Siamo giunti al termine della nostra Apologia di Socrate e questo significa che anche la vita del filosofo sta per terminare: i giudici lo hanno condannato a morte.
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(…) voi forse credete, cittadini ateniesi, di avermi colto in difetto di discorsi con cui convincervi, se avessi ritenuto indispensabile fare e dire di tutto pur di sfuggire alla condanna. Ma non è così. Sono stato colto in difetto, ma non certo di discorsi, bensì di sfrontatezza e spudoratezza, e di voglia di dirvi quello che avreste ascoltato con più piacere: lamenti, pianti e molte altre azioni e parole indegne di me (…).
Socrate sa bene che è stato il suo parlare ironico a condannarlo a morte perché, con il suo atteggiamento, ha irritato oltremodo i giudici, specialmente con la richiesta del vitalizio nel Pritaneo.
A proposito, sapete come si chiamava colui che godeva del privilegio di sedere continuamente alla mensa comune? Parassito. Aprite un vocabolario di Greco – magari quello di Rocci – e troverete il verbo παρα-σιτέω (parasitèo) che vuol dire mangio insieme – sul dizionario di Greco i verbi si trovano alla prima persona; da cui παράσιτος, paràsitos, parassito appunto che, originariamente, indicava colui il quale mangia a spese della persona che lo ospita ma senza danno in quanto lo onora con la propria presenza. Solo successivamente il termine sarà usato in senso dispregiativo; ma torniamo a noi.
Socrate, dunque, specialmente con la propria richiesta di divenire un parassito, ha causato l’ira dei giudici; ma il Nostro preferisce morire “con questa autodifesa” piuttosto che vivere in modo indegno, ovvero supplicando per aver salva la vita.
Ma, cittadini, forse evitare la morte non è difficile, ed è molto più difficile evitare la malvagità, perché corre più veloce della morte (…) E ora me ne vado, io condannato a morte da voi, loro condannati alla malvagità e all’ingiustizia dalla verità. Io mantengo la mia pena, loro la loro. Forse era in qualche modo necessario che fosse così; e io penso che sia secondo la giusta misura.
Il filosofo è stato catturato dalla morte, perché oramai, è vecchio e stanco mentre i suoi accusatori, veloci e astuti, sono stati catturati dalla malvagità che, però, è una pena esattamente come lo è la morte.
Socrate si rivolge, a questo punto, a coloro che lo hanno condannato dicendo che “se pensate che basti uccidere le persone per impedire di criticarvi perché non vivete rettamente, non pensate bene. Non è questa la liberazione (…) ma quella (…) non di reprimere gli altri, bensì preparare se stessi per essere quanto possibile eccellenti”; ma non finisce qui, perché Socrate ha qualcosa da dire anche a coloro che hanno votato per la sua assoluzione in quanto “a voi, perché mi siete amici, ho voglia di far vedere qual è il senso di quello che mi è successo oggi”:
quello che è successo ha l’aria di essere stato un bene e non è possibile che abbia ragione chi di noi pensa che morire sia un male. (…)
Possibile che Socrate sia impazzito dinnanzi alla condanna a morte? Afferma, addirittura, che morire debba essere considerato un bene? Certo, perché, secondo il suo parere, o chi muore non percepisce più nulla oppure l’anima si trasforma per poi trasmigrare (vi si è annodata la lingua?) in un altro luogo.
Nel primo caso, la morte sarebbe un profondo sonno senza sogni che l’uomo non ha motivo di temere;
Sarebbe davvero un gran vantaggio morire; ancora una volta, Socrate dà prova della sapienza del grande saggio che non teme la morte.
Ma è già l’ora di andarsene, io a morire, voi a vivere; chi dei due però vada verso il meglio, è cosa oscura a tutti, meno che al dio.
Così si conclude l’Apologia di Socrate: dopo aver ricordato a tutti che all’uomo buono non può capitare alcun male, e dopo aver chiesto di tormentare i suoi figli come lui, Socrate, aveva fatto con tutti per portarli alla virtù, il filosofo si congeda da questa vita in modo antitragico; l’eroe tragico muore solo e soffrendo, mentre Socrate è sereno, il suo sapere di non sapere è talmente radicato in lui che affronta la morte in modo tranquillo, lasciando tutti, tra l’altro, nel dubbio.
Luigi Santoro
Fonte immagine in evidenza: www.oilproject.org
Fonte immagine media: www.wikipedia.org; www.descrittiva.blogspot.com
Fonte citazioni: Platone, Apologia di Socrate, trad. di Maria Chiara Pievatolo
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