L’esistenzialismo è un umanismo: Sartre e Heidegger

L’esistenzialismo è un umanismo“, conferenza preda di un disordinato entusiasmo. Valga quale esaustiva descrizione della filosofia esistenziale prima e in seguito del suo teorico, pur strabico e minuto, Jean-Paul Sartre, ciò che Boris Vian annota tra le pagine del romanzo “La schiuma dei giorni”.

Fin dall’inizio della strada, la folla faceva a spintoni per riuscire a entrare nella sala dove Jean Sol-Partre avrebbe tenuto la sua conferenza. la gente escogitava ogni tipo di astuzia per eludere la sorveglianza […]. Alcuni arrivavano dentro un carro funebre […]. Altri si facevano paracadutare con aerei speciali […]. Altri ancora, infine, tentavano di arrivare passando per le fogne.

Evidente, il gioco delle sostituzioni: è Jean Sol-Partre il filosofo che di Chick diverrà la più annosa ossessione; è La lettre et le néant (in luogo del saggio L’être et le neant, L’essere e il nulla) l’opera che ne aveva reso celebre la Weltenschauung relegandolo alla carica di idolo.

L’esistenzialismo è un umanismo

umanismo Socratico, l’interrogativo: “Che cos’è l’esistenzialismo? Dove ritrovarne l’essenza più autentica?”. “Una signora di cui mi si è parlato recentemente, quando si lascia sfuggire, per mancanza di controllo, una parola volgare, dice a mo’ di scusa: <<sto diventando esistenzialista>>”, ironizza Sartre, recidendo la propria filosofia dalle avanguardie. Se infatti v’è una ripresa di “dottrine d’avanguardia”, allora gli esistenzialisti pretendono di allontanarsene risolutamente, di abbandonare tautologia delle correnti artistiche pretendendo che ognuna insegua nientemeno che l’ombra dell’utile.

Io sono un autarchico (morale)

Ciò che l’esistenzialismo prospetta è un’unione totale tra le individualità, tra i più particolari soggetti. Donde una citazione da uno scritto di Francis Ponge, di cui lo stesso Sartre aveva proposto un encomio appena qualche mese prima su Les Temps Modernes: “l’uomo è l’avvenire dell’uomo”. Nient’altro che l’ennesima tautologia? La recrudescenza dell’uomo è certo legittimata dentro l’annichilimento di Dio, totem prototipale delle parti sociali.

Qui i credenti edificano la morale dentro i precetti dei testi sacri; lì, naturalisti e realisti producono incessantemente la medesima morale tentando di sopprimere nottetempo il nome di Dio. Né l’una né l’altra, per l’esistenzialismo. Pur distinguendolo in “cristiano”, nelle figure di Jaspers e Gabriel Marcel, e “ateo”, in quelle di Heidegger, “gli esistenzialisti francesi e me stesso”, a proporsi è una soggettività che incessantemente fabbrica in sé stessa un’autarchica morale.

Speculazione intellettiva, dunque, da cui lasciar ridiscendere la prassi politica. Dove l’esistenza precede l’essenza, è la prima che nient’altro deve se non farsi carico di sé stessa, di una libertà angosciante che non preveda alcun precetto, nessun dogma.

Lettore e meccanografo

Nessun sorriso per gli esistenzialisti? Soltanto disperazione (il termine è mutuato dal Kierkegaard de La malattia mortale) per i poveri disgraziati cui si schiude la totalità del nulla? Eppure sembra che l’esistenzialista non possa non godere della propria condizione. Non era forse Albert Camus l’autore di un Sisifo da immaginarsi felice? A dispiegarsi è la particolarità della contingenza. Sarebbe così comodo se un Dio ci fosse, ma in ogni caso non vi sarebbe differenza.

Alle accuse di cattolici e marxisti, Sartre risponde legittimandosi per mezzo di una genealogia teorica, pur soltanto accennata. Alle numerosi citazioni di Voltaire, Diderot, Leibniz, Descartes, sottende un principio di prossimità, come se per osmosi si contraesse l’autorevolezza filosofica. Per quanto nell’opera sartriana, come in quella di molti tra gli esistenzialisti, qualsiasi produzione scritta, dal dramma teatrale al romanzo, dal trattato alle opere di critica letteraria, possegga la medesima autorità, sembra che l’autore desideri tenersi ben lontano dalla spoglia costituzione artistica.

Non si può allora che osservare l’aneddotica tenendo conto degli avvenimenti che storicamente si producono risoluzione per risoluzione nella più estranea differenza: non basteranno soluzioni per frenare il divenire, all’individuo l’onere di decidere per l’umanità nella sua interezza. Una precisa citazione di Foucault, riferita in luogo di un’intervista datata maggio 1966, chiarisce di Sartre i propositi pratici.

Dire <<c’è del senso>> era [in Sartre] al tempo stesso una constatazione e un ordine, una prescrizione […]. Per Sartre si era al tempo stesso lettore e meccanografo del senso: si scopriva il senso e si era agiti da esso.”

L’uomo pingue

umanismoBaita di Todtnauberg, 1946. Rimuginando, un omino piuttosto pingue, forse con le mani incrociate dietro la schiena, forse carezzandosi il folto baio di bassi che gli troneggia sopra le labbra, si domanda come rispondere a una missiva dell’amico Jean Beaufret, il quale pone un interrogativo piuttosto preciso: “Come donare nuovo senso alla parola “Humanisme”?”.

Appena l’anno prima, quell’emulo francese il cui testo (L’essere del Nulla?, L’Essere e la Nausea?) rischia ancora due volte per giorno di incontrare il macero, gli aveva dato dell’”esistenzialista ateo”. “Ateo”, a lui, Martin Heidegger; peggio: “esistenzialista”. Bisognava dimostrare che se l’esistenzialismo era la filosofia descritta in quella conferenza, beh, lui di certo desiderava cessare con essa qualsiasi relazione.

Per tale ragione scrive, in un’opera che sarà in seguito nota come “Lettera sull’Umanismo”: “Noi non pensiamo ancora in maniera abbastanza precisa l’essenza dell’agire”. Evocato è dunque proprio l’agire pratico di cui l’esistenzialismo sartriano riveste il termine “umanismo”. Inedita l’accusa rivolta al collega: la sua teoria non osserva che un’esistenza superficiale. “Egli assume existentia ed essentia nel significato della metafisica, la quale, da Platone in poi, dice: l’essenza precede l’esistenza”.

La Chiacchiera umanista

Quello di Sartre non è dunque che un ridicolo rovesciamento della tesi bimillenaria per cui l’essenza (l’idea, Dio) precede l’esistenza (la soggettività umana), senza tener conto che “ciò che prima di tutto <è>, è l’essere”. Risulta proprio necessario chiacchierare di un “Humanisme”, di un uomo perduto nel “Si”[1] della dimensione pubblica? A quanti biasimano l’assenza di un’etica dalla propria opera filosofica, Heidegger replica che “l’uomo si dispiega solo nella sua essenza in quanto è chiamato dall’essere”.

Egli soggiorna dentro la radura dell’essere. Divertita, la critica di Heidegger: non fra gli esistenzialisti desidera esser annoverato, poiché quello di Essere e Tempo non era che un lavoro preparatorio circa la costituzione dell’essere, ben lungi da delineare regioni d’approdo.

Al pastore, l’essere non è manifesto che in un velamento continuo; non gli resta che un’opera di demistificazione che lo dis-veli autenticamente. È necessario abbandonare allora qualsiasi umanismo, poiché in esso, come in ogni “ismo”, non appaiono che oblio e menzogna. Non è che un fraintendimento, l’ennesima Chiacchiera. Che fare? Farla finita col giudizio sull’uomo, non “sopravvalutare la filosofia”. Pensare (al)l’essere.

Antonio Iannone

[1] Il ruolo del “Si” (Man) nella filosofia heideggeriana è chiaramente esplicato nella relativa nota di glossario all’edizione Longanesi di Essere e Tempo: “Heidegger trasforma il pronome impersonale <<si>> (man), che significa tutti in generale e nessuno in particolare, in una determinazione esistenziale con la quale personifica la tendenza insita nell’Esserci a livellare se stesso sui modi di comportamento degli <<altri>>.”

Bibliografia
M. HEIDEGGER,  Lettera sull’umanismo in Segnavia, a c. di F. Volpi, Adelphi; ID, Essere e Tempo, a c. di F. Volpi, Longanesi.
M. FOUCAULT, La follia e il discorso. Archivio Foucault 1.a c. di J. Revel, Feltrinelli
J.-P. SARTRE, L’Essere e il Nulla, trad. it. G. del Bo, Il SaggiatoreID, L’esistenzialismo è un umanismo, Ugo Mursia Editore.