I social tra misure repressive e censura

I social sono ormai parte integrante della vita di ciascuno di noi. Questa frase, che sembra l’inizio di un tema delle scuole superiori, è tanto veritiera quanto trita e ritrita: è già stato detto ampiamente quanto le relazioni interpersonali siano cambiate con la nascita dei social network, il cui più illustre rappresentante è Facebook.

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Recep Tayyip Erdoğan, Presidente della Turchia

I social tra censura e repressione

L’uso dei social, però, non è universalmente diffuso: gli utenti iscritti su Facebook sono 1.39 miliardi con 890 milioni di persone che lo utilizzano ogni giorno. I numeri sono di certo impressionanti ma vi sono paesi in cui i social – Facebook appunto, Twitter, YouTube et similia – sono assenti, censurati o molto controllati.

In Turchia, ad esempio, sono stati temporaneamente bloccati il 6 Aprile Facebook e Twitter al fine di contrastare la diffusione della foto del pm Mehmet Selim Kiraz – poi deceduto in sala operatoria – tenuto in ostaggio da due militanti del Dhkp-C; mentre questi due social sono stati poi resi di nuovo accessibili, YouTube – con cui sono stati avviati colloqui – resta oscurato. Già nel 2014 i social erano stati bloccati per impedire la diffusione di materiale compromettente sul governo del presidente Recep Tayyip Erdoğan.

Altro caso emblematico è quello iraniano: dei 77.176.930 milioni di abitanti 12 sono quelli registrati su Viber, 9 su Whatsapp e più o meno 4.5 gli utenti presenti su Facebook. Il problema è che in Iran è, di fatto, presente la censura totale sui social; il generale Qolam’ali Abu-Hamze, uno dei più importanti nel Pasdaran, ha diffuso suddetti dati dichiarando che bisogna “porre un freno a questo spazio di libertà creatosi all’interno della società iraniana”. In realtà il presidente Hassan Rouhani, leader del fronte moderato-riformista, si è detto a favore dell’apertura dei social a tutti gli utenti, seppur sotto il controllo del Governo; il fronte conservatore, vicino ai Pasdaran, è di opinione opposta in quanto l’uso di Internet e del satellite – l’uso di quest’ultimo senza autorizzazione governativa è vietato in Iran – starebbe “danneggiando la morale islamica” e i social media sarebbero “uno strumento deviante dell’Occidente che mira a colpire la morale islamica”.

Il controllo nel Web

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Hassan Rouhani, presidente dell’Iran

Anche in Cina la situazione è particolare: i social network occidentali sono oscurati dalle autorità in favore di portali autoctoni come Renren, notissimo in Cina e in Giappone, creato nel 2005, o Tencent’s Weibo, che offre un servizio di microblogging. I provvedimenti del governo cinese per quanto riguarda la censura dei social non sono – al contrario di quanto avviene in Iran – completamente repressivi: sono infatti tollerati i post contro il governo e i suoi leader ma i commenti e i post che si riferiscono ad azioni collettive come raduni in piazza o altre manifestazioni pubbliche sono assolutamente vietati (il massacro di piazza Tienanmen rappresenta una macchia indelebile nella storia della Cina). Stando a recenti ricerche, però, l’allontanamento dell’utenza cinese dai social non dipende tanto dalla censura ma dalla voglia di distaccarsi dalla rete per dedicarsi a un libro; da un sondaggio, tra l’altro, si evince che solo il 64.7% degli utenti della Repubblica popolare considera positivo l’impatto dei social contro il 76.8% del 2013. Se in Cina, dunque, si tollerano opinioni antigovernative, esattamente opposta è la situazione in Vietnam dove, a fine Marzo 2014, erano 35 i blogger in carcere per critiche al governo.

Secondo l’autore de L’ingenuità della rete, Evgeny Morozov, “i dittatori intelligenti non reprimono Internet”: abbiamo visto, infatti, che nei governi dittatoriali o monopartitici (come quello cinese) è preferito il controllo alla repressione totale – anche in Iran, come detto, Rouhani è favorevole a un’apertura per quanto riguarda i social; in effetti la strategia del controllo, che de facto propina una libertà condizionata, è più sottile e, per certi versi, più efficace. A Cuba, per esempio, che da poco ha aperto Internet, l’accesso al Web avviene tramite strutture pubbliche dove è obbligatoria la registrazione e l’identificazione. Nella già citata Turchia, con la legge 5651 del 5 Febbraio 2014, gli internet service provider sono stati trasformati in agenti di sorveglianza e censura obbligati a rimuovere o bloccare contenuti sgraditi, oltre a dover raccogliere i dati degli utenti.

Non è possibile negare l’enorme potenza dei social ed è innegabile che deve essere esercitato su di essi un certo livello di controllo ma è altrettanto innegabile che vanno garantite e rispettate la libertà di pensiero e d’espressione dell’uomo. Interessante sarebbe provare a rispondere a questa domanda: il mondo era realmente pronto per i social?

Luigi Santoro

Fonti

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Altre fonti I; II