La morta innamorata: Théophile Gautier

[Io chinai il capo; dentro di me c’erano solo macerie.]

Nell’articolo precedente, consacrato al racconto “La morta innamorata” di T. Gautier, abbiamo visto il prete Romuald raccontare la storia del suo unico e folle amore per una misteriosa dama, a tal punto da rigettare quei valori della fede cristiana che l’avevano accompagnato per tutta la vita. L’avevamo lasciato al capezzale della sua bella, invocato dai domestici per officiare l’estrema unzione, trovandosi sospeso tra senso del dovere e prepotenti sensazioni di desiderio verso la salma, che sembra solo dolcemente addormentata.

La morta innamorata: prova dell’amore

I profumi, i colori e le forme dell’ambiente mettono Romuald in una tale tentazione che egli solleva il sudario, scoprendo il volto di Clarimonde. Romuald la sfiora, percependo con sorpresa il lieve tepore della pelle; infine sentendo su di sé l’insostenibile peso di una separazione eterna, depone un bacio sulle labbra del suo amore. Ma s’inserisce il soprannaturale: al contatto delle labbra, la giovane pare semplicemente ridestarsi, e aprendo gli occhi, riconosce Romuald, proferendo parole di letizia e amore eterno, seppur nel breve sprazzo di vita donatale per un istante attraverso il bacio. Il prete, sentendola di nuovo cedere fra le sue braccia, è colto da un mancamento.

la morta innamorata
Conti – Allegoria della notte

Si risveglia dunque nella sua casina, apprendendo dalla perpetua di aver dormito per tre giorni e di essere stato riportato a casa dallo stesso valletto di colore.

Durante la convalescenza, più spirituale che fisica, riceve la visita dell’abate Serapione, che qui assume l’inquietante figura di un accorto inquisitore, portatore di una ben poco lusinghiera notizia: la dama Clarimonde infatti, da tutti conosciuta come una cortigiana, è morta in seguito ad un’orgia selvaggia prolungatasi una settimana. Poi, facendo abilmente leva sui sentimenti del giovane, fa allusione al fatto che tutti i suoi amanti hanno fatto una morte violenta, e che:

Si dice che fosse una ghul, una donna vampiro, ma io credo che fosse Belzebù in persona.

Siamo ad un punto di svolta; finalmente, rilevato dalla figura rappresentante la ratio cristiana, il chiarimento circa l’identità di Clarimonde: una donna vampiro, o più precisamente una ghul, una creatura del folklore arabo tremendamente funesta, con un gusto per l’emofagia.
Lo scontro con la dura realtà scuote per la prima volta il giovane, che sente coesistere amore e, per la prima volta, paura; le parole dell’abate aggiungono mistero:

Figliolo, devo avvertirvi, voi avete un piede sull’orlo dell’abisso, state attento a non cadere. […] La lastra tombale di Clarimonde avrebbe dovuto essere chiusa con un triplice sigillo; perché, a quanto si dice, non sarebbe la prima volta che è morta.

Il “Signor Romualdo”

Romuald si ristabilisce dopo qualche tempo, e riprende le sue normali funzioni; tuttavia nello spazio-simbolo della dimensione onirica prende vita la glorificazione del novello amore. Romuald riceve la visita, una notte, della sua amata, rediviva dal mondo dei morti. La compresenza sia di elementi fisici vitali che di immagini legate all’oltretomba enfatizzano al massimo gli effetti di contrasto:

Aveva in mano una piccola lampada identica a quelle che si vedono sulle tombe […]; era così bianca che al pallido chiarore della lampada il colore del drappeggio si confondeva con quello delle sue carni. […] Somigliava alla statua di marmo di una bagnante antica più che a una donna viva.

Clarimonde porta su di sé i segni e gli orpelli della bellezza, e sebbene i fiori tra i suoi capelli siano ormai appassiti e la sua carne somiglia, di nuovo, al marmo statuario, ella è affascinante oltre misura, per cui il nostro non prova paura nel vederla; arrendendosi all’amore:

Malgrado tutto quello che ho visto, ancora stento a credere che fosse un demonio; perlomeno non ne aveva l’aria e mai Satana ha nascosto meglio i suoi artigli e le sue corna.

In effetti sembra essere proprio di un demonio l’attitudine della bella Clarimonde verso il sacro. Nei momenti di abbandono insieme al suo Romuald, ecco che l’afferra la gelosia:

Ah! Come sono gelosa di Dio, che hai amato e continui ad amare più di me!

Il vampiro promette a Romuald una vita di ricchezza e amore, se acconsentirà a fuggire con lei la sera successiva. Il prete accetta senza esitazione, lusingato da tale prospettiva; infine, Clarimonde scivola via dalla stanza, e sorge il giorno. Romuald si sveglia nella più completa normalità; incapace di giungere ad una conclusione circa la veridicità di quanto ha appena vissuto, si convince, a torto, di aver solo sognato.

la morta innamorata
Houdon – Inverno

Comincia così un periodo di dissolutezza e amore, che vede la personalità del prete sdoppiarsi perfettamente: ogni notte, Clarimonde lo porta nei migliori palazzi di Venezia, circondandosi della gaudente e libertina nobiltà. Romuald nelle sue vesti da signore assume un disprezzo verso il prossimo e un’alterigia inconciliabili con la vita da curato svolta durante il giorno. Le due personalità si disprezzano vicendevolmente, percependosi distintamente nei momenti in cui Romuald è l’una e non l’altra.

Col passare del tempo Clarimonde, che si è dedicata solo al suo sincero amore verso Romuald, comincia ad avvertire i sintomi della sua astinenza dal sangue. Tant’è vero che un giorno, alla vista di un taglio fresco sul dito del giovane, con un piglio folle e un’agilità scimmiesca si precipita per succhiare avidamente la ferita.

Ma torniamo alla vita diurna. Romuald, messo di fronte alla superstizione, sente vivificarsi dentro di lui gli avvertimenti dell’abate e gli scrupoli della fede, e le tenta tutte pur di non scivolare più, nel sonno, nel mondo dissoluto e ardente d’amore di Clarimonde.
L’abate corre in suo aiuto, confessandogli di conoscere l’ubicazione della tomba della donna. Intraprendono quindi il classico rituale della scongiura di un vampiro, durante il quale l’abate mostra la sua vera identità di esorcista. All’apertura della lapide, appare intatto il corpo di Clarimonde, dalle labbra vermiglie di sangue rubato. L’abate con una furia equivoca asperge dell’acqua santa sulla salma, che si tramuta immediatamente in cenere, non senza una viva sofferenza da parte di Romuald, che patirà per sempre il rimpianto di quei giorni nella sua vita da curato:

Io chinai il capo; dentro di me c’erano solo macerie.

Conclusioni

Così si chiude questo magnifico racconto. Un finale che lascia il dubbio nel lettore circa la reale negatività della figura del vampiro, mai come stavolta priva di una reale pericolosità. Scritto con uno stile impeccabile e sapiente – simile alla ricerca del mot juste, della parola adeguata secondo Flaubert -, come si è visto nel racconto si intrecciano spiritualità, esotismo, gusto del mistero e dell’onirico, riscoperta del folklore, elogio della potenza amorosa e mescolanza della parola con immagini artistiche. Tutte caratteristiche che inseriscono pienamente il testo nella stagione del Romanticismo, e nel caso particolare di Gautier, fa presagire la soavità d’arte del Parnassianesimo.

Daniele Laino