Spazio e tecnologia

Suoni dallo spazio: come può essere?

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Dopo la Luna e Marte, la NASA è sbarcata su Soundcloud, portale musicale di condivisione tra i più eterogenei del web. Tra proverbiali aforismi passati alla storia, come Houston, we’ve had a problem, e documenti che ripercorrono le emozionanti vicende delle esplorazioni spaziali, potrete pescare una misteriosa playlist dal nome Solar System & beyond sounds, suoni dal Sistema Solare e oltre (insomma, suoni dallo spazio): una raccolta che potrebbe far saltare di gioia un giovane filosofo, ma lasciare però perplesso un edotto di scienze fisiche. Come si spiega una tale divergenza di opinione?

L’umanista, tutto assorto nella contemplazione estatica dei moti celesti, si immaginerà, mentre si appresta ad ascoltare questi suoni dallo spazio, che gli antichi non avevano poi così torto a sostenere che una dolcissima armonia delle sfere regola il cosmo.

L’emozionato pensatore vi parlerà dello stretto legame che si è da sempre creduto sussistere tra le connessioni (in greco, guarda caso, ʿαρμονίαι, harmonìai) delle cose nel mondo e le magiche consonanze musicali. Pur – magari – non perfettamente esperto di algebra, lo sentireste discorrere sull’utilità della matematica a mostrare questa essenziale compenetrazione.

D’altra parte non sarebbe il primo: Pitagora, armato di monocordo, aveva inaugurato già da duemilaseicento anni la conoscenza  delle perfette proporzioni del mondo, studiando la relazione che sussisteva tra la lunghezza della corda e quella a cui doveva essere tastata per ottenere, una volta pizzicata, la quinta, la quarta e l’ottava del suono a vuoto, corrispondente a quello che si trova lasciandola libera di vibrare. I rapporti trovati erano veramente piacevoli: superpartientes (della forma (n+1):n), bastavano i soli numeri della τετρακτύς (tetraktýs) a costruirli: 2:1 per l’ottava, 3:2 per la quinta e 4:3 per la quarta.

Poiché tutte le cose discendono essere stesse dal numero, sarebbe stato immediato per qualsiasi studioso immaginare l’intero mondo fondato, nelle sue parti, sulle stesse relazioni che intercorrono tra i suoni. Così il monocordo cosmico dell’alchimista e massone Robert Fludd (1574-1637) propone un suo modo di interpretare la questione: i quattro elementi, i sette pianeti (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno) e le tre parti dell’Iperuranio platonico stanno in rapporti crescenti, gli stessi che tra i suoni nella scala musicale naturale, con la Terra, la cui nota fondamentale è accordata dall’Artefice.

Questa bella visione arriva fino a Keplero, eroe per caso della nostra scienza contemporanea, di professione astrologo e geometra. Questi, dopo aver fatto ellittiche – come si sa – le sfere celesti, non smise di ostinarsi a voler cercare, nei moti che andava catalogando scrupolosamente, le proporzioni musicali, fino a sostenere che queste influissero sulla morale e sulla psiche degli uomini. In Harmonices Mundi, capolavoro della scienza rinascimentale come dell’astrologia, arriva ad asserire:

Tellus canit MI FA MI ut vel ex sillaba conicias, in hoc nostro domicilio MIseriam et FAmem obtinere. [La Terra canta MI, FA, MI, per cui finanche dalle sillabe si indovina che in questo mondo troverete MIseria e FAme].

Se ora, mentre discorrete di Keplero, arrivasse, al bar dove state seduti con il filosofo – parlavate con lui, l’avete scordato? – quel fisico di cui sopra, questi smonterebbe con poche parole il bell’argomento sulla de rerum natura che dicevamo: «I pianeti non possono emettere alcun suono: esso è infatti dovuto ad oscillazioni meccaniche nella materia, ciò di cui lo spazio interplanetario, a parte la misteriosa materia oscura, è sostanzialmente privo». Vedreste negli occhi del filosofo spegnersi la luce di una speranza plurimillenaria… ma non tutto è perduto!

Se il suono non arriva alle nostre orecchie da Saturno, di sicuro a noi giunge il profilo dei suoi anelli riflessi dal Sole. Questo perché la luce, e con essa tutte le onde elettromagnetiche, può propagarsi nel vuoto, e non, come qualcuno ancora dice per le onde radio, via etere, questo mezzo infinitamente rigido ma immateriale dalla cui oscillazione – come per il suono – deriverebbe la luce secondo teorie abbandonate un secolo fa.

Quello che la NASA ha fatto – ciò che ha finalità più scientifica che artistica – non è stato altro che convertire segnali elettromagnetici provenienti dai corpi celesti, caratterizzati da certe frequenze, in perturbazioni meccaniche con lo stesso spettro di frequenze.

Probabilmente, bisogna dirlo, Pitagora avrebbe difficilmente approvato come consonanze tutti i brusii di cui proprio non ci si riesce a sbarazzare e che non sono per niente  la beneamata quinta. Il risultato, aldilà di ogni scetticismo, è però davvero emozionante e ci fa sentire un po’ più vicini al lontano vuoto – ora un po’ più pieno – del cosmo.

Antonio Somma

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Antonio Somma

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