi un destino segnato per l’intellettuale, quello di non poter mai trovare pace.

Ciro Gianluigi Barbato