La neve: il significato simbolico nella letteratura

La neve è uno dei fenomeni atmosferici che ha da sempre affascinato l’essere umano. Il tempo rallenta, mentre i candidi fiocchi si posano delicati sul suolo, quasi a rendere incorruttibile ogni cosa.

Desideriamo danzare sotto la neve, leggeri come Kim mentre Edward scolpisce il ghiaccio freddo con le sue mani di forbice. Le dita percepiscono ogni singolo fiocco e un mondo incantato si apre alla nostra vista: ogni oggetto assume la forma dei nostri sogni e l’aria…profuma di neve.

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Una mamma per amica – Inverno (revival)

La neve, profumo di arte

La neve è una precipitazione atmosferica composta da una moltitudine di cristalli di ghiaccio. Tuttavia, solo la penna di Saba poteva spiegarne l’origine nella sua Fior di neve:

Dal cielo tutti gli Angeli
videro i campi brulli
senza fronde né fiori
e lessero nel cuore dei fanciulli
che amano le cose bianche.
Scossero le ali stanche di volare
e allora discese lieve lieve
la fiorita neve.

Come in una favola, la neve è il prodotto delle ali stanche degli angeli, perché solo da figure eteree è immaginabile una tale magia.

In molte pagine di letteratura la neve è custode di ricordi. Sotto il bianco manto vivono nel tepore del tempo che scivola via, testimoni del nostro passato, delle nostre radici. È questo il significato della neve di Mario Rigoni Stern in un passo di Sentieri sotto la neve:

E a sera, attorno al fuoco, fumando trinciato forte, ci raccontavamo storie e vicende della vita […]. Lassù la montagna è silenziosa e deserta. La neve che in questi giorni è caduta abbondante ha cancellato i sentieri dei pastori, le aie dei carbonai, le trincee della Grande guerra, le avventure dei cacciatori. E sotto quella neve vivono i miei ricordi.

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La neve “costringe” alla condivisione gli abitanti della deserta Istanbul ma più vicina alla favola, così come la descrive Pamuk in Istanbul (cap. Bianco e Nero):

La neve era una parte essenziale dell’Istanbul della mia infanzia. Come alcuni bambini che non vedono l’ora che arrivi l’estate per poter viaggiare, anch’io non vedevo l’ora che nevicasse. Non per andare in strada a giocare con la neve, ma perchè la città mi pareva più “bella” ammantata di bianco; e non per la novità o la sorpresa che portava coprendo il fango, la sporcizia, le crepe e gli angoli dimenticati della città, ma per l’atmosfera di emergenza, anzi di calamità che creava. Nonostante nevicasse tre o quattro giorni ogni anno e la città rimanesse imbiancata una settimana o poco più, la neve coglieva sempre di sorpresa gli abitanti di Istanbul, che si trovavano impreparati quasi fosse la prima volta; come avveniva in tempi di guerra o di catastrofi, si formavano subito code davanti al panettiere e, fatto ancor più importante, tutta la città si trovava riunita intorno allo stesso argomento, la neve, in uno sforzo di condivisione. E siccome la città e i suoi abitanti, staccandosi completamente dal resto del mondo, si chiudevano in se stessi, Istanbul, nei giorni invernali di neve, mi pareva più deserta, più vicina ai suoi vecchi giorni di favola.

Se nell’immaginario collettivo la neve richiama una sensazione di attesa e di positività, come se profetica potesse letteralmente coprire ogni male, una visione opposta viene restituita dal genio irlandese James Joyce. Nel racconto The Dead, che chiude la raccolta Dubliners (1914), Joyce affronta il tema della morte, la morta dell’umanità, dei sentimenti, del mondo classico. L’addio di Joyce è affidato proprio alla neve, come simbolo di immobilità:

Osservò assonnato i fiocchi, argentei e scuri, cadere obliquamente contro il lampione. Era tempo per lui di mettersi in viaggio verso occidente. Sì, i giornali avevano ragione: nevicava in tutta l’Irlanda. La neve cadeva su ogni punto dell’oscura pianura centrale, sulle colline senza alberi, cadeva lenta sulla palude di Allen e, più a ovest, sulle onde scure e tumultuose dello Shannon. Cadeva anche sopra ogni punto del solitario cimitero sulla collina dove era sepolto Michael Furey. Si ammucchiava fitta sulle croci contorte e sulle lapidi, sulle punte del cancelletto, sui roveti spogli. La sua anima si dissolse lentamente nel sonno, mentre ascoltava la neve cadere lieve su tutto l’universo, come la discesa della loro ultima fine, su tutti i vivi e su tutti i morti.

Non solo la letteratura, ma anche la pittura ci ha donato atmosfere innevate degne di un sogno. Il Paesaggio invernale (1888) di Ivan Konstantinovič Ajvazovskij è una passeggiata nel tempo immortale, in un gioco di luci e ombre realizzato attraverso un crescendo di tonalità di blu.

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Ivan Konstantinovič Ajvazovskij – The winter landscape (1888)

Simbologia della neve e del bianco nella Bibbia

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Un fiocco di neve

La neve è simbolo di purezza per il suo colore bianco, ma anche di rinascita e trasformazione di ciò che è sotto il candido manto. Come simbolo di purezza, che scende per purificare dai peccati, si riscontra nel famoso verso di Isaia (1,18):

Anche se i vostri peccati fossero rossi come scarlatto, diventeranno bianchi come neve.

Nella Bibbia sheleg (neve in ebraico) presenta ben venti occorrenze. Insieme ad altri eventi atmosferici, indica la potenza di Dio. Tuttavia, ha anche una accezione negativa: il colore bianco indicava la lebbra. In Esodo 4,6 si legge:

Il Signore gli disse ancora: «Introduci la mano nel seno! Egli si mise in seno la mano e poi la ritirò: ecco la sua mano era diventata lebbrosa, bianca come la neve».

Nella Bibbia, la lebbra era una conseguenza fisica della malalingua e si manifestava come vaste macchie bianche sulla pelle. La persona colpita era considerata impura e costretta all’isolamento dal resto del popolo.

Giovannina Molaro