Mussolini: il disastroso Duce di un’inutile guerra

L’incertezza di Mussolini

Mussolini
Benito Amilcare Mussolini

Quando nel 1939 scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, l’Italia di Mussolini avrebbe dovuto scendere in campo al fianco della Germania: il Patto d’Acciaio, al contrario della Triplice Alleanza firmata nel 1882, aveva carattere anche offensivo. Ma l’Italia non era pronta e, benché Mussolini aspettasse da tanto questo momento, non sapeva che fare: “sosteneva che le democrazie sarebbero battute, e pochi giorni dopo si smentiva, affermando che non lo avrebbero fatto; ai suoi collaboratori un giorno diceva che occorreva affiancare la Germania nel conflitto. Il 21 agosto apparve a Ciano deciso a marciare con i tedeschi. Ma alla fine del colloquio aveva già cambiato parere” [1]

Neanche il popolo voleva la guerra e si appellò al Vaticano che “compì numerosi tentativi per evitare una guerra che si prevedeva disastrosa” [1]. Mussolini comunicò così ad Hitler che l’Italia non sarebbe stata pronta fino al 1942 e dichiarò la non-belligeranza italiana. Nel frattempo, si preparò al conflitto iniziando a razionare i generi di prima necessità e convertendo le industrie per scopi militari.

L’impreparazione dell’Italia

I dubbi di Mussolini si dissiparono col passare della guerra: la Germania aveva conquistato la Polonia e stava per sconfiggere la Francia. Il Duce si convinse che avrebbe ottenuto più vantaggi a scendere in campo al fianco di Hitler. Ma Mussolini si fece trascinare dall’entusiasmo e né lui né il suo entourage più stretto si interessarono veramente alla difesa del suolo italiano:

“Ritiene che il problema dell’allarme nell’interno delle abitazioni possa considerarsi inesistente per una ragione di carattere fisico, e cioè che in tempo di guerra la sensibilità dell’udito dei cittadini si affina e perciò è prevedibile che in ogni fabbricato un gruppo di persone ipersensibili daranno essi l’allarme e qualche volta anche falsi allarmi. Basterà il loro tramestio per avvertire tutto il fabbricato, tutta la via e praticamente tutto il quartiere.” [2]

Anche i ricoveri erano spesso di fortuna. La gente, infatti,

“lamenta che le lunghe incursioni li costringe a passare notti in ricoveri privi di ogni elementare misura igienica, costituita da mancanza di gabinetti di decenza, privi di scarico d’acqua, per cui l’emanazione dell’odore rende addirittura irrespirabile l’aria già resa rarefatta dal non indifferente numero di rifugiati.” [3]

L’intervento di Mussolini

Il 10 giugno del ’40 Mussolini dichiarò guerra a Inghilterra e Francia, e il 18 provò ad attaccare quest’ultima mentre era impegnata a fermare l’avanzata tedesca. Ma le truppe italiane mostrarono tutta la loro impreparazione e Mussolini non riuscì ad ottenere da Hitler quello che sperava: Corsica e parte dell’impero francese in Africa.

L’Italia ci riprovò il 28 ottobre attaccando la Grecia. Questa offensiva, benché motivata con la necessità di avere sotto controllo tutto il Mediterraneo, nacque dalla rivalità con l’alleato tedesco. Iniziava la cosiddetta “guerra parallela“. L’esercito partì dalle proprie basi in Albania, convinto che la Grecia non sarebbe stato un osso duro, ma gli ellenici, approfittando della superiorità numerica e della maggior conoscenza del terreno, respinsero gli italiani fino al confine.

Mussolini
Battaglione alpini Val Dora sul colle della Pelouse nel giugno 1940. Fonte: Wikipedia

L’intervento inglese in favore dell’alleato greco determinò la prima vittoria per gli Alleati e la precipitosa caduta di prestigio di Mussolini.

La “guerra parallela” era finita prima ancora di iniziare e da quel momento in poi l’Italia sarebbe stata costretta a seguire i piani di guerra tedeschi, con scarsissima autonomia. In condizioni del genere, la guerra non poteva essere vinta.

Roberto Leone

Note:

[1] A. Lepre, C. Petraccone; Storia d’Italia dall’unità a oggi, Bologna, il Mulino, 2008
[2] N. Della Volpe, Difesa del territorio e protezione antiaerea (1915-1943), Stato maggiore dell’esercito, Roma, Ufficio storico, 1986
[3] G. Gribaudi, Guerra totale, Torino, Bollati Boringhieri, 2005