La Primavera di Botticelli è uno dei quadri dall’interpretazione più complessa e discussa della storia dell’arte italiana; basti pensare che perfino il titolo non fu attribuito al dipinto dall’autore stesso, ma dalla critica dell’Ottocento, che lo lesse come un’allegoria della Primavera. Una delle interpretazioni implica la filosofia del Neoplatonismo.
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…un’altra Venere che le Grazie la fioriscono, dinotando la Primavera. (Giorgio Vasari)
Una delle letture più affascinanti e storicamente valide, comunque sia, resta quella neoplatonica fornita da Ernst Gombrich e completata da Edgar Wind. Essa inquadra l’opera di Botticelli nella temperie culturale della Corte medicea, affiancando all’elaborazione dei contenuti mitologici le suggestioni neoplatoniche del filosofo umanista fiorentino Marsilio Ficino.
Egli tradusse e commentò molti testi di Platone, l’antico Corpus Hermeticum del leggendario Ermete Trismegisto e le opere di Porfirio, Proclo e Plotino, le maggiori menti del neoplatonismo. La sua filosofia era quindi imbevuta non soltanto di platonismo, ma anche di misticismo e di ermetismo, producendo un modello filosofico che fondeva paganesimo e cristianesimo.
L’attività conoscitiva dell’uomo consiste quindi in un’operazione ermeneutica che giustifica ampiamente il ricorso a figure mitologiche e simboli: ogni cosa rimanda ad un’altra, e solo in questa infinita serie di rimandi l’uomo può raggiungere la comprensione del mondo e di Dio.
Possiamo adesso tornare alla lettura del nostro dipinto: chi sono le nove figure rappresentate nel quadro?
Se ci atteniamo all’interpretazione tradizionale, accettata (quasi) all’unanimità dalla critica, possiamo leggere le figure nella maniera seguente:
Procediamo dunque a comprendere la scelta di questi personaggi.
In una lettera di Ficino a Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, cugino del Magnifico al quale fu donata la Primavera di Botticelli, il filosofo esorta il suo pupillo a esercitare la virtù sotto la protezione di Venere-Humanitas. A partire da questo spunto, lo storico dell’arte Gombrich intuì che la Venere di Botticelli non rappresentava soltanto la Bellezza e non alludeva semplicemente al giardino delle delizie decantato da Poliziano, ma era la personificazione del principio neoplatonico dell’armonia.
La presenza della dea in un altro celebre dipinto del pittore, la nascita di Venere, rimanda alla duplice natura dell’amore descritta nel Simposio di Platone e rielaborata da Ficino: Venere Urania, l’amore divino, e Venere Pandemia, l’amore terreno.
Entrambi i generi di amore sono onorevoli e degni di lode, sebbene in grado diverso e ciascuna delle due Veneri ci spinge a procreare la bellezza, ma ciascuna in modo suo proprio.
A questo si aggiunge la concezione ficiniana dell’amore secondo i tre aspetti di Piacere (Voluptas), Castità (Castitas) e Bellezza (Pulchritudo), perfettamente esemplificati dai personaggi a destra: l’impeto amoroso di Zefiro, la Voluptas, travolge la Castitas di Clori provocando la sua trasformazione in Flora, che genera una rigogliosa primavera su tutta la terra, rappresentando così la Pulchritudo. Le Grazie rappresentano il principio vitale dell’universo, mentre la temperanza di Mercurio all’estrema sinistra si oppone all’impetuosità di Zefiro; il suo gesto di “togliere il velo delle nubi” alluderebbe, secondo lo storico dell’arte Wind, al “dis-velare“, cioè all’interpretare il mistero del cosmo.
Come già detto, la lettura neoplatonica è soltanto una delle tante possibili, ma certamente la sua profondità e organicità col contesto storico in cui visse Botticelli la rendono una delle più affascinanti e plausibili al contempo.
Maria Fiorella Suozzo
Sandro Botticelli: la Primavera, Marco Bussagli
Il Neoplatonismo nell’arte rinascimentale, a cura di G. Pieranti
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