Il vento è un prodigio invisibile della natura: esso va paragonato al sentimento, alla creazione, al sospiro. Quanto vi è di invisibile agli occhi dell’uomo diviene musica e la musica tiene lo scettro delle arti. Dal suono delle fronte e dalla bufera marina, prende il via l’ode, quell’ode di profondo strepito che caratterizza Percy Bysshe Shelley.
Sento d’essere una goccia
di rugiada che muore dissolta
Siamo dinanzi al baratro delle certezza e al maestoso avvilupparsi delle onde. Saranno proprio queste maree ad accogliere il corpo esamine di Shelley, dopo il terribile naufragio dell’Ariel alle coste toscane.
Si è parlato di Keats. Entrambi i poeti vissero una vita di tormenti, da un lato il tormento fisico di Keats, dall’altro quello esistenziale di Shelley. Ma i due romantici ebbero un modo ben diverso d’intendere la bellezza, questo cardine dell’alto sentimento inglese. Con il giovane Keats, abbiamo il fulmineo taglio della meteora, la meraviglia e il mistero che si attuano nella mente dell’artista, questo demiurgo eletto; con Shelley assistiamo al rombo del tuono, al cielo d’intermittenti luci e di eterne nubi. Shelley è la potenza, Keats il fiore del sogno.
Spirito impetuoso, che tu sia me stesso!
Guida i miei morti pensieri per tutto l’universo
come foglie appassite per darmi una nascita nuova!E con l’incanto di questi miei versi disperdi
come da un focolare non ancora spento,
le faville e le ceneri, le mie parole fra gli uomini!E alla terra che dorme, attraverso il mio labbro,
tu sia la tromba d’una profezia! Oh, Vento,
se viene l’Inverno, potrà la Primavera esser lontana?
Ecco lo spirito del vento ed ecco il compiersi della profezia. Un inno alla gloria che diviene inno alla furia. Non si invoca il placido Zefiro, ma il vento del Nord, il vento che genera un uragano di scintille.
Ma per Shelley la natura non si conclude nel sublime, quel sublime dinamico di matrice kantiana. La natura e i suoi istinti sono raccolti nell’uomo, nell’uomo-poeta, per dirla con rigore. E quale figura del mito può incarnare a meglio lo sforzo eroico del messia? Del profeta? Prometeo. Colui che donò il fuoco agli uomini, come il poeta dona l’illuminazione alla massa, benché quest’ultima non sia ancora consapevole del tributo.
Soffrir pene che la speranza può
pensare senza fine; perdonare
offese oscure più della notturna
ombra o del gelo esamine di morte.
Sfidare ogni potenza pur se appaia
onnipotente; amare; sopportare
fino a che la speranza tragga in alto
dal suo disastro il fine cui pur tende;
non vacillare o mutare o pentirsi;
questo, Titano Promento, è l’essere
buoni, grandi, felici, belli, liberi;
questa è gioia, vittoria, impero, vita.
La vita che coincide con l’impero. Questo canto di vittoria si espande oltre la semplice poesia; esso gela il mare che accolse il corpo. Il Mediterraneo è la tomba dell’eroe.
Silvia Tortiglione
Fonti:
Shelley, P.S., Poesie. Cura e traduzione di Franco Giovanelli
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